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10 maggio 2013 5 10 /05 /maggio /2013 19:47
Questo politico del PD forse ha sbagliato partito. Non si tratta di essere dalla parte della magistratura o dei magistrati e contro Berlusconi. Questa vicenda richiama un valore storico (non una questione politica), di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, chi governa lo fa in base ai principi delle costituzione a cui è sottoposto in democrazia. Storicamente l'ottenimento di una costituzione e il passaggio alla democrazia è costato lotte e versamento anche di sangue, iniziative dei partiti  e movimenti che si richiamano al movimento dei lavoratori, che ha sempre sostenuto e fatto prevalere  la democrazia sostanziale rispetto a quella formale. Apprendo ora che questo signore è tornato a una concezione prettamente liberale del rapporto tra i governanti e i cittadini. Forse ha sbagliato partito e spero se ne accorga presto  in modo da scegliere lui la propria  giusta  collocazione politica.
Bubbico: "Fino al terzo grado resta innocente"

Nessuna ricaduta sulla maggioranza

Intervista di Francesco Grignetti - La Stampa

Viceministro Filippo Bubbico, ha sentito? Il tribunale di Milano ha appena confermato la condanna per Berlusconi.
« . . . . . (silenzio)».
Vorremmo capire con un esponente importante del governo e del Pd, se temete contraccolpi sul governo.
 «Lei mi vuole portare in mare aperto».
 Un ragionamento a caldo.
«A caldo dico che a malapena ho saputo che c`è stata la conferma in secondo grado».
 Ma secondo lei la navigazione del governo ne potrebbe risentire?
 «Semi chiede di ragionarne ad alta voce, non mi sottraggo. Da una parte dico che la conferma in appello di una condanna di primo grado sostanzia quella condanna. D`altra parte, il nostro ordinamento prevede tre gradi di giudizio e quindi quella condanna, finché non diventa definitiva, è nulla».
Il nulla? Viceministro, non si nasconderà il problema politico.
 «Non me lo nascondo, ovvio. Ma non si può tralasciare che sul piano squisitamente giuridico la posizione non è mutata. Certo, si può effettuare un apprezzamento di altra natura. Definiamola valutazione culturale e politica. Però non dimentichiamo mai i principi di garanzia».
Andiamo al punto. Contraccolpi oppure no?
«Guardi, anche da questi primi pochi giorni di attività verifico che le difficoltà che abbiamo di fronte sono davvero notevoli. Il Paese è allo stremo. Bisogna fare qualcosa e nei tempi più veloci possibili. Il presidente Letta ha impresso un ritmo alto proprio per tentare di risalire la china. Cerchiamo un fattore dí inversione del ciclo che è davvero devastante. E quindi avremmo bisogno di poterci concentrare sulle priorità del Paese».
E come la mettiamo con gli antiberlusconiani militanti. Lei non le sente già, le proteste?
«La questione, per carità, non può essere elusa. Le accuse sono pesanti. E però questo è un tema che sta dentro la valutazione, per ora, solo di chi è protagonista della vicenda. Quando l`esito sarà concluso, allora, e solo allora, è evidente che quell`esito avrà una ricaduta anche di natura politica. Non foss`altro per le implicazioni che determina sul fronte del diritto, perché l`interdizione costituisce una limitazione nell`esercizio di determinate funzioni. Certo il nostro dibattuto politico spesso è orientato dalle emergenze di giornata, ma anticipare la discussione politica oggi, mi parrebbe, come dire?, non utile».
Insomma, semplificando, lei dice: teniamo il governo di coalizione al riparo dalle polemiche dì giornata e rimandiamo un eventuale redde rationem alla sentenza definitiva. Se ne riparla tra un anno?
«Il governo ora deve occuparsi delle emergenze».
E che cosa direbbe a quell`area che scalpita dentro il suo partito? Chi glielo spiega a OccupyPd perché ingoiare il rospo?
«Viviamo un`epoca di profonde contraddizioni. Io stesso sono lacerato. Capisco chi chiede un cambiamento profondo. E dall`altra avverto il senso di responsabilità nei confronti di chi perde il lavoro, di chi lo ha già perso, di chi è disperato. È il momento che è segnato da una crisi drammatica e che ci chiede di esercitare atti di responsabilità nei confronti del Paese piuttosto che misurare le coerenze di natura individuale. Ai giovani che ci contestano dico che stiamo vivendo un passaggio estremamente complicato».        

Saranno pubblicate delle lettere scritte a Serra    da elettori del PD che fanno capire    che chi ha votato questo partiro si è trovato di fronte a un partito reale diverso da quello in cui credeva .

E così all'improviso Bersani si è arreso. Aprendo la porta al PDL

Gentile serra , mi sembra che in questi due ultimi mesi si sia sviluppato un processo che porta al sostanziale tradimento degli orientamenti popolari attraverso le elezioni. Una valutazione oggettiva del risultato elettorale faceva giudicare il Movimento 5 stelle come il vero vincitore. Tratto comune delle piattaforme dei  5 stelle e di Italia bene comune  era  certamente la volontà di tener fuori Berlusconi dal Governo ( e noi eravamo contenti finalmente di non morire Berlusconati) al quale d'altro canto  erano andati 6 milioni di voti  in meno rispetto alla consultazione precedente. Poi sappiamo quel che è avvenuto.

   Nella vicenda restano per me incomprensibili due "nodi". Cosa è successo a Bersani, che aveva coerentenmente insistito per settimane sulla proposta del "governo di rinovamento", per arrivare improvvisamente a  far scegliere  proprio a Berlusconi il candidato al Quirinale in una rosa di nomi già selezionati  con il criterio di non dispiacergli? (il redattore insiste che le persone si giudicano dai frutti, e non dalle parole). Perchè si é arreso alla destra interna (ndr teneva e ha sempre tenuto, prioritariamente, all'unità dell'apparato) Per irresistibile stanchezza  o per calcolo dettato  dall'irrefrenabile desiderio di presiedere un governo comunque?

L'altro punto oscuro riguarda il presidente Giorgio Napolitano. ha fermamente impedito a Bersani di verificare nella sede costituzionalmente propria la proposta dell governo di rinnovamento, immobilizzando - per i tempi non brevi necessari alla successione presidenziale - sotto il fuoco di fila  di tutti gli attaccchi politici e sociali possibili. Qual'era lo scopo?  Alessandro dal Piaz

Ho votato PD e mi sono ritrovata il Cavaliere

Inizialmente ho pensato che Bersani fosse ostaggio dei soliti d'Alema, Veltroni, Finocchiaro, lui l'uomo onesto che per il bene del paese si era fatto umiliare dai grillini pur di trovare  a tutti i costi un accordo con l'unica forza politica capace di rinnovare, di mandare a casa la casta. Poi, con l'ostinazione contro Rodotà (ndr.:siamo ben contenti che i grillini ascoltino Rodotà, invece di dhiedere a lui una differenziazione formale) si è squarciato il velo di fronte ai miei occhi: ho sbagliato tutto, ho dato il mio voto a Berlusconi tramite Bersani. Lui é come tutti i suoi compagni, lui è D'Alema, sono io che ho voluto vedere altro.Non era in gioco l'onore del PD ma la salvezza del paese (ndr.:la salvezza dell'apparato prima di tutto, poi tutto si recupera) Cristiana Micarelli

La speranza tradita di un cambiamento radicale

Ho votato PD e vorrei chiedere scusa al mio paese, speravo in un cambiamento in un allontanamento dalla politica delle tattiche  e delle strategie, in una seeia volontà  di combattere la corruzione che strangola la nostra economia.

    Vorrei sapere quale senso di responsabilità c'è a governare con il PDL, che ci ha portato a questo punto e che è popolato da persone impresentabili. Con il movimento 5 stelle non si sa bene che fine si fa?Bene, con questi lo sappiamo benissimo!

 Ho sperato fino all'ultimo che ci fosse un barlume di luce fra i deputati del PD, che votassero Rodotà, zh ascoltassero la voce di chi li ha eletti. Emuaìela La Torre (Roma)

Un' Italia nuova? Alla fine è resuscitata la destra affarista

Dopo circa ventanni sembrava finalmente giunto il momento di archiviare il disastro della destra affarista, ladra ed eversiva. L'intransigenza ottusa di Grillo e l'anima dera del gruppo dirigente PD hanno esumato la salma. Ai fessi che come chi scrive hanno sperato in un cambiamento votando e sottoscrivendo appelli per far sì che di giungesse  ad un accordo fra PD e movimento 5 stelle resta solo una rabbia sorda. Domenico Bonzi
 

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5 maggio 2013 7 05 /05 /maggio /2013 17:15

Si comincerà con una riflessione di Piero Gobetti da parte di Paolo di Paolo.

  http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-f00d93cf-b697-4d75-acab-058cf8d42144.html

La scomparsa dei post-comunisti (Michele Serra).

30/04/2013

A PARZIALE consolazione di quei milioni di elettori di sinistra che si sentono tagliati fuori dalla scena politica (no, non avevano votato per fare un governo con Berlusconi), va detto che una sorte analoga è toccata alla classe dirigente della sinistra storica quasi al completo. Il “quasi” è dovuto all’autorevolissima eccezione di Giorgio Napolitano, riconfermato al Colle e primo artefice del
nuovo governo.

Meritato coronamento della vocazione governativa e lealista della destra comunista, da sempre capace di interpretare, nella lunga storia repubblicana, il punto di vista dello Stato ben più di quello della società, dei movimenti, degli umori popolari.
Di tutto il resto – quel cospicuo resto che è la sinistra di Berlinguer e di Occhetto, della Bolognina e della “svolta maggioritaria” di Veltroni al Lingotto, dell’Ulivo, dei sindacati e dei movimenti di massa, dei due milioni di persone con Cofferati al Circo Massimo, dei cortei infiniti e delle infinite attese di “cambiamento” – non rimane, nel consociativismo lettiano, alcuna presenza riconoscibile e significativa.
Almeno in questo senso il principio di rappresentatività è rispettato: eletti ed elettori di quel grande ceppo fondante del Pd che fu la diaspora comunista non fanno parte del governo Letta. Non un solo leader della generazione di mezzo (i D’Alema, i Veltroni, i Bersani) è direttamente partecipe di una compagine che pure pretende di reggersi su tante gambe quante sono quelle all’altezza dell’emergenza politica, e dunque della responsabilità istituzionale. Domina la componente popolare e cristiano sociale; e nei pochi casi (vedi le neoministre Kyenge e Idem) in cui la sinistra italiana può riconoscere almeno qualcuna delle proprie migliori aspirazioni, non si tratta di dirigenti politiche ma di una sorta di evidenza sociale che bypassa il partito: è il partito che le porta in spalla, ma sono loro a salutare la folla.
A meno che, in questo scomparire di una intera generazione di capi politici della sinistra, ci sia un sottile calcolo (“meglio, in questa fase, farsi notare il meno possibile”), se ne deve dedurre un fallimento epocale. Quello di una classe dirigente logorata dal tatticismo e sfibrata dalle rivalità interne; e di un modello di partito così poco permeabile alla società che, evidentemente, non ha potuto selezionare i propri uomini e le proprie donne nel vivo dei conflitti, e si è illuso di potere coltivare in vitro, nel chiuso dei propri ruoli di competenza, una élite che invecchiava, perdeva mordente, perdeva sguardo su una società che guardava a sua volta altrove.
In una recente intervista al “Manifesto” di Stefano Rodotà, al netto delle opinioni che si possono avere sulla persona e sul tentativo politico di portarlo al Colle, ci si riferiva a un episodio che fotografa con assoluta spietatezza la crisi strutturale della sinistra italiana, e del Pd in particolare. Subito dopo la clamorosa e inattesa vittoria nei cinque referendum del 2011 sull’acqua pubblica e altro (quorum ottenuto, dopo molti anni, grazie all’auto-organizzazione sul territorio), Rodotà racconta di avere inutilmente sollecitato un incontro tra i Comitati vittoriosi (con i quali aveva lavorato) e i dirigenti del Pd. Quell’incontro non ebbe luogo, forse non interessava o forse nel Pd c’erano cose più urgenti da fare. Fatto sta che, con il senno di poi, possiamo ben dire che in quel caso la sinistra perdente (quella degli apparati) perse l’occasione di confrontarsi con la sinistra vincente, quella auto-organizzata, vivace, attiva che ebbe tante parte, tra l’altro, anche nella vittoria di Pisapia a Milano e nella caduta del centrodestra in molte città italiane.
Perché quell’episodio è amaramente simbolico? Perché da molti anni – diciamo, per comodità, dalla Bolognina a oggi: e sono più di vent’anni – ogni tentativo di osmosi tra la sinistra-partito e la sinistra-popolo ha cozzato una, dieci, cento, mille volte contro finestre e porte chiuse. La domanda è semplice, ed è tutt’altro che “populista”, riguardando, al contrario, il tema cruciale della formazione di una élite: quanti potenziali leader, quanti quadri politici appassionati, quante nuove idee, quanta innovazione, quanta energia è stata perduta dalla sinistra italiana a causa, soprattutto, della sua incapacità di fare interagire le sue strutture politiche e il suo popolo, i dirigenti e i cittadini? Quante di quelle energie sono confluite nelle Cinque Stelle, portandosi dietro altrettanti voti? Quanto alto è stato il costo politico di un partito che per timore di perdere “centralità” ha perduto realtà, e infine ha perduto competenze, autorevolezza, e con l’autorevolezza il senso stesso della missione di qualunque vera avanguardia politica?
Infine e soprattutto: per quanti anni ancora varrà, a sinistra, il pregiudizio contro il “radicalismo minoritario” (sono state queste, più o meno, le ragioni addotte da alcuni per spiegare il loro no a Rodotà), quando le sole vittorie recenti, dall’acqua pubblica alle amministrative, sono il frutto evidente di scelte radicali, e non per questo meno popolari, e infine maggioritarie? Chi è più snob – per usare un termine tanto di moda – Rodotà che lavora con i Comitati per l’acqua e vince il referendum o un partito così castale, così impaurito da rinserrarsi a litigare, per anni, nel chiuso delle proprie stanze?

Da La Repubblica del 30/04/2013.

Inizio modulo

 PD, la sindrome del rigetto

03 maggio 2013 —

L'EPISODIO di lotta di classe intrapresa nel Pd dai volontari del servizio d'ordine torinese, che al corteo del 1° maggio si sono rifiutati di garantire la tutela dei parlamentari, va al di là della dialettica base-vertice.

I quadri più "fidati" della sinistra torinese - invitando i dirigenti a farsi proteggere dalla polizia anziché dalla struttura militante che in passato tutelò la sicurezza di personalità minacciate dai terroristi come Ugo Pecchioli e Luciano Violante, e che scortava Giorgio Amendola anche quando egli richiedeva "sacrifici senza contropartite" ai lavoratori - denunciano un'incompatibilità culturale senza precedenti: quasi che oggi esistessero non uno, ma due Partiti democratici. Mai prima d'ora avevano rotto una silenziosa disciplina. Si sono dichiarati al servizio dei lavoratori in corteo, ma non di chi dovrebbe rappresentarli. Hanno marciato con gli iscritti autonominatisi "Resistenti democratici" dietro a uno striscione inequivocabile: "No all'inciucio Pd-Pdl"; e con loro invocavano "Congresso libero e subito!".

Guai a confondere questi militanti del movimento operaio con gli antagonisti che issavano uno striscione recante l'effigie di Luigi Prieti, detestabile apologia della violenza armata. Né li possiamo ascrivere al novero dei grillini che teorizzano l'indifferenza fra destra e sinistra. Diversamente che nel passato, quando si fronteggiarono in varie modalità riformisti e rivoluzionari, moderatismo e estremismo, stavolta la voragine si è aperta dentro al partito, o meglio fra partito e popolo democratico. A Torino come nel resto d'Italia. È come se i dirigenti del Pd non avessero ben valutato le conseguenze delle procedure democratiche con cui avevano chiamato fino a pochi mesi fa l'elettorato e i tesserati alla partecipazione attiva. Dibattito libero, frequente ricorso alle primarie per sciogliere i nodi politici e selezionare i dirigenti. Con la democrazia non si scherza. Il rigetto diviene inevitabile e incontrollabile quando i dirigenti, anziché rivendicare uno spazio di autonomia decisionale, tramano nell'ombra; e una parte cospicua di loro vota contro Prodi al Quirinale, già considerando obbligata nei fatti l'alleanza di governo col Pdl che respingevano a parole. Doppiezza inaccettabile dacché l'epoca del centralismo democratico è archiviata. Un partito fondato sulla sovranità dei cittadini elettori non può tollerare un cambio repentino di strategia, votato da una Direzione durata meno di tre ore.

Così l'imboscata dei 101 franchi tiratori, nessuno dei quali ha avuto il coraggio di motivare la propria scelta, e la conseguente nascita del governo di coalizione con la destra berlusconiana, ripropongono la categoria (impolitica?) del tradimento. Di ben altro spessore fu il travagliato dibattito sul "compromesso storico" che, a partire dal 1973, preparò nel vecchio partito di massa il varo del governo di larghe intese, tre anni dopo.

Le lacerazioni che pure allora si produssero nel popolo di sinistra, in particolare sui temi dell'austerità e dei sacrifici richiesti alle classi lavoratrici, furono certo dolorose. Ma le accuse di svendita e di "imborghesimento" - di tradimento, insomma - giunsero quasi solo dall'estrema sinistra: i militanti del Partito comunista non dubitavano dell'onorabilità dei loro dirigenti, garantita da biografie gloriose e stili di vita condivisi.

Oggi la percezione è drammaticamente mutata, come rivela anche l'ammutinamento di Torino. Non basta il prestigio di Napolitano - l'unico che ha parlato chiaro-a convincerei militanti che si possa/debba rifare il compromesso storico, con Berlusconi al posto di Moro. Non bastano le mezze frasi di D'Alema per giustificare l'affossamento della candidatura di Prodi. Illudersi che la politica segua il suo corso e che alla fine la base "digerirà" anche questo passaggio, significa ignorare non solo le tensioni sociali ma anche le legittime aspettative di condivisione che lo stesso Pd - novello apprendista stregone - ha sollecitato.

Come si fa a predicare l'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione e al tempo stesso rinnegare una linea politica democraticamente assunta? "Congresso libero e subito!", chiedevano il 1° maggio i rivoltosi di Torino. Lo si convochi immediatamente, prima dell'estate, riconoscendo non solo legittima ma preziosa questa richiesta che - per quanto ancora? - giunge dai quadri più generosi, quelli che sacrificano le notti per vigilare sulle feste del partito e che fino a ieri si sentivano in dovere di proteggere i dirigenti, meritevoli di rispetto sia pure nel dissenso. Quel patrimonio di rispetto è stato dissipato, il che renderà ancora più denso di incognite il percorso congressuale.

Rimetterà in discussione la tenuta del governo Letta? È probabile. Di certo non sarà indulgente con i responsabili del disastro. Ma chi si illudesse di ridimensionare il travaglio in corso a malcontento sopportabile, non si rende conto che in poche settimane il Pd rischia di perdere il suo popolo. E la sua anima.

- GAD LERNER

Le cose vere di questa situazione politica le raccogliamo non dal gruppo dirigente del PD, ma da singole persone che hanno il coraggio di dire " pane al pane e vino al vino".Saranno quelle che si rivolgeranno agli iscritti e agli elettori di questa organizzazione e cacceranno il gruppo dirigente che pensa solo alla sua soppravvivenza come tutte le strutture e gli apparati. Non vi sembra che già ci sia stata una scissione tra questo gruppo dirigente e coloro che ruotano attorno a questo mondo ?- alle sole elezioni politiche  il partito ha  perso 3.500.000 voti - Questo gruppo dirigente pubblicamente affermava"abbiamo capito: é l'ora del rinnovamento" e poi ha agito e si è comportato in modo opposto. Non è  perchè evidenemente era convinto che questa era la soluzione migliore?   Dopo il risultato delle elezioni il popolo del centro sinistra era contento soprattutto perchè finalmente il Berlusconi era fuori gioco. E questo gruppo dirigente (per convinzione o incapacità - politicamente è la stessa cosa - gli incapaci fanno altrettanti disastri dei ladri) si meraviglia perchè la sua area si ribella e lo manderà a casa perchè ha rimesso in gioco e gioca di rimessa su Berlusconi? Non si sa ancora chi siano i 103  grandi elettori che hanno fatto fuori Prodi. I dirigenti  innalzano un muro di omertà. A scuola mia, come in tutti i posti di lavoro, si conosceva, (anche il preside) si sapeva delle azioni e del comportmento di chi lavorava nell'istituto .

Il gran rifiuto del ribelle Mattiello "no alla pacificazione di Silvio"

Davide Mattiello deputato del PD, è uno dei dissidenti che hanno negato la fiducia  a Letta. Ha fatto parte dell'ufficio di presidenza dell'associazione Libera di don Luigi Ciotti e attualmente è presidente della Fondazione Benvnuti in Italia, da lui definita una lobby che si occupa di politica.

Onorevole Mattiello, perchè ha scelto di uscire dall'aula?

Mi hanno spinto la mia coscienza , la mia storia, le ragioni per le quali ho accettato la candidatura del PD come indipendente

Una questione di nomi che considera inaccettabile?

Nè nomi, nè contenuti. Il nodo é il significato storico di questo governo. Come dicono Gelmini e Brunetta, è il tentativo di pacificare il paese sulle loro posizioni

Qualcosa di incontrario?

No, ma il punto è un altro. La loro pacificazione significa chiudere  sul piano politico la guerra  cominciata con le stragi del '92 e '93

La vostra pacificazione come si ottiene?

Vogliamo arrivarci sul piano della legalità, con l'azione della magistratura. L'Italia affonda nella corruzione, nel rapporto irrisolto tra politica e mafia. se si chiude con un accordo politic, diciamo agli italiani che la furbizia paga.

Ha considerato l'ipotesi di dimettersi?

  Ne ho parlato con il capogruppo Speranza. Le dimissioni sono state respinte

Intevista a Corradino Mineo : "osceno l'accordo sugli ex ministri di Silvio, più che larghe intese sono ampie divisioni"

Corradino Mineo, ex direttore di Rai News e ora senatore del PD, è a cena quando lo raggiunge la notizia che il suo partito avrebbe chiuso l'accordo con il Pdl sulle commissioni parlamentari. A mineo va di traverso il boccone:

 E' così se ne faccia una ragione. Amereggiato ?

Amereggiato per una modestissima trattativa partitocratica? non ci penso neppure. Anche perchè vedo ampi spazi per lanciare una politica diversa.

Diversa dalle larghe intese?

Più che il governo delle larghe intesemmi pare che questo sta diventando il governo delle ampie divisioni. Ha visto lo scontro sul ministro Kyenge?

Stiano al tema, le presidenze delle commissioni. A quest'ora si fanno i noi di Nitto palma alla giustizia  e Paolo Romani alle Comunicazioni. Che ne dice?

  Non ci credo. Questi due nomi sono un insulto a tutti quegli italiani che hanno chiesto con il loro voto, un rinnovamento della politica e un sistema dei media liberato dagli interessi oligopolistici.

 Una ptovocazione dunque?

 Esatto, una provocazione. Di più.: nitto Palma è quello che vorrebbe la mordacchia ai giornalisti e pensa  che la magistratura non deve disturbare il manovratore. Immaginare di eleggere l'ex guardiasigilli di Berlusconi alla Giustizia per me  è una proposta oscena

Per lei non è potabile?

Per me no.

E Romani?

Uguale. Una barzelletta: la volpe a guardia del pollaio! E' l'uomo che dava ordini alla Rai per conto di Berlusconi. Ma di cosa vogliamo discutere?

Prima si indigna e poi se ne lava  le mani?

 Ma no, è che guardo oltre questo governicchio. Pensando più grande, non mi pare che questo governo sia in grado di far scendere una coltre di ghiaccio sul paese.mCi sono tante cose da fare in parlamento, a partire dallo ius soli.

E il conflitto di interessi?

Ceamente anche questo. Anzi proprio una legge severa sul conflitto di interessi può essere la migliore risposta a questa provocazione delle commissioni.

 Senta Mineo, il PD ha fatto un accordo con il PDL per il governo. Perchè mai non dovrebbe farlo  per le presidenze dulle commissioni?

 Infatti questo mostriciattolo è solo la manifestazione di un problema più grave e generale. Che nasce l giorno in cui sono andati in ginocchio a chidere a Napolitano di ricandidarsi . Io ero contrario come si sa.

Lei in quale commissione andrà?

  Sarei andato volentieri agli affari costituzionali , ma pare che non ne sia degno. Allora mi metterò alla cultura. Ora voglio proprio vedere  cosa accadrà sulle commisioni bicameerali. Me lo devono dire in faccia che non vado bene per la Vigilanza Rai.

C' è già un progetto per un nuovo PD dell'ex ministro del governo Monti  Giuliano Barca. Lo trovate al sito:

http://www.scribd.com/doc/135523966/Fabrizio-Barca-Un-partito-nuovo-per-un-buon-governo

 

Assalto alla Costituzione

di Stefano Rodotà, da Repubblica, 3 maggio 2013

Come, e da chi, sarà governato questo paese nella fase che si è appena aperta? La prima risposta è tutta politica e deve partire dalla constatazione che Berlusconi è il vincitore della partita sulle macerie del Pd. E, in quanto tale, non sarà solo il lord protettore di questo governo, ma il depositario di un potere di vita e di morte. La seconda riguarda il modo stesso in cui il governo si è costituito e si è presentato: un governo "per sottrazione", non tanto per l'esclusione di pezzi del vecchio personale politico (in realtà, una vera "rottamazione" riguardante il solo Pd), quanto piuttosto per il silenzio su una serie di questioni evidentemente ritenute "divisive" (l'orrenda parola che connota sinistramente il nuovo lessico politico). La terza risposta è istituzionale ed è affidata all'invenzione di una Convenzione che dovrebbe, nelle parole del presidente del Consiglio, farci uscire dalla Seconda e traghettarci nella Terza Repubblica. La quarta, ma in verità la prima, è quella sociale, che riassume le urgenze dell'economia e il dramma delle persone.

Partiamo, allora, proprio da quest'ultimo tema. Sono stati descritti, in questi anni, alcuni caratteri che veniva assumendo la società italiana, caratterizzata da una serie di fratture profonde, non riferibili soltanto alla sfiducia crescente verso politica e istituzioni, ma soprattutto alla progressiva lacerazione del tessuto sociale. Ma queste rilevazioni oggettive non sono mai state prese seriamente in considerazione. Poiché l'unica bussola è stata quella dell'economia, e il mercato è vissuto come un'invincibile legge naturale, tutto il resto è stato ritenuto "sacrificabile". E infatti la parola "sacrifici" è stata correntemente usata con allarmante leggerezza, senza essere capaci di rendersi conto che così veniva messa a rischio la coesione sociale e s'inoculava il virus della violenza. Quella inammissibile dell'aggressione armata, ma pure quella terribile del "tempo dei suicidi", accompagnate dall'aumento dei reati documentato da commercianti e imprenditori come effetto del disagio che spinge all'illegalità chi vede in ciò una via obbligata per la sopravvivenza. E' giusto, allora, invocare misura nel linguaggio, invito che tuttavia dovrebbe essere rivolto a tutti coloro che nel corso degli anni si sono fatti seminatori di discordia e imprenditori della paura. Ma è doveroso un riconoscimento a chi incanala la protesta sociale nelle forme della legalità. Penso alla Fiom, tante volte aggredita, che ha scelto la via giudiziaria per affermare i diritti dei lavoratori.

Siamo ormai di fronte ai drammi dell'esistenza, e la capacità di governo dei processi sociali si misurerà proprio in questa dimensione, che non può essere dominata dalla prepotenza dell'economia. Se la politica vuole ritrovare il filo costituzionale perduto, deve pur ricordare che la Costituzione parla di "esistenza libera e dignitosa" collegata alla retribuzione, sì che né il lavoro può essere considerato una merce, né l'azione pubblica può essere pensata solo come rimedio per le situazioni di povertà, pur essendo evidente che interventi in quest'ultima direzione siano urgenti. La discussione generale sul reddito di cittadinanza non può essere elusa in una prospettiva che guarda a un nuovo welfare, così come il mondo del lavoro non può essere lasciato privo di una legge sulla rappresentanza sindacale.

Legalità e Costituzione ci portano al non detto del programma di governo, al suo essere prigioniero della logica della sottrazione. Non una parola del presidente del Consiglio sui diritti civili, terreno sul quale in tutto il mondo si discute, si sperimenta, si innova, si legifera. I prossimi anni saranno quelli di un isolamento civile del nostro paese? Eppure, davanti a Governo e Parlamento stanno questioni ineludibili. La legge sulla procreazione assistita, la più ideologica e sgangherata tra i tanti mostri legislativi partoriti dalle maggioranze di destra, è stata fatta a pezzi dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo: coerenza vorrebbe che si abbandoni la logica proibizionista, che ha prodotto un turismo procreativo che discrimina le donne in base alle loro risorse finanziarie, e si approdi ad una legge essenziale, rispettosa del diritto all'autodeterminazione e di quello alla salute, come la Corte costituzionale ha detto chiaramente. Il presidente della Corte ha recentemente ricordato una sentenza della Consulta che ha riconosciuto alle coppie di persone dello stesso sesso il diritto fondamentale a veder riconosciuta la loro situazione, rinviando correttamente al Parlamento la definizione delle modalità del riconoscimento. Può il Parlamento lasciare senza garanzie un diritto fondamentale delle persone? Possono gli eletti del Pd dimenticare che questo era un aspetto assai sbandierato del loro programma e compariva tra gli 8 punti di Bersani? Si potrebbe continuare, ma bastano questi esempi per mostrare che cosa si sacrifichi sull'altare delle larghe intese.

Conosco la vecchia obiezione. I diritti sono un lusso in tempi di crisi, Bertolt Brecht fa dire a Mackie Messer, nell'Opera da tre soldi, "prima la pancia, poi vien la morale". Ma la dignità delle persone, il rispetto dovuto a ciascuno sono ormai un elemento costitutivo delle società democratiche. Possiamo dimenticarlo, sia pure per un momento? Peraltro, la cancellazione della dimensione dei diritti contraddice la dichiarata attenzione per l'Unione europea, dove ormai la Carta dei diritti fondamentali ha lo stesso valore giuridico dei trattati e afferma chiaramente l'indivisibilità dei diritti.

Le convenienze purtroppo spingono in questa direzione, e tuttavia questo erode la legittimità del governo e la credibilità del Pd, cosa che dovrebbe preoccupare assai, e spingere ad azioni concrete, quei parlamentari che hanno manifestato critiche e preoccupazioni. E che dovrebbero essere memori, di nuovo, degli 8 punti di Bersani, dove comparivano la legge sui conflitti d'interesse e sull'incandidabilità, sul falso in bilancio e sulla prescrizione dei reati. Tutti temi che, malinconicamente, sembrano archiviati.

Qui nasce un ulteriore, significativo problema politico. I gruppi di opposizione hanno responsabilmente parlato della loro volontà di valutare nel merito, senza pregiudizi, i singoli provvedimenti del governo. E tuttavia il ruolo dell'opposizione non può ridursi al gioco di rimessa. Utilizzando anche le norme regolamentari che assegnano spazi garantiti per la discussione delle loro proposte, i gruppi d'opposizione presenteranno certamente proposte proprie, tra le quali con ragionevole probabilità compariranno alcune almeno tra quelle ricordate. Saranno valutate dalla maggioranza di governo con lo stesso spirito costruttivo manifestato dalle opposizioni? O questa si trincererà dietro un rifiuto pregiudiziale, vedendo in quelle proposte l'intenzione di mettere in difficoltà il governo?

Ma il punto più inquietante della linea istituzionale enunciata dal presidente del Consiglio risiede nella proposta di istituire una Convenzione per le riforme. Preoccupa il collegamento tra riforma elettorale e modifiche costituzionali, che contraddice la proclamata urgenza del cambiamento della legge elettorale e rischia, in caso di crisi, di farci tornare a votare con il porcellum (legge che contiene un clamoroso vizio d'incostituzionalità). Preoccupa la spensieratezza con la quale si parla di mutamento della forma di governo. Preoccupa lo spostamento in una sede extraparlamentare di un lavoro che - cambiando il titolo V della Costituzione, l'articolo 81, le norme sul processo penale - le Camere hanno dimostrato di poter fare, con il rischio di avviare un improprio processo costituente "suscettibile di travolgere l'insieme della Costituzione" (parole di Valerio Onida nella relazione dei "saggi"). Inquieta la pretesa di Berlusconi di vedersi attribuire la presidenza di questa Convenzione, dopo essere stato l'artefice di una riforma costituzionale clamorosamente bocciata nel 2006 da sedici milioni di cittadini.

Rispetto a questa linea si manifesteranno certamente le opinioni critiche in quel mondo della sinistra che, in questi anni, ha cominciato a ricostruire una vera linea di politica costituzionale, consapevole dei problemi della democrazia rappresentativa, ma convinta che la via d'uscita non sia quella dell'accentramento dei poteri e della cancellazione dei diritti. Molte forze vitali sono già in campo, e non mancheranno di far sentire la loro voce.

 

 

 

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1 maggio 2013 3 01 /05 /maggio /2013 08:01

«Oddio, mi fate le foto? L’avessi saputo mi sarei sistemata un po’ meglio». La rivoluzione della signora del Parlamento arriva anche con una frase così. Quella semplicità che non ti aspetti tra gli affreschi e gli stucchi di Montecitorio e che Laura Boldrini ha deciso di rendere la sua cifra distintiva, il leitmotiv della campagna per un Palazzo che parli «la stessa lingua della gente là fuori». Bella nella sua giacca nera di seta («15 euro in un negozio cinese», sorride), ci riceve tra una riunione e l’altra. Sulla scrivania file di post-it e tre tavolette di cioccolata amara, «la dose», dice, «per resistere al lavoro fino alle undici di sera». 52 anni proprio in questi giorni, scherza anche sul suo compleanno: «Le rughe? Come diceva Anna Magnani: ci ho messo tanto a farmele venire e adesso me le volete togliere?». Per due decenni ha inseguito le crisi del mondo per conto delle agenzie delle Nazioni Unite, dal Pam alla Fao, all’Unhcr di cui è stata portavoce agguerrita e telegenica. Poi ha deciso di candidarsi «per indignazione», racconta. Eletta nelle liste siciliane di Sinistra Ecologia Libertà, il 16 marzo è stata catapultata sulla poltrona di terza carica dello Stato, da cui gestisce un’Assemblea spaccata e difficile.

Laura Boldrini, com’è fare il presidente della Camera?
«Essere stata scelta è stato uno choc, una sorpresa assoluta. L’ho scoperto la mattina stessa del voto. Pensavo che da deputata avrei lavorato sui temi internazionali di cui mi sono sempre occupata nei vent’anni di lavoro all’Onu. E invece mi sono ritrovata qui».

Difficile rivestire un ruolo per cui non era preparata?
«In realtà nelle agenzie delle Nazioni Unite mi ero allenata alla mediazione, alla terzietà. Una pratica che mi rende familiare il compito attuale». Meno familiari le saranno gli effetti collaterali della popolarità. Un giornale ha pubblicato foto di lei insieme al suo compagno Vittorio Longhi col titolo: “Ecco il toyboy del presidente della Camera”.

Come si è sentita?
«È stato vergognoso. Ci sono uomini che stanno con ragazze più giovani di trenta-quaranta anni e questo viene considerato normale. Se una donna ha un compagno di 11 anni di meno, diventa subito uno scandalo, e questo dimostra un maschilismo inaccettabile, un’arretratezza allarmante. Vittorio è un giornalista che non ha barriere culturali e ha una visione che esce fuori dai confini nazionali. Con lui divido da cinque anni anche ideali e impegno. Per fortuna è un uomo che sorvola su queste robacce». Lei no... «Io mi indigno.

Ma cosa vogliono?
Non sono conformista, non rispondo al cliché della donna mansueta, cerco rapporti paritari.

E allora?
Non sanno come attaccarmi e per questo provano con il fango sulle mie scelte private. Hanno fatto anche circolare foto di una donna nuda in una spiaggia naturista, come se fossi io: ovviamente un falso assoluto, che però ha girato per giorni su siti e pagine Facebook. Tra uomini lo scontro rimane sempre politico, contro una donna si passa subito allo sfregio di tipo sessuale».

Ha contato il fatto di essere donna nella sua elezione e ora nella sua popolarità?
«Sono consapevole del fatto che si cercasse un segnale di rottura. Una donna proveniente dalla società civile lo è stato».

Lei è per le quote rosa?
«Non siamo tutte uguali noi donne, non bisogna essere ideologici neanche in questo campo. Ma in alcuni casi le quote sono state uno strumento per cambiare le cose».

In missione

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Laura Boldrini è la terza donna a guidare la Camera dei Deputati nella nostra storia repubblicana. Prima di lei solo Nilde Iotti e Irene Pivetti.

In missione

Laura Boldrini, 52 anni, marchigiana, seduta nel suo ufficio alla Camera dei Deputati. Sulla scrivania conserva una scorta di cioccolato fondente.

Laura Boldrini, 52 anni, marchigiana, seduta nel suo ufficio alla Camera dei Deputati. Sulla scrivania conserva una scorta di cioccolato fondente.

In missione

L'insediamento alla Camera di Laura Boldrini

L'insediamento alla Camera di Laura Boldrini

In missione

I neo eletti presidenti della Camera Laura Boldrini e del Senato Pietro Grasso con l'ex presidente del Consiglio Mario Monti nel marzo scorso

I neo eletti presidenti della Camera Laura Boldrini e del Senato Pietro Grasso con l'ex presidente del Consiglio Mario Monti nel marzo scorso

Laura Boldrini presidente della Camera

Vedere, ascoltare, denunciare, costruire solidarietà tra organismi di ogni appartenenza e premere sulla politica, perché non ignori le tragedie umane dentro e fuori dai confini. È stato il lavoro di Laura Boldrini, per più di un decennio, all’UNHCR, raccontato (anche) sul blog Popoli in fuga tenuto fino a marzo sul sito di repubblica.it. Nei Balcani dilaniati dalla guerra civile, poi in Afghanistan, in Pakistan, in Somalia, in Angola, dove occorreva orchestrare gli aiuti ai profughi e ai migranti o almeno prestare ascolto alla richiesta dei diritti umani, nei campi di (scarsa) accoglienza di Lampedusa, tra gli immigrati di Rosarno, o all’imbarco aereo di chi, privo di permesso di soggiorno, veniva rimpatriato a forza. Sui suoi Incontri ed esperienze Boldrini ha scritto due libri, Tutti indietro e Solo le montagne non si incontrano mai (entrambi editi da Rizzoli).



Per il Quirinale era stato fatto anche il suo nome...
«Non scherziamo! Già qui devo fare tante cose. Devo imparare, familiarizzare con l’amministrazione. Questo è un bel lavoro e voglio portarlo avanti».

La sua bellezza l’ha favorita nel lavoro e ora in politica?
«Quello che conta è soprattutto l’impegno che metti nelle cose, la passione, il modo in cui ti poni nei confronti degli altri, quanto fai sentire a proprio agio le persone che incontri. Essere bella? Serve alle attrici, forse. In Italia casomai se hai un aspetto gradevole ti devi spendere per far capire che hai anche un cervello».

Quale le piacerebbe fosse la prima legge del “suo” Parlamento?
«La madre di tutte le emergenze in Italia è il lavoro. Va rilanciata la produzione. Bisogna intervenire sull’occupazione di giovani e donne. Delle donne poi mi piacerebbe fosse tutelata l’immagine. L’utilizzo attuale del corpo delle donne nella comunicazione non ha eguali nel mondo: dai vestiti allo yogurt alle auto, tutto in Italia è venduto sfruttando l’immagine femminile. Un’immagine che non ci rappresenta. Siamo ridotte a corpi, non persone che lavorano, pensano. Credo che questo sia un danno per il paese».

Ha cresciuto una figlia da madre separata e lavorando duramente in giro per il mondo. Come ce l’ha fatta?
«Mia madre mi è stata vicina. Ho avuto la fortuna di poter avere aiuto in casa. Quando Anastasia era piccola ho sempre cercato di motivarla su quello che facevo. Quando andavo in missione per conto delle agenzie delle Nazioni Unite lei mi preparava una piccola valigia con dentro suoi vestiti e giochi . Mi diceva: “Mamma, dalla a uno dei bambini che vai ad aiutare, ma fai una foto, così sono sicura che lo fai”. Certo, io so che in termini di presenza, della mia presenza, l’ho penalizzata. Ma siamo cresciute insieme, oggi condividiamo un percorso di vita. È una ragazza serena, di indole profondamente buona».

Quando ha cominciato a viaggiare?
«Io vengo dalla provincia marchigiana. Da piccola studiavo in una scuoletta in mezzo ai campi. Quando andavo a trovare la nonna a Matelica mi sembrava un viaggio in una grande città. Lì c’era il cinema, le macchine, le amiche. Da quei viaggi ho cominciato a fantasticare il “lontano”. Volevo fare la giornalista: girare per il mondo e raccontare gli altri».

E poi?
«A 19 anni me ne andai in Venezuela, a lavorare in una risaia. Poi su fino a New York. Litigai con mio padre per quel viaggio, per anni non mi ha più parlato. Per me fu fondamentale, l’inizio di una ribellione e di un’utopia».

Che l’ha portata qui.
«Che mi ha portato prima a fare qualche contratto in Rai e poi a lavorare alla Fao, al Programma alimentare mondiale e all’Alto Commissariato per i rifugiati. E infine qui».

Rimpianti?
«Un anno e mezzo fa in pochi mesi ho perso mio padre, mia madre, una sorella, una zia. Mi dispiace di non essere stata più vicina ai miei genitori, di non essere riuscita a instaurare di più un rapporto da adulta, non da figlia».

Lei è cattolica?
«Sì, credente. Anche se non molto praticante. Ho ricevuto un’educazione religiosa. Mio padre ci faceva recitare il rosario in latino, la sera».

Chi è stata la prima persona che ha chiamato quando è stata eletta? «Anastasia, mia figlia. Lei studia Scienze politiche in Inghilterra, era stata qui per votare. Quando mi hanno scelta come presidente le ho telefonato, ma dormiva. Mi ha risposto stordita: “Ma non ti avevano già eletta?”. C’è voluto un po’ per spiegarle».

Che fa nel tempo libero, se ne è rimasto un po’?
«Io cammino, nel tempo libero. Riesco a farlo anche adesso. Mi colpisce che molta gente mi fermi e mi incoraggi».

Ha tagliato la sua scorta, ha tagliato le spese della Camera. Crede che la gente chieda alla politica soprattutto di essere austera? Non teme si balli un po’ sull’orlo del populismo, del facile “dagli alla casta”?
«La gara ai tagli come espressione unica della politica è molto riduttiva. Ho voluto dare un biglietto da visita agli italiani perché fosse un esempio, l’ammissione che il superfluo va eliminato in questi tempi in cui i cittadini sono costretti a sacrifici. Credo però che il decoro istituzionale vada salvaguardato e che i deputati debbano avere stipendi da classe dirigente. Bisogna raggiungere un’austerità sostenibile. Per avere buoni cittadini dobbiamo avere buone istituzioni, e quindi dobbiamo dare un buon esempio. Non ne abbiamo avuti molti in questi anni».

Dopo l’austerity sulle spigole nel menu dei deputati ci saranno risparmi più sostanziali?
«Credo che la crisi economica abbia avuto tanti effetti collaterali. Uno di questi è cambiare la percezione di quelle che una volta venivano bollate con sufficienza come utopie da anime belle e oggi sono obiettivi possibili. Per esempio tagliare le spese militari. Per esempio pretendere che le banche siano soprattutto fonti di credito alle famiglie, per esempio salvaguardare il territorio, l’ambiente».

Programmi battaglieri, quasi grillini...
«I deputati del Movimento 5 Stelle sono portatori di una istanza di cambiamento, ma non sono i soli ad esserlo. E soprattutto finora hanno dimostrato qualche rigidità di troppo. Sono in Parlamento, spero che comincino a vedere la mediazione con altri occhi. Anch’io mi sono candidata perché ero indignata, perché ero stanca degli sprechi, della politica di questi anni. Ma per cambiare le cose occorre trovare un terreno comune nell’interesse del Paese».

Beppe Grillo l’ha accusata di essere espressione della partitocrazia. Avete poi fatto pace?
«Non conosce la mia storia, non lo hanno evidentemente ben informato. Né ho avuto finora il piacere di conoscerlo».



Lei ha imposto il divieto di “Tweet” nelle riunioni. Non le piace la politica da social media?
«Non si può twittare a riunione in corso, vanno rispettati i lavori. Se esce un’agenzia che dà per presa una decisione sulla quale si sta ancora dibattendo, si fornisce un’informazione sbagliata e si falsa il processo decisionale. Io sono su Twitter e su Facebook, quindi sono assolutamente convinta del potenziale comunicativo dei social media. Quello che penso però è che la politica non vada fatta soltanto davanti a uno schermo».

Le scuole di partito non vanno più di moda, la cooptazione è elitaria, la democrazia su internet non la convince. Come si fa ad aprire il palazzo, a coinvolgere la società civile nella politica?
«Intanto ci vuole più trasparenza. Inoltre inaugureremo una campagna di ascolto: vogliamo sentire regolarmente rappresentanti della società civile su tutti i temi da trattare in Parlamento. Consultazioni che non si sovrapporranno alle audizioni nelle commissioni ma amplieranno il contatto con i cittadini».

L’infanzia in campagna, le gite a Matelica, l’università a Roma, il lavoro nel mondo. E ora Montecitorio. Quale sarà la prossima reincarnazione di Laura?
«Un ritorno alle origini, credo. Mi piacerebbe tornare in campagna».

 

 

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30 aprile 2013 2 30 /04 /aprile /2013 17:48

Vivaldi - La primavera

      Michele Serra - L'amaca

Impressionante. L'altra sera da Santoro, la carica di odio di una studentessa pisana che avrebbe volentieri impicato al primo lampione tutti i presenti. Lo stessso Santoro, che pure ha offerto un un microfono, nel corso degli anni a qualcuno a chi avesse qualcosa da gridare, appariva turbato. Nello sconcerto del momento nessuno, nello studio ammutolito, ha avuto l'animo di spiegare a quella ragazza che la causa del suo odio - non avere alcun potere -ne è al tempo stesso l'effetto.Niente emargina come l'odio, e chiunque fosse in ascolto non poteva che augurarsi che rimanga in eterno, quella ragazza, senza una bricciola di potere, perchè ne farebbe certamente un uso nefasto.

   A chi fa osservare che il sentimento di impotenza dei giovani è devastante, e l'impotenza non può che produre odio, ha indirettamente risposto, in chiusura di puntata, Roberto Saviano, in uno dei suoi  più felici momenti televisivi, Ha raccontato come gli oppositori del regime di Pinochet vinsero impostando la loro campagna politica sull'allegria e la speranza. Eppure avevano ragioni profonde di odio e di vendetta smisuratamente più grandi  di qualunque europeo dei nostri giorni, il regime di Pinochet aveva versato fiumi di sangue. Chissà se quella ragazza di Pisa ha ascoltato  Saviano

Intervento di Saviano

Nella puntata di giovedì di Servizio Pubblico, Roberto Saviano ha parlato della necessità di proporre agli italiani una promessa e un’offerta di futuro migliore, di felicità, di unità: e ha usato il precedente storico di quando la sinistra cilena dovette scegliere se cercare consenso accusando il regime di Pinochet dei crimini passati, oppure parlando anche ai cileni non di sinistra dell’essere un solo popolo con una prospettiva di futuro migliore. Invece di insultare o attaccare il nemico, persino il dittatore, la comunicazione allora investì sulla frase “l’allegria sta arrivando”, piuttosto che “mai più” o altre formule legate al passato. Il discorso di Saviano ha preso spunto da un film cileno uscito pochi mesi fa (in Italia uscirà il 9 maggio) che racconta la storia di quella campagna di comunicazione, intitolato No.

Il testamento di Hessel: è la politica che cambia il mondo

A pochi mesi dalla scomparsa esce un libro dell'ex partigiano francese autore del pamphlet bestseller: NON ARRENDETEVI da oltre quattro milioni di copie  scomparso in febbraio di quest'anno.

Non avrei mai pensato che un piccolo libro di trenta pagine come Indignatevi! potesse avere una tale ripercussione e mobilitare così tante persone. Ma la cosa certa è che il movimento dei giovani spagnoli nella primavera del 2011, adottando l' indignazione come bandiera, ha rappresentato un chiaro appello per tutti, un appello che ha superato le frontiere della Spagna. Il movimento degli Indignati, spontaneo ed estraneo al mondo dei partiti politici tradizionali - che oggi suscitano così tanta sfiducia - ha rappresentato qualcosa di nuovo, l' espressione di un rifiuto delle manovre di un' oligarchia, non solamente finanziaria, che vorrebbe sequestrare il potere politico. E la manifestazione di una sentita rivendicazione per una vera democrazia. È stata anche, da parte dei giovani, una maniera di manifestare la loro responsabilità attraverso canali differenti da quelli stabiliti.    

Il problema ora è come tradurre il grande movimento sorto in Europa e non solo in alternativa di Governo                                       

 La forza che questo movimento ha acquisito in Spagna non deve far dimenticare che questa aspirazione ad una autentica democrazia e questo rifiuto dell' oligarchia sono comuni ai giovani di molti altri Paesi. Simili movimenti di protesta si sono prodotti in Europa, specialmente in Grecia e Portogallo, negli Stati Uniti e nell' America Latina, in Cina, in India... Le forme di contestazione popolare della cosiddetta Primavera araba, che hanno avuto luogo nel 2010 in vari paesi del Nord Africa, dalla Tunisia all' Egitto, fanno parte di questa corrente di fondo. Il problema, tanto per gli uni come per gli altri, è come tradurre questo movimento in un' alternativa efficace per cambiare le cose, per influire sulle scelte del governo e promuovere le riforme volute dalla maggior parte dei cittadini. Nel caso della Spagna, la traiettoria degli Indignati non è sempre stata facile da decifrare. Nel 2011, per paradosso, gli Indignati fecero cadere un governo di sinistra e contribuirono a consegnare il potere a un governo di destra molto distante dalle loro rivendicazioni. Io sono stato fra i primi sostenitori di José Luis Rodríguez Zapatero: pensavo che un governo socialista avrebbe fatto la politica di cui gli spagnoli avevano bisogno. Il suo fallimento mi ha davvero deluso. <...& Ma l' indignazione non è sufficiente. Se qualcuno crede che per cambiare le cose basti manifestare per le strade, si sbaglia. È necessario che l' indignazione si trasformi in un vero impegno. Il cambiamento richiede uno sforzo. Va benissimo esprimere il nostro rifiuto dell' oligarchia, ma contemporaneamente bisogna proporre una visione ambiziosa dell' economia e della politica che sia capace di trasformare la condizione del nostro Paese. Non ci si può limitare alla protesta. Occorre agire.  La situazione oggi in Europa, pur se non identica, ricorda un po' quella provocata dalla grave crisi degli anni Trenta, che sfociò nella Seconda guerra mondiale. Anche oggi ci ritroviamo davanti a rischi simili. La crisi attuale, e la sofferenza che genera, esacerbano l' odio e la paura. Gi estremismi sono in agguato. Ma la via della rivoluzione, delle ideologie totalitarie, non porta da nessuna parte. Rivoluzione e totalitarismo sono parole che portano l' una all' altra. Io sono nato con la rivoluzione sovietica e forse per colpa sua ho contratto l' allergia all' idea di rivoluzione... La risposta alla sofferenza causata dalla crisi non mi sembra possa essere un Fidel Castro o un Che Guevara, ma un' alleanza delle forze democratiche riformiste in difesa dei valori democratici. Durante il Ventesimo secolo, molti europei - spagnoli, francesi, italiani... - si arresero a movimenti organizzati e a ideologie che si impossessarono delle loro coscienze, stabilendo quello che poteva o non poteva essere, e che li portarono a perdere ogni fiducia in se stessi. L' uomo basta a se stesso, non ha bisogno di una guida suprema. Per tutti questi motivi io non sono mai stato comunista. E neppure anticomunista. È che non credo che il cambiamento possa venire da azioni rivoluzionarie o violente che distruggano l' ordine costituito. Io credo in un lavoro intelligente, a lungo termine, attraverso l' azione e la concertazione politica, e la partecipazione democratica. La democrazia è il fine, ma deve anche essere il mezzo. Gli Indignati spagnoli sono stati criticati per l' incapacità di tradurre il loro movimento in un' organizzazione efficace. Da un certo punto di vista, è questa la loro principale debolezza. Ma è anche la loro grandezza. Un eccesso di organizzazione può anche essere un pericolo. E, in un certo senso, sono particolarmente contento di vedere che gli Indignati spagnoli sono stati sufficientemente prudenti da evitare la tentazione di mettersi nelle mani di un grande leader incontestabile. Non c' è nessun bisogno di un' organizzazione piramidale, dove alcuni - i capi - danno gli ordini e gli altri li eseguono. Allora, come canalizzare questo impulso? Come farlo fruttare? Uno dei terreni in cui i giovani che vogliono cambiare le cose possono dimostrarsi utili è l' ambito dell' economia sociale e solidale. Quello della difesa dell' ecologia e dell' ambienteè un altro. Sono due facce della stessa medaglia. Ci salveremo soltanto se creeremo un nuovo modello di sviluppo, socialmente giusto e rispettoso del pianeta. Inoltre, bisogna ritrovare il gusto della politica, perché senza politica non può esserci progresso. Ci sono molti modi di intervenire in politica, di suscitare il dibattito, di proporre idee. Lo scrittore Václav Havel, storico dissidente contro la dominazione sovietica e difensore dei diritti umani, che assunse la presidenza dell' antica Repubblica Cecoslovacca dopo la caduta del muro di Berlino, una volta disse: «Ognuno di noi può cambiare il mondo. Anche se non ha alcun potere, anche se non ha la minima importanza, ognuno di noi può cambiare il mondo». I partiti politici tradizionali si sono chiusi troppo in se stessi. Sono anchilosati e hanno bisogno di una scossa. Nonostante tutto, però, continuano a essere uno strumento essenziale della partecipazione politica. Credo che non si debba neppure dubitare dell' opportunità di entrare in un partito. Io sono del tutto convinto che si debbano utilizzare le forze politiche esistenti. Meglio stare dentro che fuori.

I partiti sono chiusi in se stessi ma restano l'unico vero strumento democratico per raccogliere la protesta

Ai miei amici ripeto sempre la stessa cosa: se volete combattere i problemi, se volete che le cose cambino, nelle democrazie istituzionali nelle quali viviamo il lavoro deve essere fatto con l' aiuto dei partiti. Perfino coi loro difetti, le loro imperfezioni, le loro insufficienze. Ognuno di noi deve trovare il partito più vicino alle proprie preoccupazioni, il più disposto ad appoggiare le proprie rivendicazioni, ed entrare a farne parte. Non ci si deve illudere. Non ne troverete mai uno, neppure uno, che coincida al cento per cento con la vostra linea. Ma le cose stanno così, questo fa parte del gioco. Trovate che non abbiano abbastanza vigore? Che non siano abbastanza determinati? Non dimenticate che siete voi che potete infondere loro quel vigore e quella determinazione. Traduzione Valerio Nardoni STÉPHANE HESSEL

http://www.youtube.com/watch?v=RnwuF-MCRuo

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26 aprile 2013 5 26 /04 /aprile /2013 20:28

boldrini-laura-1.jpgVideo del discorso di Laura Boldrini, solo la prima parte funziona. Dopo cliccare sugli altri video, comunque c’è il testo del discorso.

http://www.europaquotidiano.it/2013/04/25/25-aprile-il-discorso-di-laura-boldrini-a-milano/

Compaiono due video, ma solo il primo funziona (dopo la pubblicità) si può ricorrere ad altri video parziali.

La Boldrini passeggia tra la folla e viene applaudita

http://video.repubblica.it/edizione/milano/milano-boldrini-passeggia-tra-gli-applausi-sei-il-nostro-futuro/126563/125066

 Sul fascismo

http://video.repubblica.it/edizione/milano/25-aprile-boldrini-non-e-mai-esistito-un-fascismo-buono/126565/125068

Nel finale cita Calamandrei

http://video.repubblica.it/edizione/milano/25-aprile-boldrini-cita-il-discorso-di-calamandrei-ai-giovani/126566/125069?auto

Il testo completo del discorso

FIL ROUGE – Quando Laura Boldrini è stata eletta Presidente della Camera ho pubblicato il suo discorso di insediamento. Mi aveva colpito. Ma ieri mi ha eozionato. Commosso. Presente a Milano alla manifestazione di commemorazione della Festa della Liberazione, ha pronunciato parole, a mio avviso, speciali. Dall’incipit fino alla citazione delle parole di Calamandrei.

Vi lascio qui le parole. Io sono orgogliosa di avere un Presidente della Camera come Laura Boldrini. È donna, ma non è questo l’importante. Ha cultura, esperienza, valori di unità nazionale e un grande senso delle istituzioni. E li urla con coraggio.

Care amiche e cari amici, è per me un grande privilegio rivolgermi a voi in questa Piazza e in questa città.Ho sfilato nel corteo e ora vi vedo da qui. Siete tanti, siamo in tanti, tantissimi! E c’è ancora chi parla del 25 Aprile come di una ricorrenza stanca e invecchiata. E anche questa mattina c’è stato chi ha scritto che questa festa è morta. Vengano qui gli scettici, gli increduli! Questa festa è più viva che mai. È la festa di tutti. Di tutti gli italiani liberi.

Oggi festeggiamo la riconquista della libertà, il dono più prezioso per ogni essere umano. C’è gioia ma c’è anche commozione, perché il nostro pensiero va ai tanti che per farci questo dono, la libertà, hanno perso la vita, sono stati uccisi, torturati, internati nei campi di sterminio. Ed erano giovani, giovanissimi. Di diverso orientamento politico, di diversa fede religiosa. La Resistenza non fu di parte. Fu un moto popolare e unitario, per restituire dignità all’Italia intera.

Quando sono stata eletta presidente della camera, mi è stato regalato un libro che conoscete bene: “Le lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana”. Un libro straordinario perché non è scritto con la penna, è scritto con la vita. La vita di tante persone.

Quello che più mi colpisce di quelle lettere è l’età di chi le scrisse, a poche ore dalla morte. Quasi tutti attorno ai vent’anni. Tutti animati da una grande speranza per il futuro dell’Italia. Vorrei che da qui, a tanti anni di distanza, a quei ragazzi della Resistenza inviassimo un grande applauso, che è il nostro grazie per tutto quello che hanno fatto, per noi e per l’Italia.

Io sono stato preso  e commosso per la prima volta da questo tipo di  discorso, non rituale, sentendomi collegato a quei giovani. L’invito è stato accettato e i presenti in piazza hanno applaudito con forza e a lungo. La Boldrini  è riuscita a comunicare la sua avversione alla guerra avendo vissuto come rappresentante dell’ONU sui vari fronti caldi (Jugoslavia, Medio Oriente, Africa ecc. ecc.) riuscendo a trasmettere  e a far capire la sua vocazione alla pace.

Durante la mia esperienza negli organismi internazionali ho conosciuto gli orrori della guerra, non me li hanno raccontati: nei Balcani come in Medio Oriente o in Africa, altre ragazze e altri ragazzi feriti, imprigionati, torturati. E se riescono a mettersi in salvo diventano rifugiati, persone costrette a fuggire dai loro paesi perché vittime di persecuzioni e di violenze.

Come Sandro Pertini, costretto dal fascismo a riparare in Francia, e molti altri italiani come lui. Così sono quei giovani della primavera araba che hanno sfidato regimi dittatoriali che sembravano irremovibili e molti altri in tutto il mondo che continuano a farlo, rischiando la vita ogni giorno. Sono anche loro combattenti per la libertà.

E alcuni vivono in casa nostra, che deve essere anche casa loro. Ce lo dice la Costituzione! Ce lo dicono i nostri ideali: libertà, uguaglianza, fraternità!

Mai più il fascismo. Mai più guerre. Questa l’invocazione dell’Italia libera, subito dopo il 25 Aprile. E questo monito avevano in testa i costituenti nel redigere la nostra carta fondamentale. Oggi, insieme alla Liberazione, celebriamo i valori della Costituzione: il ripudio della guerra, l’uguaglianza, la giustizia sociale.

È una giornata di ricordo. Ma deve essere anche l’occasione per riflettere e per chiederci: da che cosa ci siamo liberati il 25 Aprile? Da un regime politico totalitario, innanzitutto. Ma anche dai valori che propugnava. Ci siamo liberati dal mito della nazione e del popolo come comunità chiusa, che deve essere “purificata” da coloro che possono infettarla: i dissenzienti, i diversi, i deboli, le minoranze etniche e religiose.

Ci siamo liberati dall’autoritarismo e dal conformismo. Ci siamo liberati da una concezione del potere tutta basata sulla violenza, dall’idea di superiorità razziale, dall’espansionismo aggressivo.Ci siamo liberati dalla celebrazione della virilità, del maschilismo, della riduzione della donna a “madre e sposa”, dalla sua esclusione dal mercato del lavoro, dalla società e dalla politica. Da tutto questo ci siamo liberati!

E abbiamo abbracciato altri valori: quelli di una società pluralista, dei diritti individuali e collettivi, della cittadinanza attiva. Quelli del ripudio della guerra e della ricerca della pace tra i popoli. Quelli della liberazione delle donne e dell’uguaglianza di genere. Sono gli stessi valori che troviamo scolpiti nella Dichiarazione universale dei diritti umani, che è per me l’espressione più alta della cultura antifascista. Sono i nostri valori, i valori della repubblica italiana.

Guai però a considerarli acquisiti una volta per tutte. Essi sono continuamente minacciati da gruppi e organizzazioni neofasciste. Gruppi pericolosi, perché cercano di fare proseliti tra i giovani. Approfittano dello smarrimento di ragazze e ragazzi ai quali è stata sottratta la fiducia nel futuro. Vi è un pullulare di siti Internet che inneggiano al fascismo e al nazismo, all’odio razziale e alla violenza contro le donne. Questo, in un paese civile, non è tollerabile!

Esiste una convenzione del consiglio d’Europa, ratificata dall’Italia, che impegna gli Stati a punire chi, anche attraverso la rete, diffonde materiale xenofobo e, per odio razziale, minaccia e insulta altre persone.
Questa Convenzione va applicata rigorosamente.
Ma serve anche altro.

Serve una battaglia culturale, di idee, di valori. Parliamo con i nostri ragazzi, non lasciamoli in preda a questa sottocultura; trasmettiamo loro, nel modo più semplice e più chiaro possibile, la bellezza di quei valori che ci vedono insieme oggi, su questa piazza e in tante altre piazze d’Italia.

E smentiamo quei luoghi comuni che continuano a scorrere come un veleno nelle vene della società. Capita ad esempio di ascoltare perfino esponenti della politica e della cultura, affermare che ci sarebbero differenze tra un fascismo “buono” e un fascismo “cattivo”. Il primo sarebbe il fascismo “con il senso dello Stato”, il fascismo “modernizzatore”, il fascismo ricco di valori – l’onore, la patria, la famiglia. Il fascismo “cattivo” sarebbe quello dell’alleanza con Hitler, delle leggi razziali, della guerra.

Queste idee vengono da lontano e hanno fatto breccia in una parte dell’opinione pubblica. Si sono perfino convertite in luoghi comuni, in chiacchiera da bar. Ma sono idee completamente sbagliate e bisogna dirlo con forza!
Bisogna dire che non è mai esistito un fascismo buono. Che il fascismo è stato un regime illegittimo perché nato dall’esercizio massiccio della violenza squadristica e da una pratica del potere basata sull’assassinio politico, sulla soppressione delle libertà individuali e collettive, sulla persecuzione degli oppositori, sulla manipolazione dell’informazione.
Ce ne siamo liberati, con il 25 Aprile del 1945 e con la Costituzione del ’48.

Ma il germe dell’autoritarismo è sempre pronto a diffondersi, soprattutto in tempi di crisi economica. Non possiamo dimenticare che tra le cause scatenanti il fascismo vi fu la disoccupazione di massa che fece seguito alla prima guerra mondiale. E che il partito di Hitler fu sospinto al potere da masse di popolo senza lavoro e senza reddito, dopo la grande crisi del ’29.

Anche oggi, in diversi paesi europei, maturano risposte autoritarie e illiberali alla grave crisi economica che comprime come in una morsa la vita di milioni di persone. Dobbiamo quindi stare in guardia e respingere ogni insorgenza neofascista e ogni populismo autoritario. Ma dobbiamo soprattutto, le istituzioni debbono – il parlamento, il governo, le regioni – dare lavoro ai giovani, aiutare i pensionati, sostenere le madri e i padri di famiglia che perdono il lavoro, gli artigiani e i piccoli imprenditori strangolati dalla crisi.

No. Nessuno deve essere lasciato solo. Anche così si difende la democrazia! E la democrazia ha bisogno costantemente di essere difesa. Quante volte gli italiani sono stati chiamati, nella storia repubblicana, a difendere la libertà e le istituzioni democratiche! È stato necessario, perché il fascismo ha lasciato una impronta profonda sulla vita della Repubblica. La vita delle istituzioni italiane è stata particolarmente travagliata, molto più di tutte le altre democrazie europee. È stata attraversata in modo più violento che altrove dalle lacerazioni della guerra fredda. Minacciata più di altre dalla presenza inquietante di strutture parallele, da settori militari e civili infedeli, dal rumore di sciabole…

L’Italia è stata colpita ripetutamente dalla violenza politica, dal massacro indiscriminato di cittadini inermi, dall’attacco militare della mafia, dalla barbarie del terrorismo, dall’assassinio a tradimento di servitori dello stato e di politici, sindacalisti, giornalisti. Tanti, troppi, anche dopo la Resistenza, hanno continuato a morire per difendere la nostra libertà e la nostra democrazia. Ci inchiniamo ancora una volta alla loro memoria, abbracciamo le loro famiglie, sentiamo come fosse nostro il loro dolore.Anche grazie al loro sacrificio, l’Italia ha superato con coraggio quella fase terribile della sua storia.

Ma si tratta di una ferita dolorosa. Una ferita ancora aperta. Tante, troppe di quelle vite perdute nelle piazze, sui treni, sugli aerei, non hanno ricevuto giustizia. In tanti, troppi casi le istituzioni non hanno saputo dare una parola di certezza sugli esecutori e sugli strateghi del terrore. Questa mancanza di verità e giustizia è una sconfitta per le istituzioni. Per questo, ci tengo a dire proprio oggi, 25 aprile, che mi unisco a quanti chiedono l’abrogazione completa e definitiva del segreto di stato per i reati di strage e terrorismo. Perché in un paese civile la verità e la giustizia non si possono barattare e non si possono calpestare.

Vorrei concludere con le parole che Piero Calamandrei rivolse ai giovani, qui a Milano, dieci anni dopo la Liberazione. Era un discorso sulle origini della nostra Costituzione. “Se volete andare in pellegrinaggio – disse Calamandrei – nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate li, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione”.

Grazie, per avermi invitato a questa bella manifestazione, per avermi accolto con tanto affetto, per avermi permesso, in questa giornata di festa, di stare qui con voi, a Milano, città medaglia d’oro della Resistenza.

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26 aprile 2013 5 26 /04 /aprile /2013 18:01

 Democrazia repubblicana: rapporto istituzioni, partiti politici, partecipazione dei cittadini. Efficacia delle istituzioni nel risolvere i problemi economico sociali.

Se la democrazia parlamentare segue il destino dei partiti e aggiornamento sulla situazione politica( vedi articolo sulla crisi politica di 4 giorni fa) 

di Nadia Urbinati   23 Aprile 2013

La nostra repubblica è davanti a un bivio di grande e grave portata, quello indicato dalla crisi della democrazia parlamentare. Una crisi che segue e riflette fatalmente quella dei partiti e che si manifesta come inabilità di questi ultimi a portare a unità le opinioni diverse, al loro interno e con quelle degli altri partiti. La repubblica di Weimar cadde nel 1933 su questo scoglio insormontabile e l’esito fu tragico. Nell’Italia del 2013 si assiste ad una nuova versione della storia di ingovernabilità del Parlamento e di disfunzionalità dei suoi metodi democratici: gli accordi, i compromessi tra i partiti e la decisione a maggioranza. La crisi, già in agguato quando i partiti non sono riusciti a formare un governo dopo le elezioni di febbraio, è esplosa con l’elezione del presidente della Repubblica. Vi è un senso in questo: poiché con l’elezione del presidente i partiti sono stati obbligati a gestire direttamente il gioco politico. Non hanno potuto ritardare, non hanno potuto contare su un’autorità esterna a loro, come nel caso della formazione del governo che per costituzione è pilotata dal presidente. I partiti non sono riusciti a fare accordi, compromessi e a prendere decisioni a maggioranza.
Non vi sono riusciti per varie ragioni. In parte specifiche alla storia recente del nostro Paese, che esce da un ventennio di dominio berlusconiano che ha alimentato pratiche oligarchiche e di corruttela. Questo ha esaltato movimenti antipartitici. In parte perché i nuovi mezzi di comunicazione hanno attivato un rapporto diretto tra le opinioni correnti dei cittadini e i leader e le istituzioni, così da far credere che sia possibile fare a meno dei partiti, che si possa avere una democrazia parlamentare diretta, cioè senza la mediazione dei partiti. Per tutte queste ragioni i partiti sono deboli e si sono ulteriormente indeboliti. Erosione di legittimità ma anche di strutture e di leadership, di credibilità e di autorevolezza. Un’erosione che è stata confermata dall’inabilità a formare un governo e che è stata ingigantita da quell’accordo sbagliato che il Pd ha perseguito con il Pdl per riuscire a votare un presidente condiviso. Accordo fuori luogo che ha dimostrato come chi lo ha pensato e portato avanti non abbia davvero compreso l’Italia nella quale vive, quella che è uscita dalle recenti urne. Non ha compreso la crisi della democrazia parlamentare e si è quindi comportato come sempre in passato, quando le segreterie dei partiti decidevano e i parlamentari seguivano la disciplina di partito. Non averlo capito è stato un errore gravissimo.
    E oggi si torna a sperare in Napolitano. Un fatto, questo, che conferma l’incapacità del Parlamento di uscire dalcul-de-sac nelquale si trova, e di gestire la democrazia senza bisogno di un momento verticale d’autorità. È in atto, diceva Massimo Giannini, una metamorfosi presidenzialista di fatto. Forse abbiamo bisogno di un ripensamento istituzionale poiché la frammentazione dei partiti è inarrestabile con la democrazia del web; e sarà un fatto permanente. Oggi tutta la partita politica si gioca in diretta: tra parlamento e web. Con un esito prevedibile di indisciplina, inseguimento di umori, incapacità a tener fede agli impegni dati, di fare trattattive. Solo quei partiti che dipendono da un leader forte possono essere più disciplinati e uniti  al proprio interno ma lontani dalle esigenze e dai bisogni dei cittadini— paradossalmente il Pdl e il M5S sono più disciplinati e uniti del Pd, tra tutti i partiti il più autonomo da padri e padroni e il più esposto all’instabilità in questa fase poichè non è riuscito a vedere cosa succedava nell'economia e nella società e a fare propose adeguate per superare la crisi.
Il Pd è lo specchio della crisi della democrazia parlamentare. Difficile pensare a come riuscire a superare questa fase di mancanza di autorità e progetto politico che guardi al bene comune. altrimenti ci sarà una deriva autoritaria (le parti in blu sono opera del redattore) Ecco perché è ora importante più che mai che si comprenda il senso di questo momento critico e si agisca di conseguenza: occorre fare subito la riforma elettorale. Questa legge elettorale è lo scandalo sul quale questo parlamento ha inciampato e ogni parlamento futuro inciamperà, proprio perché esalta la frammentazione. Ma anche nel caso si giunga alla riforma elettorale non può non saltare agli occhi il fatto che se ad essa si giungerà sarà perché prima si è messo in piedi un implicito sistema presidenzialista. È auspicabile che chi ha la responsabilità delle nostre istituzioni sia consapevole della gravità ed eccezionalità di questo momento; che sia in grado di farsi una rappresentazione corretta di questo frangente delicatissimo.

Aggiornamento sulla crisi politica

Visto che come organizzazione politica il PD ha fallito,(il gruppo dirigente ha perso autorevolezza e credibilità: qualsiasi cosa dica non può avere fiducia- come ci si può fidare di un gruppo dirigente che pubblicamente afferma che bisogna essere per il cambiamento e poi prende risoluzioni opposte?-) non rimane, in questo periodo (durata di questo governo comunque a tempo) che pagare dazio. Okei;  questo è il governo del presidente della repubblica e per fortuna che c’era lui a dare ancora tempo, al PD soprattutto, perchè questa area guidata da un nuovo gruppo dirigente che uscirà dal congresso, presenti un programma serio e chiaro per la rinascita dell’Italia in maniera da convincere gli elettori a votarlo quando ci saranno le nuove votazioni (il partito è uno strumento e si può anche cambiare se ci sono le persone adeguate). Nel frattempo non rimane che votare  quello che uscirà da questo governo, ma il PD senza appiattirsi (o un nuovo gruppo dirigente), può sempre essere chiaro e sostenere  che quando lui sarà al governo  nei vari punti presenterà le sue proposte diverse da quelle del governo guidato da Letta (visto che ci sarà anche il PDL a decidere). Vorrei far presente che la “scissione” è già  avvenuta visto che la dirigenza del  partito ha perso 3.000.000 di elettori alle politiche ed é riuscito a tradire il rinnovamento richiesto dai suoi militanti  ed elettori, e solo il 50% degli elettorie anche della propria area ha votato in Friuli. Adesso ci si nasconde dietro i termini solenni: responsabilità (verso chi?) unità (su quale base e contenuti? visto i recenti risultati) nazione (quale tipo di società? il lavoro ? i giovani? quale prospettiva? ecc,). Con la retorica pomposa  non si convince nessuno e non si fanno passi in avanti, ma solo con proposte credibili di sviluppo civile e umano  più chiare possibili e che diano una prospettiva e una speranza  (non sarà un pranzo di gala). 

 

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21 aprile 2013 7 21 /04 /aprile /2013 22:06

 

crisi-politica-1.jpg link Ennio Morricone – Cheyenne   - Se clicchi con il tasto destro del mouse su LINK e con il sinistro su "apri in na nuova scheda" leggerai l'articolo e ascolterai la musica.                                                                                       Non serve molto guardare indietro le cose passate, non sono in nostro potere.  Da come ci comportiamo oggi e da come operiamo adesso dipenderà il nostro futuro.

Le esperienze politiche di questi giorni servono se ci insegnano delle cose. Da questa situazione possiamo uscirne con la buona politica che guarda al bene comune e alla creazione di gruppi dirigenti nuovi. Quelli vecchi hanno fallito  (in tutte le democrazie chi perde lascia), è meglio che se ne  vadano  prima che vengano cacciati. E’ opportuno cambiare, e non è semplice trovare,  persone nuove che hanno idee e proposte adeguate alla situazione economica e sociale attuale e che diano una prospettiva per ricostruire  e unificare questo paese e farlo ripartire dal punto di vista della cultura, dei valori, dell’economia, della società, dargli cioè un futuro.

Veniamo al Partito Democratico. E’ evidente che il gruppo dirigente (non solo il segretario , la segreteria, ma anche coloro che li attorniavano) non ha voluto ascoltare gli aderenti al partito, i votanti, i simpatizzanti di questa area che chiedeva, da tempo. un rinnovamento e una nuova politica per far fronte alla crisi economica e sociale (disoccupazione giovanile al 37%, precariato nelle varie forme, chiusura delle fabbriche e delle aziende con la presenza di oltre 3.500.000 di disoccupati. Minor redito per le famiglie, minori consumi e quindi diminuzione della futura produzione di beni e servizi. Spostamento massiccio del reddito, da anni,  dalle classi medio  e basse a una ristretta cerchia di cittadini. Le entrate dello stato Italiano sono pagate dai lavoratori dipendenti e dai pensionati: contribuiscono all’83% per le tasse e imposte. Aumento della tassazione sempre per la classe media e i lavoratori dipendenti. Tagli grossi ai servizi sociali: pensioni, istruzione, sanità, servizi forniti dagli enti locali. Aumento dell’età pensionabile e blocco degli stipendi. Diminuzione dei servizi forniti dagli enti locali ecc. ecc.). In questo caso si è pensato alla autoconservazione e alla sopravvivenza della struttura (perché si hanno in mente vecchie idee) non al cambiamento di direzione della politica richiesto dai cittadini che fornisse una via di uscita  da questo baratro in cui siamo precipitati.

Cerchiamo di capire le ragioni politiche di fondo, non le questioni tattiche. E’ evidente che si è privilegiato da sempre l’unità del gruppo dirigente, della struttura rispetto alle nuove idee, richieste, esigenze, bisogni degli iscritti, del mondo civile e della sinistra apportate dalla nuova situazione economica  e   sociale. Non si sono mai chiarite le questioni di fondo che invece da tempo provocavano una  sempre più ampia divaricazione della politica portata avanti dall’organizzazione partito rispetto ai bisogni dei cittadini e ad un nuovo indirizzo richiesto dal mondo dei militanti e votanti (così i nodi sono arrivati al pettine tutti insieme in un occasione dell’elezione del presidente della repubblica) 

Come si può pensare a mettersi d’accordo con   chi ha portato al disastro questa nazione e ha dato il suo contributo ad approfondire e aggravare la crisi economica e sociale utilizzando le cariche pubbliche,  il denaro pubblico e il potere politico per rimpinguare e ingrassare la propria cerchia politica facendone una banda di ladri e malfattori?  Ci siamo dimenticati che i deputati della destra in parlamento hanno votato che Ruby è la nipote di Mubarak? Vi sembra possibile, realistico ragionevole che coloro che hanno contribuito a creare questa situazione disastrosa siano anche quelli che la possono rimediare? Non significa dare a queste persone una nuova  rispettabilità e credibilità politica? Se si avessero idee diverse e in queste si credessero non si farebbe una battaglia politica chiara con  cui aggregare cittadini che si riconoscono nel cambiamento?  E' evidente che una parte dirigente del PD, che ha organizzato consapevolmente questa situazione sono dei professionisti della politica, già a suo tempo avevano fatto fuori il governo Prodi, -area Marini con d'Alema -  (il lupo ha perso il pelo e non il vizio).Questa è una ipotesi politica, non è la verità; si cambierà ipotesi se questa è più ragionevole ed umana. Gli autori  non sono stati i nuovi deputati, immensi, in questo periodo, in un tritacarne. Qust'area del PD pensa ancora ad un tipo di società vecchia   ed è convinta  di sistemare la crisi economica e sociale con vecchi metodi e meccanismi. non tollera e non vuole affrontare in maniera diversa la soluzione della crisi.

Sono stati chiamati dai dirigenti PD coloro che volevano diventassero presidenti. Perché non è stato chiamato Rodotà ? ex presidente del Partito Democratico di Sinistra, due volte deputato dell’area democratica? Evidentemente non si tratta di buona educazione, ma di questione politica. Ricordiamo il suo impegno come garante della privacy e dei diritti civili, studioso dei diritti soggettivi, esperto della  libertà e dignità dei cittadini tenuto conto  delle nuove tecnologie ecc. ecc. Le idee e la cultura del referendum sull'acqua, e gli altri coevi, sono il risultato della riflessione del gruppo  di persone e intellettuali che sono del gruppo di  Rodotà. Uomo che pensa con la propria testa, non inquadrato in una organizzazione, forse troppo autonomo e indipendente. Il concetto di Italia bene comune esce da queate riflessioni.  Perché non si è fatta una proposta e una battaglia sul suo nome come sugli altri candidati a capo dello stato? Non era stato usato lo stesso metodo per la nomina del presidente della Camera e del Senato? (Evidentemente una buona parte del gruppo dirigente - se non la maggioranza  - la pensava in modo diverso). Non vi sembra una presa in giro dell’area dei democratici svolgere le primarie e poi candidare una persona che non è stata votata nemmeno dai propri cittadini a senatore della repubblica nella sua circoscrizione ?Il segretario e il gruppo dirigente, avevano pubblicamente dichiarato di aver capito,(un po' tardi?) che l'area democratica chiedeva a gran voce il cmbiamento, il rinnovamento e che non si poteva guardare  indietro. Nella realtà sono arrivati a comportamenti opposti. Non vi sembra che abbia perso fiducia e credibilità un segretario che afferma pubblicamente una cosa e ne fa un'altra? Non può venire il sospetto che sia stata tutta un messa in scena per preparare in realtà una soluzione  in cui si credeva politicamnte, ma non si aveva il coraggio di affermare ?   Si ha tutto il diritto ad avere una opinione e una proposta politica, ma questa deve essere dichiarata e sostenuta apertamente. Si può  e si deve anche mediare con questa proposta se rappresenta un pezzo di elettorato e di realtà sociale, se va nella diresione giusta, anche un solo passo in avanti va bene. Altrimenti conviene perdere una volta e i gli elettori successivamnte cambieranno idea e l'appoggerano  se la realtà dimostrerà che la vecchia proposta non funziona. Non si può giocare solo di rimessa su posizioni altrui. Gli elettori in questo caso sceglieranno l'originale non la fotocopia.   

La prima cosa da fare da parte dei deputati e senatori del PD è non dare appoggio a nessun governo in cui ci siano rappresentanti della forza politica che hanno portato allo sfascio la nazione. Come si può pensare che queste stesse persone possano innescare una inversione di rotta e provocare un rinnovamento della politica economica, una salvezza dell’Italia e  un diverso funzionamento degli apparati dello stato?

Quindi in questa fase va indetto  il congresso (provvisoriamente verrà nominato un gruppo di  persone, diverse dalle attuali, per la  gestione del partito) in cui si misureranno le varie proposte contenute in diversi programmi che vogliono creare aggregazione e unità tra le persone, trovare una soluzione ai problemi della economia e cocietà italiana.   Non interessa creare un partitino,  l’area del popolo democratico richiede il cambiamento; senza di loro non ci sarà questo rinnovamento e mutamento della situazione italiana, in quest'area ci sono cittadini di buon senso, ragionevoli, resposabili, solidali disposti a fare sacrifici per ottenere dei risultati, da quest'area vengono le idee del nuovo, di apertura all'immigrazione, le intelligenze, le forze in grado di metterre in moto l'Italia: senza di loro non si va da nessuna parte, non si rinnova il nostro paese. C’è già a questo proposito una proposta contenuta in questo indirizzo e-mail:                                                                             http://www.scribd.com/doc/135523966/Fabrizio-Barca-Un-partito-nuovo-per-un-buon-governo

 Questa è la proposta  di un uomo che si è iscritto al PD da poco: Fabrizio Barca e che è ministro per la coesione sociale nel governo Monti. Chi ha altre proposte è opportuno le presenti e le diffondi al più presto. Si faccia chiarezza subito in maniera da accantonare quei dirigenti che pensano ancora di affrontare questa situazione con i vecchi metodi e i vecchi contenuti. E' meglio darsi da fare per non rimanere nell'ambiguità e chiarire su quali basi, con quali idee e forze si pensa di affrontare la situazione con proposte adeguate. (Un esenpio: ci sono dei cattolici che sono laici e che si sentono di rappresentare tutti i cittadini avendo giurato sulla costituzione e non sul vangelo, e questo è un chiarimento storico, però pensano alla organizzazione del lavoro e dell'economia in maniera liberale)

I punti che interessano sono:  la struttura partito, come si organizza, il rapporto tra gruppo dirigente e militanti. Non si possono mettere ostacoli ridicoli alla partecipazione attiva dei cittadini, tutti devono essere informati e  fatti partecipi e coinvolti, con delle forme adeguate (tenendo conto dei nuovi mezzi di comunicazione) definite, alla vita del partito; soprattutto informati sulle proposte, sulle decisioni e sulla nomina del gruppo dirigente e  dei rappresentanti politici nelle istituzioni a tutti i livelli.

 Un ruolo fondamentale sarà dato ai mezzi nuovi  mezzi della comunicazione per formare la consapevolezza e la cittadinanza delle persone che devono avere un ruolo attivo, altrimenti non ci sarà democrazia.

Si fa presente che la fiducia, da parte dei cittadini, si acquisterà nel tempo con la bontà delle proposte e gli atti e i comportamenti della  forza politica, e non avverrà in tempo breve.

La questione della crisi economica  può essere risolta solo con una analisi chiara del come si è arrivati a questa situazione e chi sono i soggetti e le forze che l’hanno provocata e  di conseguenza  come  è opportuno comportarsi, muoversi,  agire per innescare un processo opposto, e su quali soggetti e forze è opportuno far conto. Così si chiarirà che la crisi deriva dal controllo della finanza (banche, assicurazioni, enti finanziari) sull’economia reale, mondo finanziario che ha a disposizione dei mezzi monetari e finanziari fino a 20 volte il PIL mondiale, che con le sue operazioni speculative (legalmente possibili) controlla  le materie prime, le fonti di energia, le materie alimentari e  ne fa la fonte di immensi guadagni immediati infischiandosi del benessere degli uomini, delle prospettive future e delle nuove generazioni. Mondo finanziario che è assecondato dal mondo politico liberale, mentre si dovrà portare l’economia e soprattutto la finanza sotto il controllo della buona politica e di uomini politici competenti. La crisi deriva dal modo di produrre e di distribuire la ricchezza prodotta (si vedano anche gli articoli di economia del blog) che va riportato sotto la direzione, come si diceva della buona politica. Bisogna fare una analisi e indicare un programma adeguato. Si eviterà questa confusione dove sembra che tutto si sistemi e si risolva riducendo i soldi ai politici brutti e cattivi,  e togliendo le funzioni allo stato che al contrario deve tutelare e tenere sotto controllo i beni  e i servizi comuni  fondamentali, con frome e strumenti adeguati.  E’ facile distruggere, ci vorranno degli anni per ricostruire il benessere dei cittadini (fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce)   I politici, come in tutte le categorie, sono costituiti da persone  diverse: c’è chi fa il proprio lavoro e il proprio dovere, ci sono altri che tirano a campare, altri che fanno i furbi e quelli che rubano: nel proprio ambito e luogo di lavoro ognuno conosce queste cose.            Si abbatte l’altro detto comune, che sembra faccia felice la gente che con una imprecazione dice: “ sono tutti uguali, tengono tutti alla poltrona, sono tutti ladri” e così non distinguendo gli onesti dai trafficanti e dai ladri, alla fine non fa niente per cambiare la situazione. Si rifugiano nella loro frantumazione e individualismo, sperando così di salvarsi individualmente mentre se ne esce solo se ” i problemi si affrontano e si risolvono tutti  assieme” (Don Milani sulla politica).crisi-politica.jpg

 

Si precisano alcune questioni che il PD non ha mai proposto chiaramente agli elettori, ai cittadini e al popolo della sinistra democratica.Il tentativo di dar vita ad un nuovo soggetto politico era giusto , a suo tempo, solo che, con il passare del tempo, nessuno è riuscito a far sintesi e a portare in avanti il progetto e i nuclei fondatori si sono ripiegati sulla loro origine storica, senza vedere  che intorno, nel frattempo, il mondo e le persone  cambiavano. Hanno fatto fuori i personaggi che non rientravano nei vecchi schemi, l'esempio ultimo riguarda Prodi (che aveva tutto il crisma dell'unità e degli aspetti politici positivi  dei democratici: uomo al di sopra delle parti, aveva battuto 2 volte Berlusconi, aveva fiducia e credibilità internazionale ). 

                Sul costo della politica, della funzione dei suoi organismi, della retribuzione e compensi dei rappresentanti politici. Il buon esempio deve avvenire dai dirigenti nei tempi sopprattutto in cui le famiglie  perdono il lavoro, hanno scarsi redditi e fanno fatica ad arrivare a fine mese. Ci si fa battere da Papa Francesco che ha tagliato le gratifiche ai dipendenti del Vaticano per la nuova elezione del Papa e che ha tagliato del tutto i compensi dei cardinali che compongono  la segreteria di stato.

            La questione dei diritti civili. Sono basi che allargano la democrazia perchè vi includono  persone nuove. Nuove energie vengono immesse nel processo democratico e si afferma l'attuazione piena della laicità dello stato (procreazione assistita, diritto a scegliere le cure che rispettano la dignità della persona, diritto al testamento di fine vita e affermazione di qunto sosteneva Obama nel suo secondo insediamento da presidente. Ora è compito della nostra generazione portare avanti ciò che quei pionieri hanno cominciato. Perché il nostro viaggio non sarà concluso finché le nostre mogli, madri e figlie non possano guadagnarsi da vivere proporzionalmente ai loro sforzi. Il nostro viaggio non sarà concluso finché i nostri fratelli e sorelle omosessuali non saranno trattati come chiunque altro davanti alla legge – perché se siamo veramente stati creati uguali, allora di certo l’amore con cui ci leghiamo l’uno all’altro dovrà essere altrettanto uguale.          

       L'art. 8 dei principi fondamentali della costituzione della Repubblica Romana del 1849 recitava:  

Il Capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie necessarie per l'esercizio indipendente del potere spirituale. (l'indipendenza è reciproca)

Ci sembra che non ci siamo ancora.

Si tratta di una riforma che non ha costi economici e che allarga la democrazia .

  Avendo una disoccupazione giovanile del 37% sarò opportuno passare dalle chiacchere ai fatti approntando un "piano Marshall" per l'occupazione dei giovani individuando le risorse (visto che i fondi a disposizione sono limitati), i settori merceologici ed economici in cui attuare questi piani di sviluppo dovranno essere attuati, con scadenze precise di monitoraggio, in modo da verificare la giustezza delle scelte ed apportare le modifiche utili per migliorare la situazione.A fine anno di fanno le veriche di questi investimenti e si controlla se si sta andando nella giusta direzione. Una nazione che non garantisce un futuro di autonomia personale, di occupazione ai giovani, una prospertiva di vita personale e famigliare vuol dire che è una società in declino e senza  futuro. Altrimenti si verificherà l'opposto di una tendenza storica: i figli finora sono stati meglio dei padri, per loro c'è stato più benessere rispetto ai padri. 

 I cittadini che non si vedonoarrivare  proposte adeguate di riforma si rivolgono alle forze che raccolgono la protesta e la rivendicazione: scelgono quello che gli si offre.

 

 

 

 

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13 marzo 2013 3 13 /03 /marzo /2013 14:02

senso-civico-copia-2.jpg link   Harp Concerto in D Major by Antonio Vivaldi Se clicchi con il tasto destro del mouse su LINK e con il sinistro su "apri in una nuova scheda" ascolterai la musica e leggerai gli articoli    

  Concordo con il primo  appello perché si rivolge ai cittadini  con la  cui coscienza e senso civico bisogna allearsi. Mi sembra utile ricordare la poesia di Brecht recitata da Servillo nel film “Viva la libertà”:  a chi esita.

C’è una parola che mi è particolarmente cara, e qui non c’è: passione. E’ una parola chiave non solo per la politica, ma anche per la vita.

Ascolta sto parlando proprio a te, tu dici: per noi va male, il buio cresce, le forze scemano, dopo che abbiamo lavorato per tanti anni siamo ora in una condizione più difficile di quando si era cominciato. E il nemico ci sta innanzi: più potente che mai, sembrano gli siano cresciute le forze, ha preso un’apparenza invincibile e noi abbiamo commesso degli errori; non si può negarlo; siamo sempre di meno. Le nostre parole sono confuse, una parte delle nostre parole le ha stravolte il nemico fino a renderle irriconoscibili. Che cosa è errato, falso di quel che abbiamo detto, qualcosa o tutto? Su chi contiamo ancora? Siamo sopravvissuti, respinti via dalla corrente, resteremo indietro fino a comprendere più nessuno e da nessuno compresi o dobbiamo contare sulla buona sorte? Questo tu chiedi, non aspettarti nessuna risposta, oltre la tua.

Facciamolo – 1° appello

Vista la gravità dell'attuale situazione politica italiana emersa in queste ultime elezioni - in cui i partiti tradizionali hanno perso fiducia e il voto dei cittadini - si legge nell'appello che: "Mai, dal dopoguerra a oggi, il Parlamento italiano è stato così profondamente rinnovato dal voto popolare". Inoltre per la prima volta i giovani e le donne sono parte cospicua della due Camere, per la prima volta ci sono i numeri per dare corpo ad un cambiamento sempre invocato e mai realizzato".

"Cambiamento nel nome della volontà popolare sortita dal voto del 24-25 febbraio, che questa speranza non venga travolta da interessi di partito, calcoli di vertice, chiusure settarie, diffidenze, personalismi".  

Con questa maggioranza, fatta di cittadine e cittadini elettori che vogliono voltare pagina dopo vent'anni di scandali, di malapolitica, di sperperi, di prepotenze, di illegalità, di discredito dell'Italia nel mondo, chiede ai suoi rappresentanti eletti in Parlamento, ai loro leader e ai loro portavoce, di impegnarsi fino allo stremo per riuscire a dare una fisionomia politica, dunque un governo di alto profilo, alle speranze di cambiamento".

Michel Serra                     Don luigi Ciotti                  Lorenzo Jovanotti

Roberto Saviano               Oscar Farinetti                  Carlo Petrini

Roberto Benigni               Don Andrea Gallo            Salvatore Settis

Barbara Spinelli               Ferzan Ozpetek              Fabio Fazio


2° Appello

Caro Beppe Grillo, cari amici del Movimento 5 Stelle,

Una grande occasione si apre, con la vostra vittoria alle elezioni, di cambiare dalle fondamenta il sistema politico in Italia e anche in Europa. Ma si apre ora, qui e subito. E si apre in questa democrazia, dove è sperabile che nessuna formazione raggiunga, da sola, il 100 per cento dei voti. Nessuno di noi può avere la certezza che l’occasione si ripresenti nel futuro. Non potete aspettare di divenire ancora più forti (magari un partito-movimento unico) di quel che già siete, perché gli italiani che vi hanno votato vi hanno anche chiamato: esigono alcuni risultati molto concreti, nell’immediato, che concernano lo Stato di diritto e l’economia e l’Europa. Sappiamo che è difficile dare la fiducia a candidati premier e a governi che includono partiti che da quasi vent’anni hanno detto parole che non hanno mantenuto, consentito a politiche che non hanno restaurato ma disfatto la democrazia, accettato un’Europa interamente concentrata su un’austerità che – lo ricorda il Nobel Joseph Stiglitz – di fatto «è stata una strategia anti-crescita», distruttiva dell’Unione e dell’ideale che la fonda.                                        Ma dire no a un governo che facesse propri alcuni punti fondamentali della vostra battaglia sarebbe a nostro avviso una forma di suicidio: gli orizzonti che avete aperto si chiuderebbero, non sappiamo per quanto tempo. Le speranze pure. Non otterremmo quelle misure di estrema urgenza che solo con una maggioranza che vi includa diventano possibili. Tra queste: una legge sul conflitto di interesse che impedisca a presenti e futuri padroni della televisione, della stampa o delle banche di entrare in politica; una legge elettorale maggioritaria con doppio turno alla francese; il dimezzamento dei parlamentari il più presto possibile e dei loro compensi subito; una Camera delle autonomie al posto del Senato, composta di rappresentanti delle regioni e dei comuni; la riduzione al minimo dei rimborsi statali ai partiti; una legge anti-corruzione e anti-evasione che riformi in senso restrittivo, anche aumentando le pene, la disciplina delle prescrizioni, bloccandole ad esempio al rinvio a giudizio; nuovi reati come autoriciclaggio, collusione mafiosa, e ripristino del falso in bilancio; ineleggibilità per condannati fin dal primo grado, che colpisca corruttori e corrotti e vieti loro l’ingresso in politica; un’operazione pulizia nelle regioni dove impera la mafia (Lombardia compresa); una confisca dei beni di provenienza non chiara; una tutela rigorosa del paesaggio e limiti netti alla cementificazione; un’abolizione delle province non parziale ma totale; diritti civili non negoziati con la Chiesa; riconsiderazione radicale dei costi e benefici delle opere pubbliche più contestate come la Tav. E vista l’emergenza povertà e la fuga dei cervelli: più fondi a scuola pubblica e a ricerca, reddito di cittadinanza, Non per ultimo: un bilancio europeo per la crescita e per gli investimenti su territorio, energia, ricerca, gestito da un governo europeo sotto il controllo del Parlamento europeo (non il bilancio ignominiosamente decurtato dagli avvocati dell’austerità nel vertice europeo del 7-8 febbraio).                                       Non sappiamo quale possa essere la via che vi permetta di dire sì a questi punti di programma consentendo la formazione del nuovo governo che decida di attuarli, e al tempo stesso di non contraddire la vostra vocazione. Nella giunta parlamentare si può fin da subito dar seguito alla richiesta di ineleggibilità di Berlusconi, firmata da ormai 150.000 persone : la fiducia può essere condizionata alla volontà effettiva di darvi seguito. Quel che sappiamo, è che per la prima volta nei paesi industrializzati e in Europa, un movimento di indignati entra in Parlamento, che un’Azione Popolare diventa possibile. Oggi ha inizio una vostra marcia attraverso le istituzioni, che cambieranno solo se voi non fuggirete in attesa di giorni migliori, o peggiori. Se ci aiuterete a liberarci ora, subito, dell’era Berlusconi: un imprenditore che secondo la legge non avrebbe nemmeno dovuto metter piedi in Parlamento e tanto meno a Palazzo Chigi.

Avete detto: «Lo Stato siamo noi». Avete svegliato in Italia una cittadinanza che vuole essere attiva e contare, non più delegando ai partiti tradizionali le proprie aspirazioni. Vale per voi, per noi tutti, la parola con cui questa cittadinanza attiva si è alzata e ha cominciato a camminare, nell’era Berlusconi: «Se non ora, quando?»

Remo Bodei
Roberta De Monticelli
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Presentazione

  • : Blog di mario bolzonello
  • : VI INVITO A SCRIVERE COMMENTI, OPINIONI. CLICCA IN FONDO A DESTRA DEGLI ARTICOLI. Mi sembra utile istituire un collegamento tra vari Blog per favorire la circolazione delle idee, delle riflessioni che aiutino a capire e affrontare la realtà nei suoi molteplici aspetti (questo blogo si limitata a una riflessione sui diritti civili, sulla religione, sulla politica, sull'economia, qualcosa sulla cultura, ma non sono un tutologo). Lo scopo è ampliare la partecipazione delle persone, per una loro migliore convivenza nella vita quotidiana, un ampliamento della conoscenza, del senso civico, della democrazia , e della buona politica. Si vuole essere propositivi e si escludo atteggiamenti di semplice denuncia e rivendicazione. SEGNALATE, PER FAVORE, I BLOG CHE HANNO QUESTE CARATTERISTICHE. GRAZIE. In fondo a destra si troveranno i blog interessanti
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Se desiderate comunicare con l'autore scrivete a : mario.bolzonellozoia@gmail.com

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