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4 aprile 2014 5 04 /04 /aprile /2014 18:13

Norrie May Welby Maschile, femminile e neutro: come i generi che si usano per studiare il latino a scuola. Ora però servono a definire legalmente il genere delle persone in Australia. Norrie May Welby, 52 anni, nato maschio in Scozia, emigrato a Sydney a sette anni con i genitori, diventato donna con un'operazione chirurgica e poi né l'uno né l'altro in seguito all'interruzione di una cura di ormoni, adesso è stato riconosciuto ufficialmente come appartenente al terzo sesso. Il verdetto della Corte Suprema australiana, viene salutato dalle associazioni transgeder e dai gruppi per i diritti civili come un fondamentale passo avanti per la difesa delle minoranze sessuali. "La gente dovrebbe venire riconosciuta per quello che è e poter partecipare alla vita sociale fuori da etichette e discriminazioni", è stato il suo primo commento secondo quanto riporta il quotidiano The Australian. Norrie si batteva da anni per non essere identificato né come maschio né come femmina. E per questo è diventato in tutto il mondo un simbolo del "terzo sesso".

Non si era mai sentito a suo agio nei panni di un uomo. Tuttavia, dopo l'intervento per cambiare sesso, non era stato bene neanche in quelli di una donna. A quel punto ha smesso di fare le cure di ormoni femminili che gli erano state prescritte e si è sottoposto a una nuova operazione per "non avere alcun genere sessuale predefinito". Da quel momento si definisce sessualmente come "neutro". L'Ufficio dell'Anagrafe di stato si era però opposto a catalogarlo come tale, o meglio come "non specifico", nella casella corrispondente al sesso sui documenti e nelle altre necessarie registrazioni previste dalla legge, nonostante il fatto che qualche anno fa l'Australia avesse emesso su richiesta di un suo cittadino il primo passaporto ad una persona dal sesso indeterminato su cui figurava un X al posto della dicitura "maschio" o "femmina". In un primo momento l'Anagrafe gli aveva rilasciato un certificato in cui il suo sesso risultava "non precisato", ma successivamente lo aveva annullato dopo aver ricevuto una consulenza legale secondo cui tale documento non poteva essere ritenuto valido.

Norrie ha allora fatto causa all'Anagrafe e il caso è finito fino al più importante organo giudiziario nazionale. Sulla base della decisione originale riguardante il passaporto con la X, l'Alta Corte ha stabilito che la legge australiana riconosce che le persone possano non essere né uomini né donne e vengano dunque identificate come "neutre" riguardo alla loro sessualità. "L'Alta corte è il più alto tribunale che abbiamo e ha riconosciuto in modo molto chiaro che nella nostra comunità vi sono persone con identità di genere non binaria, che hanno diritto di essere riconosciute legalmente", commenta Sam Rutheford dell'organizzazione "A Gender Agenda"

. Per le associazioni transgender e intersex si tratta di una svolta storica. Quella di Norrie, osservano, non è una stravagante eccezione: gli androgini sono molto più numerosi di quanto si creda, un individuo ogni duemila nasce non completamente maschio né completamente femmina dal punto di vista sessuale. Nell'antichità, in particolare in certe culture orientali, gli ermafroditi erano una minoranza diffusa e accettata più di oggi, ma ora la situazione si sta evolvendo con il riconoscimento di nuovi diritti per chi si riconosce in questa identità.

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7 dicembre 2013 6 07 /12 /dicembre /2013 08:09

Bologna, la coppia gay con congedo matrimoniale

Quando la legge (lo stato) vuole limitare i sentimenti (il principale di questi l’amore), i desideri (di avere figli – legge sulla fecondazione eterologa) definire, limitandone i confini invece di incoraggiare la variabilità delle relazioni e delle responsabilità, si allontana dalla vita dei cittadini i quali la sentono avversaria se non nemica. Dopo l’articolo del blog il sito dove trovare l’intervista di Stefano Rodotà da parte della Concita de Gregorio. C’è un’altra cosa da aggiungere: il ruolo della politica e dei politici perché non si può lasciare a papa Francesco questa decisione “Il mio ruolo: visto che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato ». Cioè visto che i funzionari della <<Camera>> e i rappresentanti dei cittadini,  che siedono in parlamento,  hanno dei diritti che non spettano ai normali cittadini (costo della politica: retribuzioni, pensioni,numero dei rappresentani, diritti per conviventi, accesso gratutito a determinati servizi ecc. ecc.), se vogliono essere credibili e essere seguiti devono eliminare questi privilegi.(ndr)

BOLOGNA LUI è un ricercatore dell' Università di Bologna. Il suo compagno, la persona che ama da una vita. A giugno si sono sposati all' estero, come tutte le coppie gay che ancora oggi non possono farlo in Italia. Appena tornato in Italia da marito, il prof ha chiesto all' ateneo il congedo matrimoniale. E l' Alma Mater ha detto sì. HA CONCESSO quelle due settimane retribuite che permettono agli sposi di andare in viaggio di nozze. È la favola di una coppia che vive a Bologna e che a giugno è volata oltreoceano per potersi sposare. Ma è anche la storia di un ente pubblico, l' università bolognese, che riconosce per la prima volta gli stessi diritti ai suoi dipendenti e alle loro famiglie senza distinguere il sesso dei docenti, senza specificare se la famiglia che è appena nata è omosessuale o eterosessuale. Una consuetudine che nel mondo delle aziende private si sta diffondendo sempre di più. Chi conosce i novelli sposi, racconta infatti che la richiesta del ricercatore all' università dove lavora è stata trattata con una procedura «lineare», «senza ostacoli, imbarazzi o veti di alcun tipo». Proprio nella città dove, appena qualche giorno fa, il cardinale Carlo Caffarra ha detto che «il vissuto umano» sta subendo una «corruzione mediante la proposta di equiparare all' amicizia coniugale l' amicizia omosessuale». Il mondo gay esulta per questo traguardo. E di questa storia rimane colpito in particolare Sergio Lo Giudice, senatore del Partito democratico ed ex capogruppo al Comune di Bologna, da sempre dirigente di spicco dell' Arcigay, di cui è presidente onorario. Lui, due anni fa, per sposare suo marito è andato a Oslo. E ricorda: «Sono un insegnante. Dopo il matrimonio ho fatto richiesta al ministero dell' Istruzione per beneficiare del congedo matrimoniale. Ma ho ricevuto un rifiuto. Questa decisione dimostra che, mentre lo Stato continua a ignorare le persone omosessuali, nella società, un pezzo alla volta, si affermano principi di eguaglianza che non si possono ignorare». Oggi la novità è che un ente pubblico concede questo diritto: «Sicuramente c' è una differenza rispetto ad altri casi. L' autonomia dell' università fa valere un diritto che lo Stato non riconosce. Ma c' è un rischio: che proprio loro, i dipendenti statali che non fanno parte di enti come gli atenei, non possano mai esigere questi diritti». In un anno, è la terza volta che all' Università di Bologna viene concesso un congedo matrimoniale. Oltre al caso di questa estate, il primo a essere reso noto dall' Alma Mater, il beneficio è stato riconosciuto a una coppia lesbica, in primavera, e a un' altra coppia gay, l' anno scorso, la prima volta in assoluto. Si tratta sempre di docenti, la maggior parte di loro si è sposata a New York. Anche se, per motivi di riservatezza, questi casi non sono stati resi noti. Sono benefici che in alcune aziende private sono già una realtà. È di pochi giorni fa la notizia che Coop Adriatica, il colosso della grande distribuzione, ha abbattuto ogni steccato varando un pacchetto di benefici che includono anche le coppie omosessuali: dal congedo matrimoniale all' assistenza del compagno malato. Iniziativa intrapresa anche da un' azienda di Parma, Servizi Italia, attiva nel campo della sanità. Da poco, per le 1.500 persone impiegate, il congedo matrimoniale è un diritto che spetta a tutti.

ROSARIO DI RAIMONDO 3 dicembre 2013 1

Questo è un ottimo discorso, da parte di Stefano Rodotà sui diritti civili, uno dei “giovani” a cui bisogna guardare

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-80e0f39b-c052-4819-b741-6df3c2b34094.html  (dopo la pubblicità)

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18 agosto 2013 7 18 /08 /agosto /2013 15:05

Non basta il decreto legge sul femminicidio a fermare lo stillicidio ormai quotidiano di uccisioni di donne, spesso da parte di mariti, fidanzati, amanti. Come non basteranno le norme contro l' omofobia, se e quando verranno mai approvate, a difendere le persone omosessuali dalla fatica di una vita quotidiana sempre ostaggio della (in)tolleranza e del disprezzo di persone che non solo credono di avere il monopolio della normalità, ma se ne fanno scudo per dar corso ai propri impulsi peggiori. Chi uccide va punito, chi minaccia di uccidere, o comunque tormenta, va fermato e se del caso punito. Le leggi servono a definire un confine anche penalmente, e non solo moralmente e culturalmente, invalicabile. Non si uccide per amore o per gelosia. Tantomeno queste possono essere invocate come attenuanti. Non si può utilizzare l' omosessualità come insulto e come causa di discriminazione e dileggio sistematici. Per questo le leggi hanno anche una funzione comunicativa; fanno parte del discorso pubblico su come una società considera se stessa e le proprie relazioni. Le resistenze del Parlamento italiano a varare norme contro l' omofobia, da questo punto di vista, non sono un bel segnale della maturità del discorso pubblico su questi temi. Leggi come queste, che mirano a contrastare comportamenti distruttivi, servono ancora di più se mettono in campo risorse per la protezione delle vittime e per lo sviluppo di iniziative di prevenzione (la parte più vaga, ahimè, del decreto sul femminicidio e assente dalla proposta di legge contro l' omofobia). La capacità di una norma di contrastare il comportamento che intende punire, tuttavia, non va sopravvalutata. Il timore della pena non trattiene il ladro, o l' evasore fiscale, che ritiene che il gioco valga la candela, o l' omicida che trova nell' atto di uccidere soddisfazione alle proprie pulsioni più profonde. Forse è proprio per il particolare tipo di soddisfazione che alcuni uomini trovano nell' uccidere una donna (che per lo più considerano propria) che gli assassinii di donne non sono diminuiti in questi anni, a fronte di una generale diminuzione degli omicidi. Analogamente, se qualcuno considera l' omosessualità e gli omosessuali una deformità contro natura e/o una tara morale, non basterà il timore di una pena per indurli a smettere di fare gli aguzzini dei loro compagni e a non usare le parole come pietre in una lapidazione quotidiana. Così come è bene che ci sia una legge che dice che non solo uccidere è reato ma farlo perché si ritiene l' altra una proprietà è un' aggravante, è necessaria una legge che dica che quando un' opinione diventa un' arma distruttiva, utilizzata per umiliare ed emarginare qualcuno, non è più in gioco lalibertà di opinione ma il diritto al rispetto e all' integrità personale. Ma occorrono anche un discorso pubblico complessivo, comportamenti pubblici, modalità educative che esprimano concretamente il rispetto dovuto a ciascuno, indipendentemente dal sesso e dall' orientamento sessuale. Se nella vita quotidiana e nelle decisioni che contano le donne continueranno ad essere considerate cittadine di serie B, molti uomini continueranno a sentirsi autorizzati a trattarle come tali anche nei rapporti privati. E molte donne continueranno a ritenersi persone di serie B, con meno diritti, accettando richieste e violenze rischiose. La legge di contrasto all' omofobia, se mai passerà, rimarrà solo simbolica se in società le persone omosessuali continueranno ad essere considerate una anomalia tendenzialmente pericolosa, senza gli stessi diritti degli eterosessuali ad una vita affettiva e famigliare. Se l' omosessualità, ma anche i modi diversi di essere maschi e femmine, non vengono detti ed elaborati come parte del caleidoscopio della normalità. Qualsiasi prepotente troverà legittimo e normale accanirsi su chi non risponde a standard "normali" stereotipici. Un bel romanzo di Catherine Dunne, Quel che ora sappiamo, racconta quanto ciò possa diventare intollerabile anche al ragazzo più intelligente ed amato, senza che genitori molto attenti e persino esperti riescano a coglierne per tempo i segnali. Anche perché dell' indicibile, di ciò che non viene mai nominato (inclusa l' incredibile capacità di cattiveria di alcuni ragazzi), è difficile parlare, confidarsi. L' adolescenza è un periodo della vita fragilissimo, in cui le prove di identità sono una fatica e un rischio per tutti e il giudizio dei propri pari, ma anche di genitori e insegnanti, un quotidiano giudizio di Dio. Dovremmo fare di tutto per evitare che per qualcuno si trasformi in un inferno senza ritorno.  CHIARA SARACENO

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