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13 aprile 2014 7 13 /04 /aprile /2014 20:56

Parla una delle due coppie che hanno convinto con la loro storia la Corte costituzionale a dichiarare illegittimo il divieto: “Noi, trattati per anni da delinquenti, così abbiamo vinto”

di CATERINA PASOLINI -La Repubblica

La scelta di vincere il pudore e portare la nostra storia, il nostro calvario nelle aule dei tribunali è servita: abbiamo aiutato a ridare speranza e più garanzie a tutte quelle coppie che sognano un figlio. Anche se per noi è forse troppo tardi". Elena parla con irruenza e passione, legando attimi di vita privata e spirito civico. Col marito Alessandro, anche lui libero professionista di Catania, forma una delle due coppie assistite dagli avvocati Costantini e D'Amico che hanno convinto con la loro storia la Corte costituzionale a dichiarare illegittimo il divieto di fecondazione eterologa.

A chi dedica questa vittoria? "Alle coppie incontrate nei nostri viaggi della speranza all'estero. A quelle che si sono impegnata la liquidazione, a chi ha chiesto prestiti e inventato scuse per ottenere un mutuo e pagarsi il sogno di un figlio. Ho pensato a chi è finita in mani di gente poco professionale, a sfruttatori, a chi ha lucrato sul desiderio disperato di diventare genitori".

Grazie a voi tutto cambia "Adesso finalmente quelle migliaia di coppie che ogni anno varcavano i confini, forse potranno provare ad avere un figlio vicino ai loro cari, nelle loro città, con un controllo medico accurato e quotidiano o per lo meno raggiungibile. Potranno diventare genitori in sicurezza e senza sentirsi più come dei ladri".

Si è sentita come una delinquente? "Sì noi ogni volta che siamo andati all'estero per cercare una gravidanza abbiamo mentito ad amici e parenti, inventando vacanze o impegni di lavoro inesistenti per nascondere le nostre vere intenzioni. Consci di commettere un reato, di fare qualcosa contro la legge italiana, ingiusta, ma non contro la nostra coscienza. Sentendoci come cittadini di serie B, colpevoli di sterilità e quindi condannati ad agire nell'ombra, a mentire, ad andare oltre confine non sapendo in quali mani saremmo finiti".

Come inizia la sua odissea? "Una vita come tante divisa tra lavoro e matrimonio. Poi all'improvviso, dopo aver avuto mia figlia che ora ha sei anni, mi ritrovo in menopausa a 34 anni. L'ho scoperto dopo un po' di mesi, non capivo perché non riuscivo più a restare incinta. E quando i medici me lo hanno spiegato è stato uno shock, mi sono sentita fallata, persa. Non riuscivo proprio a crederci, mi sembrava che il mio corpo mi avesse tradito, non mi riconoscevo".

La solitudine di chi è sterile? "Sì, nessuno può capire cosa si prova se non ci è passato, e per me era anche più sopportabile visto che una figlia ce l'avevo. Ma comunque è stata durissima. Per questo mi fanno impressione i commenti alla sentenza dei politici, così asettici, segno che loro non hanno mai ascoltato le storie di dolore, di sofferenze, il calvario di chi cerca un bambino che la natura gli nega, che si sottopone a mille cure pur di continuare a sperare".

Crisi di coppia? "Cercare un figlio è un percorso faticoso non solo fisicamente ma soprattutto dal punto di vista emotivo, psicologico. Diventa un viaggio profondo all'interno della coppia che ti porta a domandarti chi sei, cosa vuoi, valutare l'importanza dei legami, l'idea che hai della famiglia, della genetica".

La ricerca del figlio perfetto? "No assolutamente no, noi abbiamo sempre pensato che un figlio è di chi lo cresce e lo ama, non importa se è adottato o se è frutto dell'eterologa. Forse per questo non mi sono mai fatta tante domande su chi fosse la donatrice dell'ovulo che mi avrebbero impiantato fecondato dal seme di mio marito, non era importante. Quando sarebbe nato il piccolo, dopo essermelo tenuto in pancia per nove mesi, sarebbe stato semplicemente il nostro bambino".

Eterologa o adozione per lei è lo stesso? "Sì, tanto che mentre assieme a mio marito cominciavamo a navigare in rete alla ricerca dello studio medico giusto, abbiamo dato avvio anche alle pratiche per l'adozione internazionale. E forse ora, dopo una "gravidanza" di 4 anni ci siamo vicini. Forse arriverà un fratellino".

Quattro anni di tentativi "Un calvario, emotivo, fisico, un alternarsi di speranze e delusioni, di viaggi all'estero, di finte vacanze e di veri segreti. tutto con gran senso di solitudine, col peso delle nostre scelte solo sulle nostre spalle, senza poterlo condividere. Dopo aver guardato le varie offerte su internet abbiamo scelto la Grecia e con la scusa del turismo siamo partiti. Con nostra figlia al seguito che era piccolina, aveva solo due anni. Non avremmo potuto lasciarla sola".

Come è andata in Grecia? "Abbiamo usato tutti i nostri risparmi, circa diecimila euro, tra cure e viaggi. I medici erano bravi e la struttura professionale e accogliente, a differenza dei luoghi in cui sono incappate tante coppie, tante donne che sono finite nelle mani di gente avida, pronta a tutto per soldi e con poche garanzie mediche. Nonostante la bravura dei dottori purtroppo non ha funzionato. Abbiamo fatto due tentativi a distanza di mesi e l'unica gravidanza è durata solo qualche giorno. Neppure il tempo di sperare che era già tutto finito".

A sua figlia racconterà la sua storia? "Sicuramente sì, perché magari la mia menopausa precoce è genetica e quindi anche lei avrà forse bisogno di cure, ma soprattutto racconterò la nostra odissea, il desiderio di diventare ancora una volta genitori. Le parlerò delle difficoltà, della scelta di portare la nostra storia nelle aule di giustizia per il bene e i diritti di tutte le coppie. Le dirò di un paese dove da oggi, anche se resto sterile, non mi sento più trattata come una italiana di serie B".

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15 dicembre 2013 7 15 /12 /dicembre /2013 15:03

Stefano Rodotà 13 dicembre 2013

Sapevamo che la povertà si estendeva, che dilagavano le diseguaglianze, che la percentuale della fiducia dei cittadini nelle istituzioni era precipitata al 2%. Eppure questi dati venivano considerati come pure registrazioni statistiche. Valutate alla stregua di variazioni di sondaggi e non come lo specchio di una situazione reale che rivelava quanto la coesione sociale fosse a rischio. Ora quel momento è arrivato, e bisogna chiedersi come una situazione così difficile possa essere governata democraticamente. È problema capitale per le istituzioni, che non possono ridurlo ad affare di ordine pubblico. Ma è compito pure delle forze politiche che non possono trasformare le critiche legittime nella tentazione di raccogliere consensi nella logica della spallata al sistema, della tolleranza di metodi violenti. I cittadini si sono sentiti privati della rappresentanza, affidati alle pure dinamiche economiche, amputati dei diritti. Da qui bisogna ripartire. La provvida decisione della Corte costituzionale mette di fronte alla necessità di una legge elettorale centrata non solo sulla governabilità, ma sul recupero della rappresentanza. E la dimensione dei diritti è quella dove si fa più evidente l’intreccio tra le varie questioni. Torniamo per un momento a Prato, dove la drammatica morte dei cinesi non è stata causata da un semplice incendio, ma proprio alla negazione dei loro diritti. Se ad essi fossero stati garantiti un lavoro legale e la sicurezza, il diritto alla salute e quello all’abitazione, dunque il rispetto minimo della dignità della persona, nessuno di loro sarebbe morto. Questo non è un caso eccezionale, ma la testimonianza di una separazione sempre più diffusa dell’economia dai diritti, che trascina con sé anche quella tra politica e diritti, causa non ultima della disaffezione dei cittadini. L’azione del Governo è in grado di colmare questa distanza? Oggi la risposta non può che essere negativa. L’attuale maggioranza ha come sua componente essenziale il Nuovo Centrodestra, apparso a qualcuno come una sorta di destra moderna e che, al contrario, al posto dei diritti civili pone i “valori non negoziabili”, ribaditi come irrinunciabile segno di identità. Al posto dei diritti del lavoro ha insediato una logica che ha fatto deperire le garanzie. Al posto del rispetto dell’altro ha collocato il reato di immigrazione clandestina e l’ostinato rifiuto di allargare la cittadinanza. Al posto della legalità costituzionale vi è ancora la coda lunga delle norme che hanno distorto la legge in custode di interessi privati. Ognuno di questi casi ha nomi e cognomi, corrispondenti esattamente a quelli di esponenti della nuova forza politica. E questo è un ostacolo che continua ad impedire una esplicita strategia di uscita dalla non politica dei diritti che ci affligge da anni. Cominciamo dalle clamorose inadempienze del Parlamento. Fin dal 2010, prima la Corte costituzionale, poi la Corte di Cassazione hanno riconosciuto che le persone dello stesso sesso, unite in una convivenza stabile, hanno «il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia». Parole che non hanno trovato ascolto nelle aule parlamentari, sì che un diritto fondamentale continua ad essere ignorato. Il silenzio, che riguarda anche il riconoscimento delle unioni tra persone di sesso diverso, è destinato a continuare? Non meno scandaloso è quanto sta accadendo a proposito dell’accesso alle tecniche di procreazione assistita. La legge del 2004, il più scandaloso prodotto delle ideologie fondamentaliste, è stata demolita nei suoi punti essenziali da giudici italiani ed europei, ma per il Parlamento è come se nulla fosse accaduto e non vi è stato quell’intervento che, riconducendo a ragione quel che resta della legge, è necessario per restituire alle donne l’esercizio pieno dei loro diritti. Inoltre, è fallito per fortuna il tentativo di approvare una legge sulle decisioni sulla vita in contrasto con il diritto fondamentale all’autodeterminazione e con la norma costituzionale che vieta al legislatore di «violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Ma non si fa nessun passo nella direzione di approvare le poche norme necessarie per eliminare ogni dubbio intorno al diritto della persona di morire con dignità. E così il diritto di governare liberamente la propria vita — il nascere, il costruire le relazioni personali, il morire — è ricacciato in una precarietà che testimonia di una vergognosa indifferenza del legislatore. Sarà mai possibile rovesciare questa attitudine? La restaurazione della legalità attraverso i diritti investe direttamente l’essenziale tema del lavoro, che ha conosciuto una sua “riduzione privatistica” soprattutto attraverso l’articolo 8 del decreto 138 del 2011, dove si consente la possibilità di stipulare, a livello aziendale o territoriale, contratti collettivi o intese in deroga alle leggi. Il negoziato tra datori di lavoro e sindacati non avviene più con la garanzia della legge a tutela di diritti essenziali, ma torna ad essere affidato ai rapporti di forza, mai così “asimmetrici” come in questo tempo di crisi pesantissima. Questa norma deve essere cancellata, così come ha fatto la Corte costituzionale dichiarando illegittime norme limitative della rappresentanza sindacale, con una decisione che ci ricorda la necessità di una legge in materia che, nella logica costituzionale, riconosca ai lavoratori i diritti strettamente connessi alla loro condizione. E la questione del reddito di cittadinanza, della quale ci si vuol liberare con qualche mossa infastidita, rappresenta una buona occasione per ripensare il tema difficile del rapporto tra lavoro, cittadinanza, eguaglianza, dignità. Il filo è sempre quello che connette diritti e restaurazione della legalità. Lo vediamo discutendo di carcere, dove i diritti si scontrano con trattamenti inumani e degradanti e dove la responsabilità del Parlamento non si individua soltanto intorno ad amnistia e indulto, ma con la pari urgenza di incidere sulle cause del sovraffollamento, che hanno le loro radici in reati legati all’immigrazione o al traffico di stupefacenti, all’inadeguatezza del codice penale. Lo vediamo a proposito della tutela della privacy che, da una parte, esige maggior rigore all’interno; e, dall’altra, impone di non considerarla una questione “domestica”, ma un tema che imporrebbe una presenza del governo italiano in quella dimensione internazionale dove si gioca una inedita partita di legalità costituzionale. Lo vediamo nel deperimento continuo del diritto alla salute e di quello all’istruzione. Viviamo ormai in una situazione in cui la Costituzione è ignorata proprio nella parte dei principi e dei diritti. E lo stesso accade nell’Unione europea, amputata della sua Carta dei diritti fondamentale, che pure ha lo stesso valore giuridico dei trattati. La simmetria tra Italia e Europa è rivelatrice. La lotta ai populismi, anche nella prospettiva delle prossime elezioni europee, passa proprio attraverso l’esplicito recupero del valore aggiunto assicurato proprio dalla garanzia dei diritti. Questo catalogo, ovviamente parziale, consente di cogliere i nessi tra politica e società, i limiti delle impostazioni solo economicistiche, la rilevanza dei principi di eguaglianza, dignità, solidarietà. Ma serve anche a mostrare non solo l’inaccettabilità di qualsiasi sottovalutazione dei diritti, ma pure la debolezza d’ogni posizione che ritenga possibile separarli dalla democrazia. È vero, i diritti sono deboli se la politica li abbandona. Ma quale destino possiamo assegnare ad una politica svuotata di diritti e perduta per i principi?

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28 novembre 2013 4 28 /11 /novembre /2013 19:48

FORTUNATI i trecento studenti di Parma che ieri hanno potuto vedere e ascoltare Lucia Annibali, sfregiata con l’acido lo scorso aprile per volontà di un ex fidanzato respinto, un uomo così violento e così vigliacco da prezzolare, per quell’orribile gesto, due sicari albanesi.
Fortunati quei ragazzi perché il volto di Lucia, ricomposto giorno dopo giorno con una fatica, una dignità, una costanza, una sopportazione del dolore davvero femminili, sventolava in quell’aula come una bandiera. «Voglio ringraziare il mio volto ferito — ha detto Lucia — perché mi ha insegnato a credere in me stessa. A essere padrona di me, del mio corpo e dei miei sentimenti».
Tra pochi giorni quel volto fronteggerà in tribunale il suo carnefice. Colui che lo voleva cancellare (perché non merita di esistere, per il maschio padrone, cioè che non gli appartiene) se lo vedrà di fronte.

NON sappiamo se proverà rimorso o vergogna per il suo gesto atroce, tra l’altro mutuato di recente, qui da noi, da culture arcaiche e remote, una tortura importata sadicamente dallo spazio e dal tempo come se non bastasse, alla violenza sulle donne, il vasto armamentario già a disposizione. Sappiamo, però, e lo sa soprattutto Lucia, che la sopravvivenza di quel viso, il suo resistere allo scempio, il suo lento ritrovare espressione e dolcezza, e soprattutto il suo orgoglioso mostrarsi nonostante le ferite, e parlarne, e rivendicare identità e autonomia anche “grazie” a quel calvario, a quei lineamenti bruciati, segna la rovinosa sconfitta del suo oppressore.
Il gesto del vetriolo o dell’acido o dello sfregio da lama contiene una precisa volontà di annullamento: «Tu non devi più esistere. Esistevi solo in quanto mia. Non puoi e non devi esistere in quanto tua. Ora dunque io ti cancello. Vivrai nascosta. Vivrai nella vergogna di mostrarti». Il discorso con il quale ieri Lucia Annibali ha dato un significato palpitante, emozionante, non rituale alla giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ribalta addosso all’oppressore il suo odioso, patologico pregiudizio. «Io esisto, ed esisto a tal punto che la ferita che mi hai imposto non solo non mi fa vacillare, ma aumenta la mia coscienza di appartenermi, di essere mia, e di esserlo nonostante te». Trionfa, nelle parole semplici e potenti che Lucia ha rivolto a ragazze e ragazze che difficilmente lo dimenticheranno, il vecchio “io sono mia” che ha animato per generazioni il movimento delle donne. E che, nella sua ineludibile brevità, dice assolutamente tutto, e dice quello che fa impazzire di paura e di rabbia i maschi impreparati alla propria vita e alla libertà degli altri, soprattutto delle altre. A compimento del suo percorso di liberazione, Lucia ha anche voluto aggiungere due parole sull’amore, abusatissimo alibi di molti picchiatori, stalker, persecutori, carcerieri, torturatori di femmine. «Esiste solo un tipo di amore: quello buono, quello che ti rende felice e migliore. L’amore, come l’amicizia, è una relazione terapeutica, che ti arricchisce e ti fa crescere». Non è amore l’abuso, la costrizione, la gelosia patologica, non è amore lo spirito proprietario, il dispotismo sentimentale. Non è amore ciò che rende infelici e peggiori. L’invito, rivolto ai ragazzi presenti, di essere «gentili e affettuosi » con le ragazze, e alle ragazze di «scegliere il rispetto di voi stesse e sentirvi libere», sicuramente non è caduto nel vuoto, data la storia umana che quell’invito ha prodotto, e data la persona che quella storia incarnava.
Il presidente Napolitano ha nominato l’avvocato Lucia Annibali cavaliere al Merito della Repubblica. Raramente un’onoreficenza è parsa più carica di significato e di valore. Possa il maschio padrone, anche se rappresenta il grado zero dell’umanità, riuscire un giorno a misurare il valore, l’intelligenza, il coraggio di questa bellissima donna. E a esserne felice invece che terrorizzato. Ammirato invece che invidioso.

Da La Repubblica del 26/11/2013. Serra

 

26 NOV 2013 09:37

1. È LEI, LUCIA ANNIBALI, SFIGURATA CON L’ACIDO DALL’EX FIDANZATO, IL SIMBOLO SCELTO DAL CAPO DELLO STATO PER SIMBOLEGGIARE NELLA GIORNATA MONDIALE CONTRO IL FEMMINICIDIO, TUTTE LE DONNE CHE SI RIBELLANO CONTRO LA VIOLENZA DEI COMPAGNI - 2. CIFRE AGGHIACCIANTI: GIÀ 128 DONNE AMMAZZATE IN ITALIA QUEST’ANNO DALL’UOMO - 3. LUCIA ANNIBALI: “SE IO SONO DIVENTATA CAVALIERE, QUESTO SIGNIFICA CHE LA REAZIONE ALLA PERSECUZIONE NON È SOLO MIA. C’È TUTTA UNA SOCIETÀ CHE SI RIBELLA. LA NOMINA È UN MESSAGGIO AI VIOLENTI: STATE ATTENTI, LE DONNE NON SI SENTONO PIÙ SOLE” -

1 - SFIGURATA CON L'ACIDO DIVENTA CAVALIERE LETTA: "GUERRA ALLA VIOLENZA SULLE DONNE"
Caterina Pasolini per "la Repubblica"

LUCIA ANNIBALI

Il nuovo Cavaliere al merito, nominato dal presidente della Repubblica Napolitano, ha occhi profondi e cicatrici sul volto a ricordare chi giurava di amarla e l'ha aggredita, sfregiata con l'acido. È lei, Lucia Annibali, avvocatessa sfigurata dall'ex fidanzato, il simbolo scelto dal capo dello stato per simboleggiare nella giornata mondiale contro il femminicidio, tutte le donne che lottano, che si ribellano e denunciano la violenza cieca dei compagni, degli ex mariti.

Cifre agghiaccianti: già 128 le mogli, fidanzate ammazzate in Italia quest'anno dall'altra metà del cielo. Una mattanza che costa ogni anno 17 miliardi di euro, come ha ricordato il presidente della Camera Laura Boldrini. Perché non passa giorno che non accada una nuova violenza, come l'adolescente stuprata dal branco, aggressioni in strada o più spesso nascoste dalle mura di casa, protette dal silenzio, dalla vergogna, da un malinteso senso dell'amore.

Come quella vissuta da Rosaria Aprea, l'ex Miss Campania finita tre volte in ospedale con milza spappolata, presa a calci e massacrata dall'ex compagno geloso e che più volte aveva ritirato la denuncia tornandogli accanto. Ma che ora ripete con forza: «Aprite la porta di casa e denunciate: la violenza non si cancella, lascia cicatrici visibili ma, soprattutto, invisibili ».

Nella giornata mondiale contro la violenza alle donne, tutta l'Italia si è colorata di rosso, tra letture, flash mob, mostre, manifestazioni. Luci, drappi e fiocchi dal Campidoglio a palazzo Vecchio al tribunale di Bari, alle tante piazze riempite di scarpe a simboleggiare le storie di chi non ha più voce. Da Milano a Palermo è stato un moltiplicarsi di iniziative organizzate dalla rete di «Se non ora quando», dai sindacati, da politici e privati cittadini.

LUCA VARANI FERMATO PER LO SFREGIO A LUCIA ANNIBALI

Alla Camera, su invito del presidente Boldrini - che ha ricordato come la lotta al femminicidio «non è contro gli uomini anzi abbiamo bisogno della loro collaborazione», parlamentari e ministre, attrici e cantanti hanno letto i monologhi di Serena Dandini, "Ferite a morte", una Spoon River di storie di donne uccise da mariti e, compagni.

Così ha fatto anche il capo della Cgil Susanna Camusso, davanti allo striscione «La violenza alle donne è una sconfitta per tutti». «Perché la condizione della donna è la misura della democrazia di un Paese e quindi il femminicidio è una sconfitta anche degli uomini, che ora devono cambiare ». Sulla stessa linea dura il premier Enrico Letta: «Dichiariamo guerra alla violenza sulle donne, che deve diventare un tabù. La legge c'è, ora deve essere applicata bene».

Qualcosa di necessario, di urgente. Anche perché, come spiegano alla ong Pangea, «per tutte le donne vittime di soprusi in casa ci sono dei bambini che assistono terrorizzati, calcoliamo siano più di 400mila in Italia. A loro volta pagheranno crescendo lo scotto di quelle aggressioni rischiando di diventare vittime o nuovi carnefici».

2 - LUCIA ANNIBALI: "IO UN SIMBOLO? TUTTA LA SOCIETÀ PUÒ E VUOLE RIBELLARSI. RINGRAZIO IL MIO VOLTO FERITO CHE MI HA INSEGNATO A CREDERE DI NUOVO E DI PIÙ IN ME STESSA"
Jenner Meletti per "la Repubblica"

Scende il buio, su quella che è stata «davvero una bella giornata». «Tanto più importante per me - dice Lucia Annibali, colpita al volto con l'acido in una sera d'aprile - che di giornate belle in questi mesi ne ho vissuto poche ».

 

Quando ha saputo della sua nomina a Cavaliere?
«Stamattina mi è arrivata una telefonata dal Quirinale. L'ufficio stampa mi informava della decisione del Presidente. Che bella cosa. Per me, per la mia famiglia. E credo anche per tutte le donne che hanno subito violenza. È una notizia che dovrebbe interessare tutti gli uomini. Ci pensino su, prima di usare violenza. Se io sono diventata Cavaliere - che so, forse era meglio cavallerizza... - questo significa che la reazione alla persecuzione non è solo mia. C'è tutta una società che si ribella. La nomina è un messaggio ai violenti: state attenti, le donne non si sentono più sole».

 

Un viaggio a Parma, con tanti appuntamenti. Prima di tutto l'incontro con trecento studenti delle scuole superiori. Si era preparata?
«Sì, ieri sera. Pochi appunti per fissare le parole tante volte pensate in questi mesi: bisogna reagire, ci vuole il coraggio di sopportare anche l'insopportabile, bisogna ritrovare la normalità che è stata rubata... Non arrendersi mai. Mandare al mandante dell'aggressione un messaggio preciso: hai voluto cancellarmi e non ci sei riuscito. La tua malvagità alla fine non ha vinto. Era la prima volta che apparivo in pubblico. Mi sono sentita subito come a casa, ho capito che chi era lì aveva rispetto e voglia di capire».

Ha mostrato il suo volto ferito, è riuscita anche a sorridere.
«Il mio volto, ho detto, sono io. Parla di me, del mio dolore e della mia speranza. Voglio ringraziare questo volto ferito che mi ha insegnato a credere in me stessa, a fare un salto verso la donna che ho sempre voluto essere. Oggi mi sento padrona della mia vita e dei miei sentimenti. Ho un progetto da cui ripartire per avere una vita felice».

Ai giovani ha parlato anche delle parole scritte sul blog del suo psicoterapeuta quando c'erano già le vessazioni ma ancora non era arrivata l'aggressione.
«Già allora avevo iniziato un viaggio dentro a me stessa. Il primo passo verso la guarigione è capire con chi si ha a che fare. È un passo triste ma non potevo accontentarmi di una vita tanto triste ».

Lei ha rischiato di morire, ha sofferto l'inferno. Però è riuscita a parlare anche dell'amore.
«C'erano le ragazze e i ragazzi dell'età giusta. Esiste un solo tipo di amore, quello buono, che ti rende felice, che è indipendenza e libertà. Non bisogna avere fretta,
bisogna prima conoscere se stessi e poi darsi il tempo di conoscere l'altro. Il tempo passato lasciando che qualcuno ci ferisca non si recupera più».

È stata accolta da grandi applausi e commozione. Giovani e ragazze sono venuti a parlare con lei, a tu per tu.
«Mi dicevano: in bocca al lupo. Ai ragazzi ho detto: in questo momento di follia collettiva, voi dovere scegliere di essere gentili, amorevoli verso le vostre compagne. Alle ragazze ho spiegato: se qualcosa non funziona, in un rapporto, non dovete convincervi che qualcosa non va in voi».

Una giornata lunga, con tanti appuntamenti.
«Parma è diventata la mia seconda casa. Insieme a mia mamma Lella sono stata a pranzo con il primario, Edoardo Caleffi e la sua famiglia. Stasera dormirò in albergo poi domani entrerò in ospedale. Subirò la nona operazione, su una palpebra che si abbassa troppo e danneggia l'occhio destro. La prima volta sono rimasta nel reparto grandi ustionati per più di 40 giorni.

LUCIA ANNIBALI INCONTRA GLI STUDENTI LUCIA ANNIBALI

Lì ho incontrato i miei incubi peggiori, quando ero cieca e temevo che l'uomo con l'acido arrivasse per finire il suo lavoro di assassino. Ma ho trovato tanta solidarietà, con medici e infermiere che mi trattavano come una figlia. Ed è iniziata la mia resurrezione. Mi hai tolto il sorriso e la faccia - mi dicevo pensando all'uomo che non voglio nominare - ma io non cedo. E oggi sono riuscita a parlare, e a sorridere, in quella grande sala piena di persone che mi vogliono bene».

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30 ottobre 2013 3 30 /10 /ottobre /2013 13:55

I leader europei hanno reagito con veementi proteste alle rivelazioni sulle intercettazioni della National Security Agency. Ma l’atteggiamento dell’Unione europea, quando ha negoziato con l’amministrazione americana in queste materie, è sempre stato debole, addirittura subalterno: se la posta in gioco è la democrazia, né cedimenti, né convenienze sono ammissibili.


di Stefano Rodotà, da Repubblica, 26 ottobre 2013

Chi aveva decretato la fine dell’età dei diritti, oggi dovrebbe riflettere sul fatto che la prima, vera crisi tra Stati Uniti e Unione europea si è aperta proprio intorno alle violazioni di un diritto fondamentale — quello alla privacy. Ed è una crisi che mostra con chiarezza che cosa significhi in concreto la globalizzazione, quali siano i limiti della sovranità nazionale, di quale portata siano ormai le sfide rivolte alla democrazia attraverso diverse negazioni di diritti.

L’Europa reagisce, ma non è innocente. Non si può dire che questa sia una sorpresa, una vicenda imprevedibile, se non per la dimensione del fenomeno. Fin dai giorni successivi all’11 settembre, era chiaro che la strada imboccata dall’amministrazione americana andava verso l’estensione delle raccolte di informazioni personali, la cancellazione delle garanzie per i cittadini di paesi diversi dagli Stati Uniti, l’accesso alle banche dati private.

Vi è stata una colpevole sottovalutazione di queste dinamiche e sono rimaste inascoltate le sollecitazioni di chi riteneva indispensabile un cambio di passo nelle relazioni tra Unione europea e Stati Uniti, per impedire che sul mondo si abbattesse il “digital tsunami” poi organizzato dalla National Security Agency e provvidenzialmente rivelato da Edward Snowden.

Angela Merkel ha reagito alla notizia di un controllo sulle sue telefonate. Ma negli anni Novanta si seppe di un sistema mondiale di intercettazione delle comunicazioni chiamato Echelon (gestito da Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda), che riguardò anche Romano Prodi, allora Presidente del consiglio. Le reazioni furono deboli e il Parlamento europeo svolse una indagine assolutamente inadeguata. L’atteggiamento dell’Unione europea, quando ha negoziato con l’amministrazione americana in queste materie, è sempre stato debole, addirittura subalterno, e le pressioni delle lobbies americane continuano a farsi sentire in relazione al nuovo regolamento europeo proprio sulla protezione dei dati personali. Ora Barroso fa dichiarazioni molto dure, che tuttavia hanno senso solo se accompagnate da un profondo cambiamento di linea.

Tutto questo non diminuisce le responsabilità degli Stati Uniti, gravissime, perché è ormai chiaro che la gigantesca caccia alle informazioni non aveva come fine la sola lotta al terrorismo. Altrimenti non si sarebbero intercettate le comunicazioni di capi di Stato o di governo. Fin dai tempi di Echelon era chiaro che i dati raccolti servivano per conoscere strategie politiche ed economiche, per dare alle imprese americane un di più di informazioni per renderle più competitive rispetto a quelle europee.

Vale la pena di ricordare le parole dette all’ultima assemblea dell’Onu dalla Presidente del Brasile, Dilma Rousseff, anch’essa intercettata: «Senza tutela del diritto alla privacy non v’è libertà di opinione e di espressione, e quindi non v’è una vera democrazia». E questa dichiarazione è stata seguita dalla cancellazione del suo viaggio ufficiale negli Stati Uniti. Siamo dunque di fronte ad una vera questione di democrazia planetaria, che nessuno Stato può pensare di affrontare da solo, sulla spinta di risentimenti nazionali o personali. Angela Merkel usa parole dure, Enrico Letta invoca verità, François Hollande protesta. Ma loro sono governanti della regione del mondo dove la tutela dei dati personali ha trovato la tutela più intensa, considerata come diritto fondamentale dall’articolo 8 della Carta dei diritti dell’Unione europea. Essi hanno l’obbligo e l’occasione per aprire una fase in cui la tutela dei diritti fondamentali sia adeguata alle nuove sfide tecnologhe, che si traducono in una offerta crescente di strumenti utilizzabili proprio per violare quei diritti.

Di fronte al Datagate non bastano fiere dichiarazioni di buone intenzioni, e quindi non ci si può appagare delle parole di chi, dagli Stati Uniti, promette misure in grado di “bilanciare le esigenze di sicurezza con quelle della privacy”. Non si tratta di scegliere la via delle ritorsioni, ma bisogna dire chiaramente che, proprio per le dimensioni della vicenda, questa non può essere gestita come un affare interno statunitense. Alcuni punti fermi, comunque, vanno stabiliti subito.

Accelerare le nuove normative europee sulla privacy con un rifiuto netto delle pressioni americane. Rendere effettiva la linea indicata dalla risoluzione del Parlamento europeo che ha chiesto di sospendere l’accordo che prevede la trasmissione agli Stati Uniti di dati bancari di cittadini europei per la lotta al terrorismo, già per sé inadeguato per la debolezza con la quale l’Unione concluse quell’accordo. Mettere in evidenza l’impossibilità di proseguire la negoziazione del trattato commerciale in un contesto in cui la fiducia reciproca si è incrinata, sì che non è pretesa eccessiva chiedere agli americani azioni effettivamente risarcitorie e non cedere al ricatto di chi sottolinea i vantaggi di quel trattato, ponendo così le premesse per un perverso scambio tra benefici economici e sacrificio di diritti. E poiché l’intero continente latinoamericano ha adottato il modello europeo in questa materia, è davvero impossibile pensare all’avvio di iniziative coordinate, come esige una situazione in cui la tecnologia non conosce frontiere e, quindi, conferisce agli Stati più forti l’opportunità di divenire potenze globali? A questa globalizzazione delle pure politiche di potenza, incarnate anche dai grandi padroni privati della Rete, bisogna cominciare ad opporre una politica dei diritti altrettanto globale.

Questa strategia più larga può incontrare l’opinione pubblica americana, dove già le associazioni per i diritti civili avevano avviato azioni giudiziarie e ora vi sono esplicite e diffuse manifestazioni di dissenso. Lì è vivo il “paradosso Snowden”, con l’evidente contraddizione legata alla volontà di perseguire proprio la persona che ha svelato le pratiche oggi ufficialmente ritenute illegittime. E non cediamo al riduzionismo, dicendo che si è sempre spiato e che, tanto, le tecnologie hanno già sancito la morte della privacy. Si è ormai aperta una partita che riguarda proprio i caratteri della democrazia al tempo della Rete, e questo terreno non può essere abbandonato.

Bisogna, allora, contestare la perentorietà dell’argomento che, in nome della lotta al terrorismo, vuole legittimare raccolte d’informazioni senza confini: da parte di molti, e in Italia lo ha fatto un esperto come Armando Spataro, si è dimostrata la pericolosità e l’inefficienza di raccolte d’informazione che non abbiano un fine ben determinato. Bisogna ricordare che la morte della privacy, troppe volte certificata, è una costruzione sociale che serve alle agenzie per la sicurezza di affermare il loro diritto di violare la sfera privata, visto che ad essa non corrisponde più alcun diritto. E serve ai signori della Rete, come Google o Facebook, per considerare le informazioni sugli utenti come loro proprietà assoluta, utilizzandole per qualsiasi finalità economica, come stanno già cercando di fare.

Bisogna seguire la tecnologia e mettere a punto regole nuove per la tutela della privacy, com’è accaduto in passato, e con una nuova determinazione, dettata proprio dalla gravità degli ultimi fatti. Ma bisogna pure chiedersi se gli Stati, che oggi virtuosamente protestano contro gli Stati Uniti, hanno le carte in regola per quanto riguarda la tutela dei dati dei loro cittadini. Se la posta in gioco è la democrazia, né cedimenti, né convenienze sono ammissibili.

 
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5 agosto 2013 1 05 /08 /agosto /2013 18:21

'SE I DIRITTI SONO DIVERSI'

Adam Smith: trascurare i più svantaggiati provoca una enorme corruzione dei nostri sentimenti morali

George Bertrand Show: gli idioti vogliono l’ineguaglianza. E’ la loro unica chance per risalire

Norberto Bobbio: libertà ed uguaglianza sono i valori che stanno a fondamento della democrazia

I movimenti occupy. Nel 2011 negli USA e in Europa partono le proteste di occupy wall street e indignados: chiedono più diritti e uguaglianza.

Regno Unito: secondo uno studio della Fabian society, nel paese la differenza tra ricchi e poveri oggi cresce più che nell’era della Thacher

Brasile: Lo scorso giugno ci sono state le proteste contro il governo. Nel suo viaggio il Papa ha criticato l’individualismo

Francia: Dopo gli ultimi scontri scoppiati a Trippes, si è tornati a parlare dei ghetti de la Republique

Oggi: In un discorso pubblico il presidente americano Obama ha dischiarato che le disuguaglianze sono il freno del paese

 

Alain Touraine, dopo i nuovi scontri in banlieue, bisognerebbe cambiare il motto repubblicano in "liberté, inégalité, fraternité"?

«Non esageriamo, la Francia è ancora il paese d' Europa in cui le diseguaglianze sono meno pronunciate. Se guardiamo indicatori classici per misurare la povertà, ci accorgiamo che le disparità economiche sono sicuramente inferiori rispetto a paesi come la Gran Bretagna. Se poi facciamo un paragone tra l' Europa e gli Stati Uniti, allora vediamo che il Vecchio Continente è ancora un' area del mondo in cui viene preservato un ideale di giustizia sociale».

Il sociologo francese sta per pubblicare un nuovo saggio, La fin des societés. Un' analisi di come il "sociale", inteso come organizzazione delle risorse in istituzioni collettive, dalla scuola alla sanità, sia ormai in pericolo di estinzione. Il governo del sociale è stato sostituito da quello puramente economico?

«La globalizzazione finanziaria ha messo a soqquadro un equilibrio che avevamo costruito nell' ultimo secolo, attraverso i movimenti operai, i sindacati e poi le forze progressiste. Ora che l' economia finanziaria può passare sopra al controllo di Stati e nazioni, l' unica cosa che rimane delle istituzioni sociali che abbiamo costruito sono valori morali, come la dignità, il rispetto. Ed è qui che le disuguaglianze, anche in Francia, stanno aumentando».

Le democrazie occidentali hanno ormai accettato che ci siano cittadini con meno diritti degli altri?

«Se guardiamo indicatori sociali che misurano il successo dei ragazzi a scuola, oppure il diritto delle famiglie ad avere una casa, dobbiamo constatare il fallimento della Francia dell' égalité. Questo è stato un paese che ha saputo integrare in modo formidabile gli immigrati, poi il modello è entrato in panne per una ragione connaturata allo Stato: l' universalismo».

 

INTEGRAZIONE; L’universalismo francese è entrato in crisi con l’incontro delle differenze. Mancano del tutto programmi specifici di integrazione delle minoranze. E questo si traduce nel rifiuto degli altri

 

È proprio questa la promessa mancata della République?

«La società francese ha sviluppato una resistenza alle differenze in nome dell' universalismo. Nel sistema scolastico, per esempio, è quasi assente un tentativo di offrire programmi di integrazione specifici per le minoranze culturali e religiose, che poi ormai non sono più tanto minoranze. Questo atteggiamento, alla fine, provoca un rigetto dell' altro».

Ma come si può eludere il dato economico, per esempio sul deterioramento della classe media? «In sociologia il concetto di classe media è stato ormai ridefinito. Una volta erano le categorie statali e parastatali, ovvero gli impiegati con un salario garantito. La classe media è oggi composta da quadri d' impresa e da liberi professionisti. Anche in questo caso, è un' evoluzione legata all' economia di mercato che ha preso il sopravvento».

Con la crisi, è anche aumentata la forbice tra i ricchi e poveri.

«Il dato che riguarda il 5% della popolazione più ricca o più povera rispetto al reddito medio non è peggiorato in modo clamoroso. La novità sono i super-ricchi, quello zero virgola qualcosa che accumula fortune immense nonostante la recessione».

E la gauche che ora è al potere non ha portato alcuna svolta?

«Anche in Francia, la sinistra ha abdicato al suo ruolo di governo dell' economia di mercato. I valori della gauche sono invisibili. L' attuale governo si accontenta di difendere conquiste passate. Ha una visione puramente conservatrice che, come tale, è destinata a essere sconfitta».

ADDIO AL SOGNO AMERICANO

Detroit è un simbolo del vecchio concetto di declino economico. L' abbandono non ha colpito solo il centro della città; in tutta la sua area metropolitana, tra il 2000 e il 2010 la popolazione ha subito un calo più drastico di quello registrato in altre grandi città. Per converso, Atlanta può essere citata ad esempio di sviluppo impetuoso. In quello stesso periodo, il numero dei suoi abitanti è aumentato di oltre un milione: un incremento paragonabilea quelli di Dallas e Houston, senza la spinta aggiuntiva del petrolio. Ma al di là di questo netto contrasto, c' è un fattore che accomuna una Detroit in bancarotta a un' Atlanta in piena crescita. Sembra che anche qui, nonostante il boom, il "sogno americano" sia ormai svanito. Chi nasce in una famiglia povera difficilmente riesce a migliorare la propria condizione. Di fatto, l' ascensore sociale - o in altri termini, la possibilità di raggiungere uno status socioeconomico più elevato rispetto alle proprie origini- ad Atlanta sembra funzionare anche peggio che a Detroit, dove il livello di mobilità sociale è comunque basso. Uno studio recente promosso dall' Equality of Opportunity Project (EOP) e diretto da un gruppo di economisti delle università di Harvard e Berkeley si basa su una serie di confronti tra i tassi di mobilità sociale di diversi Paesi. Ne risulta che l' America di oggi, che pure continua a considerarsi come la terra delle opportunità per tutti, ha un sistema classista ereditario persino più rigido di altre nazioni avanzate.

 

CLASSISTA: Oggi nel nostro paese esiste un sistema classista peggiore che in altre nazioni. Eppure continuiamo a proclamare al mondo che questa è la "terra delle opportunità" per tutti

Gli autori del progetto hanno peraltro riscontrato notevoli differenze, in materia di mobilità sociale, anche all' interno degli Stati Uniti. Ad esempio a San Francisco, chi è nato in una famiglia appartenente al 20% inferiore (in termini di reddito) della scala sociale, ha l' 11% di probabilità di elevarsi fino al "top fifth", cioè al 20% con i livelli di reddito più alti; mentre ad Atlanta questa prospettiva è limitata al 4% di chi nasce povero. Gli studiosi hanno poi cercato di individuare i fattori collegati ai tassi più o meno elevati di mobilità sociale, giungendo a risultati in parte sorprendenti. Contrariamente alle aspettative, il fattore razziale sembra giocare un ruolo relativamente modesto. È invece emersa una correlazione significativa tra il grado di sperequazione sociale esistente e le probabilità di miglioramento In altri termini, quanto più deboleè il ceto medio, tanto minori sono le probabilità di ascesa sociale. Questo risultato trova riscontro anche a livello internazionale: nelle società relativamente egualitarie come quella svedese, la mobilità sociale è molto più elevata che nell' America di oggi, con i suoi stridenti contrasti tra poveri e super-ricchi. È inoltre emerso un altro dato significativo: la correlazione tra la segregazione abitativa - cioè la condizione delle fasce sociali relegate in quartieri molto distanti delle città estese a macchia d' olio - e le probabilità di riscatto da una condizione di indigenza. Ad Atlanta, la distanza fisica tra i quartieri bene e quelli abitati dalle fasce più povere è enorme. Sembra dunque che esista un rapporto inversamente proporzionale tra la dispersione urbana e il grado di mobilità sociale: un argomento in più per chi promuove le strategie urbane di "smart growth" (crescita intelligente) con centri urbani compatti e facilmente accessibili ai mezzi di trasporto collettivi. Quest' osservazione andrebbe tenuta in considerazione anche nel più ampio contesto di una nazione che sta deviando dalla propria rotta, e continua a parlare di pari opportunità mentre si rivela incapace di offrirle a chi più ne ha bisogno.                        . Copyright The New York Times Traduzione di Elisabetta Horvat

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4 agosto 2013 7 04 /08 /agosto /2013 07:03

Il discorso di Obama, la protesta nelle "banlieue francesi. L `emarginazione e la disuguaglianza sono diventate un`emergenza per le società occidentali.

Così le differenze sociali mettono a rischio la democrazia

SILLABARIO: inégalité Zygmunt Bauman

Il mondo si è ulteriormente polarizzato. Da una parte abbiamo una nuova élite che agisce a piacimento in luoghi sempre più remoti. Il resto del mondo, invece,  erige barriere sempre più alte per difendere i propri territori. Alcune di queste sono addirittura visibili: basti pensare al filo spinato che circonda le strutture di accoglienza dei richiedenti l’asilo, altr sono invisibile, ma non meno tangibili, come quelle disseminate attorno ai ghetti urbani ed a aree disagiate come le favelas di Rio o il Sud Italia.  Qui vivono persone a cui mancano o sono negate le risorse e la cui esistenza personale, di conseguenza, risente  pesantemente dei problemi comuni. Questa nuova stratificazione sociale viene resa ancora più opprimente dallo smantellamento progressivo delle difese e autodifese di tipo politico a favore delle classi  più povere, difese costruite faticosamente durante la storia moderna contro le disuguaglianze opprimenti.

Vi è una soglia di diseguaglianza superata la quale le società allontanano le persone tra loro in maniera distruttiva, ne mortificano la dignità, e così negano il loro stesso fondamento che le vuole costituite da "liberi ed eguali"? Evidentemente sì, visto che Barack Obama, abbandonando i passati silenzi, è intervenuto su questo tema, sottolineando che diseguaglianze nei diritti, nel rispetto della razza, nel reddito mettono in pericolo coesione sociale e democrazia. La denuncia riflette preoccupazioni che hanno messo in evidenza come le diseguaglianze siano pure fonte di inefficienza economica.


E all`opera una sorta di contro modernità, che contagia un numero crescente di paesi, e vuole cancellare l`"invenzione dell`eguaglianza". Proprio questo era avvenuto alla fine del Settecento, quando le dichiarazioni dei diritti fecero dell`eguaglianza un principio fondativo dell`ordine giuridico, e non più soltanto un obiettivo da perseguire all`interno di un ordine sociale che trovava nella natura la fonte della solidarietà, affidata ai doveri della ricchezza, alla carità, a un ordine gerarchico intessuto di relazioni spontanee tra superiori e inferiori. Questo disegno armonico si era rivelato incapace di reggere il peso delle diseguaglianze, e da qui è nata la rivoluzione dell`eguaglianza, che ha abbattuto la società degli status, e dato vita al soggetto libero ed eguale. Da generico dovere morale la lotta alle diseguaglianze diveniva compito pubblico. Passaggio colto con l`abituale nettezza da Montesquieu: «fare l`elemosina a un uomo nudo, per strada, non esaurisce gli obblighi dello Stato, che deve assicurare a tutti cittadini la sopravvivenza, il nutrimento, un vestire dignitoso, e un modo di vivere che non contrasti con la sua salute».


Erano venuti i tempi di quella che Pierre Rosanvallon ha chiamato "l`eguaglianza felice". Non perché una magia avesse cancellato le diseguaglianze. Ma perché un cammino era traccialo, e l`eguaglianza non era solo una promessa, ma un compito al quale lo Stato non poteva sottrarsi (continua a dircelo l`art. 3 della Costituzione). Questo cammino è stato interrotto, per ragioni diverse. La crisi fiscale dello Stato, con una riduzione delle risorse disponibili per il welfare accentuata nell`ultima fase. La teorizzazione di una eguaglianza sempre più legata alle sole opportunità di partenza e non ai risultati, quasi che diritti come salute e istruzione possano essere svuotati del loro esito concreto. Sullo sfondo, le tragedie del Novecento, con la separazione della libertà da una eguaglianza imposta anche con una violenza che spingeva a rifiutare, insieme all`egualitarisno, forzato, l`eguaglianza stessa. E soprattutto il ritorno del mercato come legge naturale indifferente all`universalismo.

DOVERE: La rivoluzione del Settecento ha trasformato l`aiuto ai più poveri da carità privata a dovere pubblico.

EGOISMO Siamo tornati ai vecchi egoismi, allo sfruttamento, ai violenti meccanismi di esclusione, alla chiusura nei ghetti

E così il mondo si è fatto sempre più diseguale. Negli anni `80 Peter Glotz parlò di una società dei due terzi, dove la maggioranza degli abbienti, raggiunto il benessere, abbandonava gli altri al loro destino. Oggi le cifre sono più drammatiche, i meccanismi di esclusione più profondi. Lo slogan estremo-"siamo il 99% "-è stato reso popolare dal movimento Occupy Wall Street e, al di là dell`esattezza della percentuale, fotografa una tendenza al concentrarsi della ricchezza nelle mani di una quota sempre più ristretta di persone

 (le stime parlano di un 10% della popolazione che possiede tra 50% e l’85% della ricchezza). Una concentrazione che si è rafforzata nell`ultima fase, e che testimonia una spettacolare inversione di tendenza. Infatti, nel 1913 in Francia l`1% possedeva il 53% della ricchezza, quota scesa al 20% nel 1994; in Svezia, la discesa era stata dal 46% del 1900 al 23% del 1980; negli Stati Uniti, il 10% possedeva il 50% prima della crisi del 1929 e il 35% nel 1980.

Dalla società dell`eguaglianza, che parlava di pieno impiego e di fine delle povertà materiali, si è così passati ad una società della diseguaglianza, dove distanze abissali dividono le persone, come hanno messo in evidenza i dati riguardanti il rapporto tra i redditi dei nostri manager e quelli dei dipendenti (in testa Marchionne con un rapporto 1 a 460). Il mondo solidale si perde nella frammentazione e negli egoismi. Gli effetti si manifestano con il ritorno della povertà, la riduzione dei diritti sociali, la trasformazione del lavoro in precariato o sfruttamento, la violenza dei meccanismi di esclusione e di rifiuto dell`altro, la chiusura nei ghetti. Le diseguaglianze stravolgono la vita delle persone, le condannano al grado zero dell`esistenza, anzi a quella "infelicità" che Wilkinson e Pickett hanno cercato di misurare con indici concreti. Così la diseguaglianza si scompone, va oltre la distanza economica, si alimenta con le tensioni legate alla razza, con le politiche del disgusto per il "diverso", con le diseguaglianze digitali. E regredisce a cittadinanza censitaria, perché i diritti non sono garantiti dall`eguaglianza, ma dalle risorse per comprarli sul mercato.

Nel mondo diseguale emergono soggetti che incarnano la nuova condizione. La classe precaria, alla quale Guy Standing vorrebbe affidare l`intero compito del rinnovamento. O i migranti, più ragionevolmente ricordati da Gaetano Azzariti come la realtà che meglio descrive la società globale e diseguale. Proprio perché tanto grandi sono gli effetti distruttivi delle diseguaglianze, torna così il bisogno di ripensare l`eguaglianza, quella "società degli eguali" alla quale è dedicato il bel libro di Rosanvallon, che indica di nuovo la via dell`eguaglianza perché la stessa democrazia possa tornare ad essere, o divenire, "integrale".

I  LIBRI

Jean-Jacques Rouseau:  Origine della disuguaglianza, Feltrinelli 2001

Ulrich Beck: Disuguaglianza senza confini. Laterza 2011

Joseph Stiglitz: Il prezzo della disuguaglianza. Einaudi 2013

Lucino Gallino: Globalizzazione e disuguaglianza.Laterza 2007

Bertrand Russel: Autorità e individuo. Tea 2010

Norbrto Bobbio : Eguaglianza e libertà. Einaudi 2008 - Destra e sinistra.Donzelli 2009

Ralf Darendorf: quadrare il cerchio. Laterza 2008

Adam Smith: Teoria dei sentimenti Morali. Bur 1955

Alain Tourain: Eguaglianza e diversità- Laterza 1997

K. Pickett R.G. Wilkinson: La misura dell'anima. Felrinelli 2009

Robert A. Dahl: sulla democrazia. Laterza 2006

Ronald Dworkin: virtù sovrana.Feltrinelli 2002

Michael Walzer: sfere di giustizia. Laterza 2008

Eric J. Hobsbawn: L'uguaglianza sconfitta. Datanews 2008

Vittorio E. Parsi: la fine dell'uguaglianza. Mondadori 2012

Riccardo Caporali: Uguaglianza. Il Mulino 2012

Benjamin Constant: Breve storia dell'uguaglianza.Ets 2013

Marco Zupi: Disuguaglianza in via di sviluppo. Carocci 2013

Amartya K. Sen: La disuguaglianza. Il Mulino 2010

Alexis de Toqueville: la democrazia in America. Utet 2007

Pierre Rosanvallon: la società dell'uguaglianza. Catelvecchi 2013

 

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