Il filosofo: “E’ l’unico grande tentativo di globalizzazione che sia riuscito: affratella i popoli, non divide”
intervista di Gabriele Beccaria a Giulio Giorello - La Stampa
«E’ vero, sono il direttore responsabile di “Scienza e Idee”, ma la collana nasce da uno sforzo collettivo e dalla fiducia che mi ha sempre accordato l’editore Raffaello Cortina. Lui stesso, d’altra parte, va a scovare libri. Anche all’estero. Con lo stile di un intelligente cane da tartufo, che spesso torna con tartufi di prim’ordine».
Giulio Giorello passeggia per Milano, dopo una lezione all’università, dove insegna Filosofia della scienza, e racconta con passione e ironia i suoi 252 «tartufi». Altrettanti titoli di una collezione che ha compiuto 20 anni e che esibisce una sfrenata ambizione: raccontare la scienza. Tutta. Dalla biologia alla fisica, girovagando per l’antropologia, la bioetica e le nuove tecnologie.
Professore, lei la celebrerà oggi in occasione di Bookcity: ha già preparato una frase a effetto?
«Vent’anni dopo, come direbbe Alexander Dumas! La mia sarà una discussione libera con i frequentatori del Museo di Storia Naturale, un luogo che amo e che si deve valorizzare di più, insieme con gli altri musei di Milano. “Pezzi” che dovrebbero ricordarci, secondo la migliore tradizione dell’Illuminismo lombardo, che la città ambiva a essere la città della scienza e della tecnica. È pensando a questa eredità che, di fronte a un boccale di birra, abbiamo pensato nel 1994 di battezzare la collana “Scienza e Idee”».
NON HA BISOGNODI MISSIONARI; VA AVANTI PER CONTO PROPRIO GRAZIE AI PUNTI DI VISTA DIVERSI
Li ricordi, per favore.
«Si chiamano Einstein, Bohr, Dirac, Fermi e altri... Sono stati spesso protagonisti dei nostri libri. Perché abbiamo pubblicato le loro biografie o dei testi potenti».
Per esempio?
«Testi sul rapporto tra meccanica quantistica e Relatività, come ne Il grande, il piccolo e la mente umana del matematico Roger Penrose o nel saggio, che ha avuto grande successo, del fisico Carlo Rovelli: La realtà non è quello che appare. Penso a questi titoli come ad alcuni dei puntelli della collana e ne sono orgoglioso: libri pensati qui in Italia e altri frutto di una politica di traduzione spesso coraggiosa».
A una traduzione è particolarmente legato, vero?
«Sono le 400 pagine di biografia di Dirac, L’uomo più strano del mondo di Graham Farmelo. Una scommessa e anche un rischio economico che l’editore - devo dire - ha corso in modo audace».
Ma anche con i titoli «made in Italy» avete fatto notizia.
«Sono nati dall’iniziativa di giovani e intelligenti collaboratori: ora non sono più tanto giovani, ma intelligenti lo sono ancora adesso. Penso a uno dei dialoghi più belli e anche più strazianti dal punto di vista umano, come quello di Lakatos e Feyerabend: è Sull’orlo della scienza, curato da Matteo Motterlini. Oppure al lavoro di Stefano Gattei, che ha messo insieme i testi più interessanti di Kuhn in Dogma contro critica. È un libro che ha anticipato i Collected Papers dello stesso Kuhn, pubblicati negli Usa».
Una sua idea, invece?
«Quella che è stata fatta propria da Corrado Sinigaglia, quando abbiamo pubblicato la prima “messa a punto” dei neuroni specchio e a realizzarla è stato Giacomo Rizzolatti, l’uomo che li ha individuati. So quel che fai ha avuto 12 traduzioni in 11 lingue».
Dodici e 11?
«Sì. Perché è stato tradotto due volte in cinese. Una per la Cina e una per Taiwan. È una realtà che la dice tutta sullo scarto tra la saggezza scientifica e le beghe della politica».
Ecco che la scienza torna a giganteggiare.
«Guardi... l’impresa tecnico-scientifica - e la chiamo così perché non faccio parte dei filosofi che piangono sulla tecnica, salvo poi servirsene quando conviene - è l’unico tentativo riuscito di globalizzazione. Che affratella i popoli anziché metterli gli uni contro gli altri, a differenza delle teorie economiche o dei disastri delle religioni. La scienza non ha bisogno di missionari e conversioni: va avanti grazie al gusto della controversia, della disputa, della proliferazione di punti di vista. Ed è questo il punto di vista della collana. Più ci sono pareri diversi e più sono contento».
A proposito di scienza e religione, non vi siete risparmiati il piacere delle controversie.
«Infatti abbiamo pubblicato punti di vista biologici e antropologici sulla religione e difese intelligenti della religione stessa, come quella del filosofo, fisico e teologo anglicano Polkinghorne, Credere in Dio nell’età della scienza. È la dimostrazione che la scienza non ha bisogno di Dio, ma che non lo nega e in qualche modo lo aspetta. Non ci interessa sposare la causa degli Odifreddi e nemmeno quella dei Mancuso. Basta che ci facciano dei buoni libri, come quelli in collana: Il computer di Dio e L’anima e il suo destino. E aggiungo che sono orgoglioso di aver ospitato anche Orizzonti e limiti della scienza e Figli di Crono del cardinale Martini».
E ora arriva il titolo 252: «Dimostrare l’impossibile».
«E’ una perla. Di Claudio Bartocci. Il tema lo descriverei così: come la scienza inventa il mondo. Nella ricerca ci scontriamo di continuo con forme di impossibilità. Ma il bello è che le sappiamo sempre aggirare