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13 marzo 2017 1 13 /03 /marzo /2017 16:03

Il Tesoro degli immigrati

 E' il tesoro degli immigrati: un flusso di 123 miliardi di euro pompato ogni anno nel sistema circolatorio del Paese. Sì, perché oggi a produrre l'8,8% della ricchezza nazionale sono i 2 milioni e 400mila occupati stranieri che lavorano in Italia. Un esercito di piccoli imprenditori, domestici e operai che cresce all'ombra della crisi.

A calcolare il Pil degli immigrati è la fondazione Leone Moressa. I ricercatori, dopo aver valutato il rapporto costi-benefici dell'immigrazione (il saldo tra entrate e uscite imputabili agli stranieri è attivo di quasi 4 miliardi di euro), fotografano la ricchezza complessiva creata dai "nuovi italiani". Nel nostro Paese, infatti, lavorano oltre 2,4 milioni di stranieri (dato aggiornato ai primi 9 mesi del 2014), con un tasso di occupazione pari al 57,1% (rispetto al 41,8 degli italiani). Rappresentano il 10,8% dei lavoratori totali, con una crescita di 367mila unità rispetto allo stesso periodo del 2010. Non sono però impermeabili alla crisi, che ha portato il loro tasso di occupazione a una perdita di 5 punti percentuali in 4 anni. Non solo.

Osservando la variazione negli anni della crisi (2007-2013), la situazione degli stranieri è peggiorata più di quella degli italiani: il tasso di occupazione degli immigrati è infatti diminuito di 9 punti, contro i 3,2 punti degli italiani. Il tasso di disoccupazione degli stranieri è invece aumentato di 9 punti, mentre quello degli italiani di 5,6.

Ma, nonostante la crisi, resta alto il contributo degli immigrati al Pil del Paese: 8,8% del totale.

E da dove arriva questo tesoro di 123 miliardi di euro? Quasi la metà proviene dal settore dei servizi (46,6%) e non stupisce, se si pensa che il 45,8% degli immigrati lavora oggi come domestico o badante. Il secondo settore è quello delle manifatture, con un quinto della ricchezza prodotta dagli stranieri (20,5%), seguono le costruzioni (13,6%), alberghi e ristoranti (8,6%), commercio (7,5%). Ultima, l'agricoltura (3,2%).

Osservando il "Pil dell'immigrazione" da un punto di vista territoriale, salta agli occhi come un quarto della ricchezza prodotta dagli stranieri si concentri in Lombardia (26,8%). Concentrazione confermata dal fatto che le prime quattro regioni producono oltre il 60% della ricchezza totale. Altre tre, infatti, superano quota 10%: Lazio (12,8%), Emilia-Romagna (12%) e Veneto (11,1%). Ultime, Basilicata e Molise, dove il contributo alla ricchezza regionale degli immigrati si ferma a quota 0,2%.

E ancora: sul Pil degli immigrati incidono molto gli imprenditori stranieri, in crescita nonostante la crisi. Le loro 497mila imprese contribuiscono infatti con 85 miliardi di euro alla ricchezza nazionale. E guardando ai settori, è il commercio a detenere il record di aziende condotte da immigrati (175mila), seguito da costruzioni (126mila) e servizi (104mila).

«Il dibattito sull'immigrazione assume spesso toni ideologici, che portano l'opinione pubblica a essere o "a favore" o "contro" l'immigrazione — scrivono i ricercatori della Moressa — oggi, invece, l'integrazione degli stranieri non è solo un dovere morale, ma una realtà di cui l'Italia non può fare a meno. Da un punto di vista strettamente economico non si può infatti sottovalutare l'apporto che il fenomeno migratorio genera in termini di ricchezza e sviluppo. Si consideri, per esempio, che l'invecchiamento della popolazione autoctona rende gli stranieri una risorsa importante per il sistema economico, fiscale e previdenziale e che il loro tasso di occupazione è più elevato di quello degli italiani».

Detta in parole chiare: con l’invecchiamento degli italiani, tra pochi anni avremo il 29% della popolazione sopra i 65 anni, se non ci fossero gli immigrati chi pagherebbe le pensioni?

 

Fondazione Moressa calcola il peso dei contributi previdenziali di oltre 2,3 milioni d'immigrati

La Fondazione Moressa calcola il peso dei contributi previdenziali di oltre 2,3milioni di immigrati

Per saperne di più www.inps.it www.fondazionemoressa.org

Nei prossimi 15 anni le statistiche dicono che ogni paese europeo diminuirà da 1,5 a 5 milioni di popolazione . Per sostenere il welfare c’è la via della immigrazione

I NUMERI: 8,6% peso sul PIL. Il Lavoro straniero produce 125 miliardi di valore aggiunto, più dell' 8,9% del PIL.

6,8 mld gettito in più. Nel 2013 i lavoratori immigrati hanno anche pagato 6,8 miliardi di Irpef

VLADIMIRO POLCHI – La Repubblica

La realtà aiuta a superare l’ideologia e la xenofobia

ROMA - In Italia 620mila anziani devono ringraziare gli immigrati: sono loro a " pagargli" la pensione. Nell'ultimo anno infatti i lavoratori stranieri hanno versato ben 10,29 miliardi di euro in contributi previdenziali. Lo sa bene l'Inps: essendo prevalentemente in età lavorativa, i migranti sono soprattutto contribuenti. Non a caso, oggi la popolazione con più di 75 anni rappresenta l'11,9% tra gli italiani, solo lo 0,9% tra gli stranieri.

A pesare il tesoretto dei " nuovi italiani" è il Rapporto 2015 sull'economia dell'immigrazione della Fondazione Leone Moressa, che verrà presentato il 22 ottobre a Roma.

DATA JOURNALISM Immigrati, sono l'11% della forza lavoro

Secondo le stime Istat, tra 10 anni gli stranieri supereranno quota 8 milioni, con un'incidenza del 13,1% sulla popolazione complessiva. Nel 2050, rappresenteranno un quinto della popolazione, mentre un italiano su quattro (23,1%) avrà più di 75 anni. "Dati che evidenziano il peso degli immigrati nel nostro Paese - sottolineano i ricercatori della Moressa - oggi, infatti, 1 italiano su 10 ha più di 75 anni; tra gli stranieri 1 su 100.

In altre parole, nei prossimi decenni la popolazione italiana è destinata a invecchiare, mentre tra gli stranieri aumenteranno gli adulti in età lavorativa (oggi abbiamo 1 milione di minori)". E così già oggi il contributo economico dell'immigrazione si fa sentire soprattutto sui contributi pensionistici. "Contributi che vanno a sostenere il sistema nazionale del welfare (oltre alle pensioni, anche altri trasferimenti come maternità e disoccupazione) che si rivolge prevalentemente alla popolazione autoctona. Infatti, la voce "pensioni" è una delle voci principali della spesa pubblica nazionale e, vista l'età media, la popolazione straniera ne beneficia in misura molto marginale. Anzi, gli stranieri sono soprattutto contribuenti".

Grazie agli ultimi dati disponibili delle dichiarazioni dei redditi 2014 (anno di imposta 2013), la Fondazione Moressa fa una stima del contributo previdenziale dei nati all'estero. Nel tempo l'occupazione straniera nel nostro Paese è aumentata arrivando a quasi 2,2 milioni nel 2013 e 2,3 milioni nel 2014. Nel 2013 i loro contributi previdenziali hanno raggiunto quota 10,29 miliardi. "Ripartendo il volume complessivo per i redditi da pensioni medi, si può affermare che i lavoratori stranieri pagano la pensione a 620mila anziani italiani. Inoltre - scrivono i ricercatori - sommando i contributi versati negli ultimi cinque anni si può calcolare il contributo degli stranieri dal 2009 al 2013 pari a 45,68 miliardi di euro, volume sufficiente per una manovra finanziaria".

Non è tutto. Il Rapporto 2015 elenca altri aspetti dell'immigrazione che incidono sull'economia del Paese. Il primo riguarda il Pil prodotto dai 2,3 milioni di occupati stranieri: un valore aggiunto di 125 miliardi, pari all'8,6% della ricchezza nazionale. A livello fiscale, i contribuenti stranieri hanno dichiarato nel 2014 redditi per 45,6 miliardi, versando 6,8 miliardi di Irpef. E ancora: le imprese condotte da persone nate all'estero sono 524.674 (8,7% del totale) e producono 94,8 miliardi di euro di valore aggiunto. Nel periodo 2009/2014, gli imprenditori stranieri sono aumentati del 21,3%, mentre i nati in Italia sono diminuiti (-6,9%). "Infine - concludono gli studiosi della Fondazione - sebbene non sia possibile quantificare tutti i costi e benefici diretti e indiretti della presenza straniera, il confronto tra i flussi finanziari in entrata e in uscita aiuta a dare la dimensione dell'impatto economico dell'immigrazione: + 3,9 miliardi di saldo attivo per le casse dello Stato ".

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Copertina​

“Vecchia, più povera e improduttiva” Così sarà l’Europa senza migranti

VLADIMIRO POLCHI – La Republica

«Uno studio della Fondazione Moressa descrive un inquietante scenario. Con le frontiere chiuse, nel 2030 verranno persi trenta milioni di lavoratori». La Repubblica, 18 settembre 2016 (c.m.c.)

ITALIA FRANCIA GERMANIA SPAGNA UE a 28

nel 2015

64,5% 21,7% 63,0% 18,4% 65,8% 21% 66,3% 18,5% 65,5% 18,9%

nel 2030

60,4% 27,5% 58,9% 23,8% 58,5% 29,2% 63,2% 25,1% 60,8% 24,3%

Diff. In punti percentuali

-4,1% 5,7% -4,1% +5,4% -7,3% +8,2% -3,1% +6,6% -4,7% +6,0%

Diff. In valori assoluti

-4,31 +2,64 -1,42 +4,09 -9,26 +4,96 -2,29 +2,74 -29,68 +27,97

milio. milio milio milio milio milio milio milio milio milio

 

In epoca di sbarchi ed emergenza immigrazione, cosa accadrebbe se l’Europa potesse chiudere davvero le frontiere? L’Italia perderebbe oltre 4 milioni di lavoratori in quindici anni. I giovani diventerebbero merce rara: un milione e 300mila sparirebbero nel nulla. Boom invece di pensionati: aumenterebbero di due milioni e mezzo. Il resto d’Europa non starebbe meglio: nel 2030 dovrebbe dire addio a 30 milioni di persone in età lavorativa. Eccolo lo scenario “apocalittico” di un eventuale saldo migratorio pari a zero: «Un continente vecchio, più povero e meno produttivo».

A fotografare un’Europa chiusa nelle proprie frontiere è uno studio della Fondazione Leone Moressa, su stime Eurostat e Istat. I ricercatori partono dall’ipotesi, fantascientifica, di un saldo migratorio pari a zero. I risultati? Impressionanti.

A frontiere chiuse (e con gli attuali tassi di fecondità), nel 2030 la popolazione Ue diminuirebbe dell’1,9%, sotto quota 500 milioni. Ancora più drastico il calo demografico in Germania (-7%, da 81 a 75 milioni) e in Italia (-5%, da 60 a 57 milioni). La fascia d’età lavorativa (15-64 anni), che attualmente rappresenta il 65,5% della popolazione europea, scenderebbe al 60,8%. Tradotto: 30 milioni di persone in meno. Per l’Italia si tratterebbe di una perdita di 4,3 milioni di cittadini in età lavorativa.

Ancora peggiore l’andamento in Germania: 9 milioni in meno. Calerebbero anche i giovani nella fascia 0-14 anni, dall’attuale 15,6% al 14,3%, con una diminuzione di quasi 8 milioni in Europa e un milione e 300mila in Italia. Al contrario, l’invecchiamento della popolazione porterebbe a un aumento di 6 punti percentuali tra gli over 65 (+28 milioni in Europa). In Italia gli anziani crescerebbero di 2,6 milioni, passando dal 21,7% al 27,5%.

Come sarà invece l’Italia tra 15 anni, con gli attuali flussi migratori invariati? Oggi tra gli italiani la popolazione in età lavorativa rappresenta il 63,2%, mentre tra gli stranieri il 78,1%. Gli anziani sono il 23,4% e solo il 3% tra gli immigrati, ma stando all’Istat nel 2030 saliranno al 29,2% tra gli italiani e all’8,2% tra gli stranieri. E ancora: nel 2015 gli immigrati rappresentano l’8,2% della popolazione residente in Italia. Valore che sale all’11,3% tra i bambini e scende addirittura all’1,1% tra gli anziani, «con un impatto dunque minimo sulla spesa pubblica».

Nel 2030, gli immigrati rappresenteranno ben il 14,6% della popolazione, arrivando addirittura al 21,7% nella fascia 0-14 anni e al 17,4% nella fascia 15-64. Cambierà anche il mercato del lavoro: oggi gli occupati stranieri sono oltre 2 milioni, con un’incidenza del 10% sul totale, nel 2030 saranno 4 milioni, pari al 18% degli occupati. Mantenendo gli attuali tassi di crescita, il Pil prodotto dagli immigrati ammonterà a 217 miliardi, pari al 15% del totale (attualmente è poco al di sotto del 9%).

«Oggi l’immigrazione rappresenta uno dei temi più delicati a livello europeo — scrivono i ricercatori della Fondazione Moressa, che l’11 ottobre presenteranno al Viminale il “Rapporto sull’economia dell’immigrazione” — basti pensare al referendum sulla Brexit, sul quale ha influito moltissimo la campagna anti-immigrati, al muro alzato dall’Austria o al prossimo referendum del 2 ottobre in Ungheria sui ricollocamenti dei migranti.

Nella maggior parte dei paesi Ue, il sentimento dominante è quello di chiusura delle frontiere e di contrasto all’immigrazione. Questo studio conferma invece ancora una volta l’importanza della componente straniera in Italia e in Europa, dal punto di vista demografico e di conseguenza sotto il profilo socio-economico».

Se si chiudono le frontiere chi pagherà le pensioni?https://resize.over-blog.com/1200x1200.jpg?http://contents.internazionale.it/wp-content/uploads/2013/09/grande.jpg  Dai 35 euro al giorno al lavoro rubato agli italiani. Emma Bonino ha ideato un "piccolo prontuario" per smontare punto per punto i pregiudizi sull'accoglienza

VLADIMIRO POLCHI – La Repubblica

 

Cosa sai sugli immigrati?

ROMA – "Ci rubano il lavoro". "Gli diamo 35 euro al giorno per non fare niente". "Li ospitiamo in alberghi a 5 stelle". Fermo: "Tutto quello che sai sugli immigrati è falso!". O almeno così sostiene un “prontuario” dei Radicali italiani, ideato da Emma Bonino, che prova a confutare punto per punto "otto grandi bugie" sui migranti.

1. Siamo di fronte a un'invasione! Il "Piccolo prontuario per un racconto (finalmente) veritiero sull’immigrazione" parte da otto affermazioni, poi tenta di smontarle utilizzando dati di varie fonti. La prima: "Siamo di fronte a un’invasione!". La replica: "Nell’Unione Europea, su oltre 500 milioni di residenti di ogni età (510 milioni) nel 2015, solo il 7% è costituito da immigrati (35 milioni), mentre gli autoctoni sono la stragrande maggioranza (93%, pari a 473 milioni). La quota di stranieri varia notevolmente tra i Paesi europei (il 10% in Spagna, il 9% in Germania, l’8% nel Regno Unito e in Italia, il 7% in Francia). È curioso, però, che i Paesi più ostili all’accoglienza degli immigrati sono quelli che ne hanno di meno: la Croazia, la Slovacchia e l’Ungheria, ad esempio, che ne hanno circa l’1%".

2. Ma non c'è lavoro neanche per gli italiani, non possiamo accoglierli! La risposta dei Radicale: "Per mantenere sostanzialmente inalterata la popolazione italiana dei 15-64enni nel prossimo decennio, visto che tra il 2015 e il 2025 gli italiani diminuiranno di 1,8 milioni,(statistiche demografiche ndr. ) è invece necessario un aumento degli immigrati di circa 1,6 milioni di persone: si tratta di un fabbisogno indispensabile per compensare la riduzione della popolazione italiana in età lavorativa".

3. Sì, ma questi ci rubano il lavoro! La replica: "Agli immigrati sono riservati solo i lavori non qualificati, in gran parte rifiutati dagli italiani: gli stranieri non riducono l’occupazione degli italiani, ma occupano progressivamente le posizioni meno qualificate abbandonate dagli autoctoni, soprattutto nei servizi alla persona, nelle costruzioni e in agricoltura: settori in cui il lavoro è prevalentemente manuale, più pesante, con remunerazioni modeste e con contratti non stabili. Dai dati più aggiornati del 2015, infatti, emerge che oltre un terzo degli immigrati svolge lavori non qualificati (36% contro il 9% degli italiani)".

4. Sarà, però ci tolgono risorse per il welfare. "I costi complessivi dell’immigrazione, tra welfare e settore della sicurezza, sono inferiori al 2% della spesa pubblica. Dopodiché, gli stranieri sono soprattutto contribuenti: nel 2014 i loro contributi previdenziali hanno raggiunto quota 11 miliardi, e si può calcolare che equivalgono a 640mila pensioni italiane. Col particolare che i pensionati stranieri sono solo 100mila, mentre i pensionati totali oltre 16 milioni".

5. Comunque i rifugiati sono troppi, non c’è abbastanza spazio in Europa! "Dei 16 milioni complessivi – scrivono i Radicali – solo 1,3 milioni sono ospitati nei 28 Paesi dell’Unione europea (8,3%), tra cui l’Italia (118mila, pari allo 0,7%). I Paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati nel 2015 sono la Turchia (2,5 milioni), il Pakistan (1,6 milioni), il Libano (1,1 milioni) e la Giordania (664 mila)".

6. Certo, e allora li ospitiamo negli alberghi. "I centri di accoglienza straordinaria sono strutture temporanee cui il ministero dell’Interno ha fatto ricorso, a partire dal 2014, in considerazione dell’aumento del flusso: le prefetture, insieme alle Regioni e agli enti locali, cercano ulteriori posti di accoglienza nei singoli territori regionali, e quando non li trovano si rivolgono anche a strutture alberghiere. Si tratta di una gestione straordinaria ed emergenziale, spesso criticata in primo luogo da chi si occupa di asilo, perché improvvisata, in molti casi non conforme agli standard minimi di accoglienza e quindi inadatta ad attuare percorsi di autonomia. Quindi sono uno scandalo non gli alberghi, ma la mala gestione e l’assenza di servizi forniti in quei centri improvvisati".

7. E diamo loro 35 euro al giorno per non fare niente! "In Italia, nel 2014, sono stati spesi complessivamente per l’accoglienza 630 milioni di euro, e nel 2015 circa 1 miliardo e 162 milioni. Il costo medio per l’accoglienza di un richiedente asilo o rifugiato è di 35 euro al giorno (45 per i minori) che non finiscono in tasca ai migranti ma vengono erogati agli enti gestori dei centri e servono a coprire le spese di gestione e manutenzione, ma anche a pagare lo stipendio degli operatori che ci lavorano. Della somma complessiva solo 2,5 euro in media, il cosiddetto “pocket money”, è la cifra che viene data ai migranti per le piccole spese quotidiane (dalle ricariche telefoniche alle sigarette)".

8. Sì, però i terroristi islamici stanno sfruttando i flussi migratori per fare attentati e conquistare l’Europa! "Limitando l’osservazione al terrorismo islamista, i primi 5 Paesi con la maggiore quota di morti sono l’Afghanistan (25%), l’Iraq (24%), la Nigeria (23%), la Siria (12%), il Niger (4%) e la Somalia (3%). Le vittime dell’Europa occidentale rappresentano una quota residuale, inferiore all’1%. L`Italia è terra d’immigrazione con molti cristiani ortodossi: oltre 2 milioni tra ucraini, romeni, moldavi e altre nazionalità. Seguono circa 1 milione e 700mila persone di religione musulmana (compresi gli irregolari e minori), meno di un terzo del totale degli oltre 5 milioni di stranieri in Italia. In Europa solo il 5,8 per cento della popolazione è di religione islamica".

 

Enrico Di Pasquale, Andrea Stuppini e Chiara Tronchin

Alcuni numeri aiutano a mettere nella giusta prospettiva quella che spesso viene definita “emergenza immigrazione”. I costi sostenuti dalla pubblica amministrazione per gli stranieri residenti in Italia sono ampiamente compensati da tasse e contributi versati dagli stessi lavoratori stranieri.

Welfare e stranieri

La polemica sull’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, indicata comunemente come “emergenza immigrazione”, rischia di far dimenticare il reale impatto dell’immigrazione in Italia: 5 milioni di regolari contro 175mila profughi (dato ufficiale dei presenti nelle strutture a fine 2016).
Secondo le stime pubblicate ogni anno sul Dossier statistico immigrazione, poi, il saldo tra il gettito fiscale e contributivo versato dagli immigrati in Italia e spesa pubblica destinata all’immigrazione risulta ampiamente positivo. Nell’ultimo anno per cui si ha il dato, il 2014, nonostante l’onda lunga della crisi abbia inciso sui trasferimenti economici diretti, il saldo tra entrate e uscite varia a seconda del metodo di calcolo da +1,8 a +2,2 miliardi di euro.
Tuttavia, l’opinione pubblica ha una percezione profondamente negativa dei costi indotti nel welfare dalla presenza di stranieri. Al di là del ruolo dei mezzi di comunicazione nella costruzione e nella diffusione delle informazioni, ciò dipende anche da alcuni fattori di carattere socio-economico.
In primo luogo, non si possono negare i casi di abusi nell’accesso al sistema del welfare (tra cui il cosiddetto “turismo del welfare” da parte di cittadini comunitari, pur limitato dalla direttiva UE 2004/38 e da numerose sentenze della Corte di giustizia che negano l’obbligo di prestazioni sociali per cittadini comunitari economicamente inattivi e privi di risorse sufficienti al proprio mantenimento).
Inoltre, mentre la spesa per il welfare e i costi sociali dell’integrazione sono sostenuti principalmente a livello locale (casa, sanità e asili nido), il gettito fiscale e quello contributivo (con l’eccezione dell’Irpef regionale e comunale) si indirizzano verso Roma, divenendo quindi meno “visibili” per le comunità locali. Esempi emblematici sono la sanità (si lamenta spesso una presenza eccessiva di stranieri, soprattutto nei pronto soccorso, nonostante l’80 per cento della spesa sia rivolta agli anziani) e la casa, bene scarso su cui l’opinione pubblica percepisce molto forte la “concorrenza” degli immigrati, anche in presenza di condizioni socio-economiche di oggettivo bisogno (mediamente solo il 20 per cento degli immigrati è proprietario di casa, contro l’80 per cento degli italiani, e il reddito medio di un immigrato corrisponde al 63 per cento di quello di un italiano).

Spesa pubblica e contributo degli immigrati

Osserviamo dunque le principali voci di spesa sostenute dallo Stato italiano per la componente immigrata, utilizzando il sistema di calcolo del costo standard (intendendo il totale dei costi diviso il numero degli utenti, cioè una spesa media pro-capite riferita a un determinato anno fiscale).
Considerando che le principali voci di spesa pubblica italiana sono sanità e pensioni, appare chiaro come siano rivolte principalmente alla popolazione anziana, con una minore incidenza della componente straniera. Sommando le diverse voci (sanità, scuola, servizi sociali, casa, giustizia, accoglienza e rimpatri e trasferimenti economici), per l’anno 2014 si arriva a 14,7 miliardi di euro, pari a circa l’1,8 per cento del totale della spesa pubblica italiana. In particolare, la spesa relativa all’accoglienza dei richiedenti asilo rientra all’interno della voce “ministero dell’Interno”, che include accoglienza, rimpatri e lotta all’irregolarità e ammonta nel 2014 a 1 miliardo di euro, destinato ad aumentare a oltre 3 miliardi a seguito dell’aumento degli sbarchi nel 2015 e 2016.
Dal lato delle entrate, invece, le voci principali sono il gettito Irpef e i contributi previdenziali (che, pur non essendo una vera e propria imposta, nell’anno corrente contribuiscono al sostegno della spesa pensionistica). Sommando anche le altre voci minori di entrata (imposta sui consumi, carburanti, lotto e lotterie, permessi di soggiorno, acquisizioni di cittadinanza), si ottiene un volume di 16,9 miliardi di euro, con un avanzo positivo di 2,2 miliardi di euro. In questo caso sono considerati solo i flussi finanziari diretti, ma andrebbero considerati anche alcuni benefici indiretti, come l’impatto su volume dei consumi, specie in alcuni settori rivolti a fasce di reddito medio-basse.
La maggior parte delle risorse versate allo Stato dagli immigrati (quasi 10 miliardi su 16,9) si concentra nelle regioni con più occupati stranieri (Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Veneto), che da sole raggiungono il 57 per cento del totale. In particolare, i lavoratori stranieri della Lombardia contribuiscono alle casse dello Stato con 4 miliardi, quelli del Lazio con 2,2 miliardi e così via (tabella 1).
Questi dati, presentati a livello regionale, possono essere utili per offrire una diversa prospettiva, dalla quale si vede come i costi sostenuti dalla pubblica amministrazione per l’utenza immigrata (sanità, scuola, abitazioni, giustizia e così via) siano ampiamente compensati dalle tasse pagate e dai contributi versati dagli stessi lavoratori stranieri.

Tabella 1 – Gettito fiscale e contributivo dei lavoratori immigrati, anno 2015

 

* Include Irpef e altre imposte (consumi, carburanti, lotto e lotterie, permessi di soggiorno, acquisizioni di cittadinanza).
Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Istat Rcfl e Mef – Dipartimento delle finanze

La criminalità si combatte regolarizzando i migranti

Uno studio di Paolo Pinotti, dell'università Bocconi di Milano, analizza il tasso di criminalità degli stranieri prima e dopo la richiesta di permesso di lavoro, attraverso il click day del 2007. Risultato? L'incidenza dei reati economici crolla se la domanda è accolta

Un operaio a una manifestazione CgilÈ quasi un assioma. L'illegalità produce crimine. Ma ora uno studio dimostra ancora volta il suo contro-bilanciamento: ovvero la legalità, il crimine, lo riduce. E di parecchio. È quello che spiega una ricerca di Paolo Pinotti dell'università Bocconi di Milano, appena pubblicatasull'American Economic Review.Analizzando il tasso di criminalità di oltre 100mila stranieri prima e dopo il decreto flussi del 2007, Pinotti mostra infatti come l'incidenza si dimezzi l'anno successivo, per chi è stato accettato e messo in regola, mentre resti invariata fra chi è rimasto “clandestino”.

La regolarizzazione, cioè, allontana subito dalla delinquenza. E non solo. «L'accesso al mercato del lavoro legale è sufficiente a innescare il cambiamento, anche se l'immigrato legalizzato non ha ancora un lavoro», spiega Pinotti: «perché l’analisi delle domande suggerisce che molte possano essere fraudolente». Il riferimento è alla gran quantità di richieste presentate per la categoria “badanti” da un connazionale. Come più volte raccontato anche sui media, si trattava spesso di escamotage a pagamento per far ottenere un documento ( un 37enne di Pavia è stato condannato per questo proprio ieri) . Pratiche che non corrispondevano cioè a un'offerta reale di impiego. Eppure, è in queste categorie che l'effetto dell'essere “a posto”, per allontanarsi dalle economie illegali, si fa sentire, a seguire le conclusioni di Pinotti.

Conclusioni che, come ricorda lo stesso autore, si riallacciano a quelle già presentate insieme a Giovanni Mastrobuoni in un paper che ha vinto un premio prestigioso l'anno scorso. E in cui gli studiosi analizzavano due fenomeni incrociati: l'indulto del 2006, con il quale erano usciti dal carcere 22mila detenuti, di cui 10mila stranieri. E l'allargamento della Ue nel gennaio 2007, che ha dato status di cittadini comunitari a rumeni e bulgari, inclusi quanti erano appena usciti dal carcere. Bene: «L'anno successivo il loro tasso di recidiva è risultato la metà di quello di altri stranieri paragonabili, rilasciati dopo lo stesso indulto».

«In entrambi i casi», spiega Pinotti: «la caduta del tasso di criminalità è dovuto ai reati economici, mentre i crimini violenti non vengono influenzati. Ciò suggerisce che la legalizzazione abbassi gli incentivi a commettere crimini che sono sostituti imperfetti di attività economiche legali».

«Se è lo stato illegale, e non lo status di immigrato, a innalzare i tassi di criminalità», continua l'autore: «dobbiamo concludere che le quote sono troppo basse. Secondo le opinioni politiche di ciascuno si potrebbero preferire quote più elevate o una politica di immigrazione più severa e applicata con rigore, ma lo status quo non è comunque efficace».

L'ultimo decreto flussi, in Italia, risale a febbraio scorso.Metteva in palio 30mila posizioni per regolarizzare stranieri attraverso permessi di lavoro, stagionali e non stagionali. Nel 2007, anno di riferimento dello studio di Paolo Pinotti, le posizioni disponibili erano circa 170mila. Le domande presentate: 610mila, in linea con le stime sul numero di stranieri illegali allora presenti sul territorio. Le quote, i “click day”, le regolarizzazioni sul lavoro, non sono più da tempo il canale d'integrazione sostanziale per chi arriva nel nostro paese.

La maggior parte dei nuovi arrivati passa piuttosto dalla richiesta d'asilo, col doppio paradosso di attendere un anno in centri d'accoglienza per poi vedersi respingere la domanda nel 60 per cento dei casi. Come scriveva Fabrizio Gatti sull'ultimo numero, questi ex richiedenti “diniegati” diventano così «persone ridotte a vivere nelle baracche, nelle fabbriche abbandonate, a lavorare in nero: le commissioni territoriali hanno prodotto in quattro anni 120.318 immigrati dichiarati irregolari che, almeno sulla carta, dovrebbero essere trattenuti e rimpatriati grazie alle nuove strutture di detenzione». Se gli strumenti sono cambiati, non cambia però il principio dimostrato dalla ricerca. Che è solo dando accesso al mercato del lavoro legale e in regola che si riduce la criminalità.

È iniziata l’era dell’ingiustizia fai da te

L’ordine di Trump contro l’ingresso dei rifugiati non protegge gli Stati Uniti dal terrorismo. Si tratta invece di una dichiarazione di guerra

Roberto Saviano - La Repubblica
HA il  merito di aver contribuito ad avvicinare le nostre culture, di farci comprendere come, pur nelle differenze, sentiamo la vita allo stesso modo, soffriamo per gli stessi motivi, abbiamo pari aspirazioni.ive in Iran? Cosa sognano i genitori per i propri figli? Quali sono le aspirazioni, quanti i sacrifici? Come è vissuta la religione? E come vive la classe media? Quella che, come accade in Italia, ha spesso una spiritualità moderata, è praticante ma senza fare della religione verbo?

Asghar Farhadi è il regista di “Una separazione”, film bellissimo e delicato che nel 2012 ha vinto l’Oscar come miglior film straniero
. Farhadi ha il


Farhadi ha un nuovo film candidato agli Oscar quest’anno, “Il cliente”, ma - è notizia ormai risaputa - non potrà partecipare alla cerimonia per via di un ordine esecutivo dal nome inutilmente altisonante (Protecting the Nation From Terrorist Attacks by Foreign Nationals) emanato a fine gennaio da Trump. E se pure per Farhadi si facesse una eccezione, lui non parteciperebbe ugualmente, per protesta contro un provvedimento razzista, discriminatorio e che non raggiungerà alcuno scopo (positivo).

Trump in campagna elettorale minacciava blocchi e ora li ha resi operativi, blocchi che riguardano solo i cittadini musulmani. Blocchi che secondo lui e il suo entourage dovrebbero servire a “Proteggere la Nazione Dagli Attacchi Terroristici che provengono dalle Nazioni Straniere”. Come se gli Stati Uniti fossero sotto a ritannico di origini somale, quattro volte oro olimpico, affida a Facebook: «Il primo gennaio la Regina mi ha insignito del titolo di Cavaliere del Regno, il 27 gennaio Donald Trump mi ha trasformato in uno straniero. Sono un cittadino britannico che ha vissuto in America negli ultimi sei anni, lavorando duramente, contribuendo alla società, pagando le tasse e crescendo i miei figli in quella che loro ora chiamano casa. Adesso a me e a molti altri come me, si dice che non siamo più i benvenuti. È terribilmente difficile riuscire a dire ai miei figli che il loro papà potrebbe non tornare a casa. E spiegare loro che il Presidente ha firmato una risoluzione fatta di ignoranza e pregiudizi».

Scrivo mentre il mondo è scioccato da ciò che è accaduto nella moschea di Quebec City: sei persone uccise in quello che il premier canadese Justin Trudeau non esita, giustamente, a definire «attacco terroristico contro i musulmani». Se è la legge del taglione che si voleva ripristinare, allora gli estremisti di tutto il mondo sono stai accontentati perché si è ufficialmente aperta l’orrida era dell’ingiustizia fai da te.ssedio, come se questa non fosse una implicita (nemmeno tanto) dichiarazione di guerra.

Alla vigilia delle elezioni americane, Michael Moore fu tra i pochi a essere certo della vittoria di Donald Trump: «L’elezione di Trump - scrisse - sarà il più grande vaffanculo della storia umana» (io direi il più grande vaffanculo alla storia umana) e con questo intendeva dire che chi avrebbe di lì a poco votato per Trump non appoggiava magari la sua politica, ma voleva mandare un messaggio chiaro: mi avete ignorato per troppo tempo, pago le tasse, sono una parte di questo tutto che mi tiene ai margini e invece voglio contare, ne ho il diritto.

Mo Farah, mezzofondista
 

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