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1 febbraio 2017 3 01 /02 /febbraio /2017 19:49

Sul giudizio pesa l’incertezza del dopo referendum e le troppe sofferenze Il Tesoro: “Nessun impatto rilevante sulla spesa per interessi”. Spread stabile

ROBERTO PETRINI - La Repubblica 14 e 15 gennaio

Il debito statale torna a salire: + 1,6 per cento da inizio 2016 e la “protezione” Bce scadrà a fine dell’anno

MINISTRO SENZA “A”

Dbrs resta la società con il rating più favorevole per l’Italia anche se sceso a BBB

ROMA.

La “quarta sorella” del rating, la canadese Dbrs, ha declassato l’Italia che perde l’ultima “A”. L’agenzia che formula i giudizi di qualità e sostenibilità del debito emesso dagli Stati sovrani ha deciso di abbassare il voto sul nostro paese dal livello di “A-low” al magro “BBB-high” con trend “stabile”. La misura era attesa da tempo, almeno dall’estate scorsa, quando l’istituzione nordamericana annunciò l’apertura di una procedura di revisione del giudizio sollevando peraltro qualche irritazione da parte del Tesoro italiano. Ieri Via Venti Settembre ha comunque inviato messaggi rassicuranti: «Nessun impatto rilevante sulla spesa per interessi».

Fino all’ultima ora non si è dato per scontato il verdetto e anche lo spread, la differenza tra il rendimento dei Btp italiani e il Bund tedesco, ha veleggiato tranquillamente sotto quota 160 punti lasciando sperare in un ripensamento. Invece il giudizio, che muove da argomenti politici e più strettamente economico-finanziari, è giunto puntuale. Si tratta del primo declassamento vero e proprio dopo il referendum e la caduta del governo Renzi: il 7 dicembre Moody’s si era limitata a tagliare l’outlook da “stabile” a “negativo” confermando il rating “Baa” mentre già il 21 ottobre si era mossa Fitch che analogamente aveva rivisto da “stabile” a “negativa” l’intonazione del proprio giudizio lasciando inalterato il voto a “BBB+”.

La Dbrs (Dominion bond rating service con sede a Toronto) spiega che la misura deriva sostanzialmente da due fattori: l’«incertezza sulla capacità politica di sostenere le riforme strutturali» e la «debolezza del sistema bancario in una fase di bassa crescita per l’Italia».

La nota di Dbrs sottolinea come dopo la bocciatura del referendum costituzionale, che avrebbe consentito maggiore stabilità di governo al Paese, e le dimissioni del premier Renzi, il nuovo governo “ad interim” creato per fare una nuova legge elettorale per andare al voto, ha «meno spazio per approvare ulteriori misure pro-crescita, limitando le prospettive di rialzo dell’economia». Senza contare, aggiunge l’agenzia canadese, che c’è anche una mancanza di chiarezza sulla data delle prossime elezioni italiane. L’altra questione, dove Dbrs è piuttosto severa, è quella bancaria: nonostante i recenti piani di intervento pubblico, il livello dei crediti in sofferenza viene giudicato «molto alto» e questa circostanza colpisce «la capacità del settore bancario di agire come intermediario per il sostegno dell’economia».

La combinazione di questi fattori, uniti al debito elevato e alla crescita «più bassa della media europea», porta dunque al declassamento del rating delle nostre emissioni di Bot, Btp e degli altri titoli. Con l’aggravante che le banche italiane faranno più fatica a portare i Btp allo “sconto” presso la Bce, dovranno pagare di più e ne risentiranno sul piano della liquidità.

La decisione di Dbrs inaugura uno scenario, da molti temuto, sul dopo crisi di governo. Non si può fare a meno di ricordare che si attende dalla Commissione europea un rapporto sul nostro debito pubblico sul quale pende una procedura e che l’”ombrello” del quantitative easing, moneta facile che ha evitato il rialzo dello spread e che ci ha consentito vita tranquilla negli ultimi tempi, scadrà a fine anno. Qualche campanello d’allarme già suona: ieri la Bankitalia ha diffuso i dati sul debito pubblico che ha raggiunto in novembre i 2.229,4 miliardi. Si tratta di un aumento di 35,1 miliardi dall’inizio del 2016 pari all’1,59 per cento, ma soprattutto dopo la flessione di luglio-settembre il debito ha ricominciato a salire.

 

Usa, Moody's patteggia per i rating gonfiati: 864 milioni di dollari

Accordo raggiunto tra l'agenzia, il dipartimento della Giustizia e le autorità di 21 Stati e del District of Columbia. L'intesa pone fine all'inchiesta sul livello di rischio basso assegnato ai mutui subprime prima della crisi del 2008

NEW YORK - L'agenzia internazionale Moody's ha patteggiato il pagamento di circa 864 milioni di dollari alle autorità federali e statali Usa per porre fine all'inchiesta nata dall'accusa di aver gonfiato il rating di mutui ipotecari rischiosi negli anni che hanno portato alla crisi finanziaria del 2008-2009. L'accordo è stato raggiunto col dipartimento di Giustizia, al quale andranno 437,5 milioni di dollari, e con le autorità giudiziarie di 21 Stati Usa, più il District of Columbia dove si trova la capitale Washington.

Moody's, insieme alle altre due grandi agenzie di rating internazionali Standard & Poor's e Fitch, è dagli anni della crisi nell'occhio del ciclone

con l'accusa di aver favorito il terremoto finanziario partito dai mutui subprime per aver assegnato un basso livello rischio a titoli invece molto rischiosi, a fronte di commissioni incassate molto vantaggiose. Moody's ha riconosciuto di non aver seguito i suoi standard di giudizio.

Con spudoratezza Moody' s afferma anche   "Sicuri della nostra integrità"

 

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