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6 settembre 2016 2 06 /09 /settembre /2016 19:18

Le distruzioni e le morti evitabili con una maggiore cura dell’ambiente e delle infrastrutture hanno leso i principi costituzionali del diritto alla vita e alla sicurezza. Sono questioni che riguardano il processo legislativo

CHIARA SARACENO -  la Repubblica

LA TRAGEDIA di questi giorni, con il suo corredo di ricerca delle responsabilità, non per il terremoto, ma per le sue conseguenze evitabili in termini di distruzione e di morte, ci mette di fronte alle troppe semplificazioni con cui si è affrontata e si affronta tuttora, in vista del referendum, la riforma costituzionale, da parte sia di chi è a favore sia di chi è contro. Una delle “ragioni forti” avanzate dai sostenitori della riforma è che, superando il bicameralismo perfetto, si sveltirebbe il processo legislativo, rendendo più efficienti ed efficaci i processi decisionali. Purtroppo le cose non stanno così. Qualsiasi siano i limiti del bicameralismo perfetto (e ci sono), il processo legislativo in Italia non è rallentato principalmente dalla necessità del doppio passaggio, ma da leggi scritte male, che richiedono “interpretazioni autentiche”, o che individuano male (per superficialità del legislatore, scarsa conoscenza dei fenomeni, cattivo uso delle informazioni) i propri obiettivi e perciò, inevitabilmente, li mancano. Si potrebbero fare diversi esempi in molti settori.

Il caso degli incentivi per l’adeguamento antisismico nelle zone a rischio è, ahimè, esemplare. Da un lato, ci si è affidati alla capacità e volontà dei comuni di informare e incoraggiare i propri abitanti circa questa possibilità, come se la sicurezza fosse un optional affidato esclusivamente all’iniziativa e predilezione privata, non parte di un bene comune di cui tutti siamo responsabili nelle nostre azioni. Mentre un comune può decidere, in nome del decoro urbano, sul colore delle facciate e delle persiane e se e dove si può appendere il bucato, o anche di mettere le valvole per misurare il calore erogato, non può imporre a un cittadino, a un condominio, di mettere a norma antisismica la sua abitazione, tantomeno controllare se lo ha fatto. Abbiamo visto come in uno dei comuni distrutti pochissimi avessero fatto richiesta dell’incentivo (e quei pochi sono stati beffati dall’incompetenza di un impiegato). Dall’altro lato, la legge che destina gli incentivi a chi abita nelle zone antisismiche esclude la detrazione del 65 per cento del costo di adeguamento antisismico per le seconde case. Ma nei piccoli centri spesso le seconde case sono la grande maggioranza (il 70 per cento secondo alcune stime), anche se sono divenute tali nel passaggio generazionale.

Lo abbiamo visto e sentito in questi giorni, apprendendo come molti dei paesi distrutti triplicassero ogni estate i propri abitanti, con chi tornava per le vacanze nella casa che era stata dei genitori o dei nonni, quando non si trattava di nipoti in visita dai nonni in attesa che ricomincino le scuole. Il ridotto numero di richieste per gli incentivi può essere in parte dovuto a questa esclusione, che di fatto ha considerato le seconde case un “non rischio” non solo per i loro proprietari, ma anche per i loro vicini.

Un altro esempio, sempre di drammatica attualità dato che riguarda come e da chi sono fatti i lavori, è la riforma degli appalti, cruciale per evitare costruzioni ex novo, o ristrutturazioni, fatte male per negligenza o delinquenza, come sembra sia avvenuto anche in edifici pubblici dei paesi coinvolti. Come si è ricordato su questo giornale, il decreto legislativo 50 è stato sì pubblicato il 19 aprile 2016 sulla Gazzetta Ufficiale. Ma, nonostante si tratti già di un testo molto ponderoso, rimane un testo di fatto “vuoto”, perché mancano del tutto gli innumerevoli decreti di attuazione. È un fenomeno purtroppo ben noto nel processo legislativo italiano, dove molte leggi rimangono inapplicate non per dolo, ma per mancanza dei regolamenti necessari.

Più che ai guai del bicameralismo siamo di fronte ad un modo di legiferare bizantino, che rimanda sempre ad un altro passaggio, mentre nei vuoti si incuneano la negligenza, l’arroccamento difensivo della burocrazia (meglio non fare per non incorrere in sanzioni), quando non il malaffare. Sono questioni che non riguardano, ovviamente, la Costituzione e la riforma costituzionale. Anche se i “danni collaterali”, le distruzioni e le morti evitabili con una maggiore cura dell’ambiente e delle infrastrutture, con una più diffusa e capillare assunzione di responsabilità, hanno leso i principi costituzionali del diritto alla vita e alla sicurezza. Sono questioni che riguardano, appunto, il processo legislativo.

Mettere tutta l’attenzione sulla riforma costituzionale, come se lì si annidassero tutti i problemi o tutte le soluzioni, rischia di eludere quello che, a mio modesto parere, è il problema centrale del processo legislativo italiano, che andrebbe profondamente ripensato.

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14 luglio 2016 4 14 /07 /luglio /2016 19:57

Non basta la psicologia a spiegare l'orrore delle tante donne assassinate

MICHELE SERRA - La Repubblica

Sui maschi che uccidono o sfregiano la femmina che li rifiuta (con lo scopo, lucidamente feroce, di renderla "inservibile" ad altri maschi) si esercitano molto le discipline psicologiche, criminologiche e antropologiche, come è utile e anzi indispensabile che avvenga. Ma credo - e lo dico da maschio - che su quella rovente, tremenda questione, non si eserciti abbastanza la parola politica.

Al netto dei materiali psichici complessi e oscuri che ci animano, molti dei nostri comportamenti sono determinati dalle nostre convinzioni e dalle nostre idee. Ciò che siamo è anche ciò che vogliamo essere. O che tentiamo di essere. Se non rubiamo non è solamente per il timore della punizione, o perché non ne abbiamo la stretta necessità economica. È perché abbiamo ripugnanza etica del furto.

Quando ero ragazzo, negli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo, si è decisamente sopravvalutato il potere che le convinzioni e le idee potessero esercitare sulla nostra vita; vita quotidiana compresa. "Il privato è politico", si diceva allora, volendo significare che ogni nostro atto, anche domestico, anche invisibile alla Polis che tumultuava e rumoreggiava sotto le nostre finestre, avesse valore pubblico e producesse il suo effetto politico. Era una forzatura ideologica che l'esperienza provvide, per nostra fortuna, a sdrammatizzare e infine a diradare, facendoci sentire un poco meno "responsabili del mondo" almeno dentro i nostri letti, un poco meno sottomessi al Dover Essere ideologico. Vennero scritti libri e girati film sulla presuntuosa goffaggine che pretendeva di avere instaurato, in quattro e quattr'otto, libertà di costumi e liberalità di sentimenti. Non erano così facilmente arrangiabili, i sentimenti e gli istinti, alle nuove libertà. Non così addomesticabili il dolore inferto e subito, l'abbandono, la gelosia.

Ma la decompressione ideologica dei nostri anni è funesta in senso contrario. Le idee, che a noi ragazzi di allora parvero fin troppo determinanti, oggi vagolano in forma di detriti del passato oppure di scontate banalità. Hanno perduto molto del loro appeal: in positivo, perché è finita la sbornia ideologica, ma anche in negativo, perché molte fortissime idee hanno perduto la loro presa sul discorso pubblico, impoverendolo e istupidendolo. Per esempio l'idea - e veniamo al punto - che la donna appartenga a se stessa ("io sono mia"), che la sua persona e il suo corpo non siano mai più riconducibili alle ragioni del patriarcato e del controllo maschile. Se c'è mai stata, al mondo, un'idea rivoluzionaria, è quella: ribalta una tendenza millenaria, smentisce spavaldamente la Tradizione, muta la struttura sociale perfino più radicalmente di quanto la muterebbe la sovversione della gerarchia padrone-operaio. Perché non se ne sente più l'eco, di quello slogan così breve e di così implacabile precisione? Forse perché lo si dà per scontato (non essendolo!); forse perché nessun "principio" assoluto riesce più a ottenere credito in una società smagata, relativista più per sfinimento che per cinismo.

Eppure, volendo ridurre all'osso la questione del femminicidio, è proprio l'ignoranza o il rifiuto maschile di quel principio - io sono mia - il più evidente, perfino il più ovvio di tutti i possibili moventi. No, tu non sei tua, tu sei mia. Il mio bisogno è che tu stia con me, e del tuo bisogno (non stare più con me) non ho rispetto, o addirittura non ne ho contezza. Tu esisti solamente in quanto mia; in quanto non mia, esisti talmente poco che cancello la tua vita. Certo, la stratificazione psichica è profonda, cause e concause si intrecciano, paure e debolezze si sommano producendo, nei soggetti più sconquassati, aggressività e violenza. Ma il "via libera" all'aggressione, alla persecuzione, allo stalking, al delitto scatta anche perché nessuna esitazione "ideologica" interviene a soccorrere il carnefice, nessuna occasione di dibattito interno gli è occorsa, a proposito di maschi e di femmine.

Politica e cultura (ovvero: il processo di civilizzazione) esistono apposta per non abbandonare la bestia che siamo alla sua ferinità e ai suoi istinti, regolando in qualche maniera i rapporti sociali, rendendoli più compatibili al bisogno di incolumità e dignità di ogni persona. Questo non esclude, ovviamente, che ci siano stalker e aguzzini di buona cultura e di idee liberali. Ma è l'eccezione che conferma la regola: costumi e comportamenti di massa sono largamente influenzati, e sovente migliorati, dalla temperie politica e culturale dell'epoca. È nell'Italia rinnovata e modernizzata degli anni Sessanta che la contadina siciliana Franca Viola si ribella al ladro del suo corpo e pronuncia, entusiasmando milioni di spiriti liberi, il suo semplice ma inequivocabile "io sono mia" prefemminista e presessantottino, con la mitezza luminosa di una Lucia aggiornata che rimette al suo posto il donrodrigo di turno. È sempre in quell'Italia che, con fatica, si arriva finalmente a mettere in discussione l'obbrobrio giuridico del "delitto d'onore", che verrà finalmente cancellato vent'anni dopo. Ed è a livello popolare, mica solo nei "salotti", è nel profondo della società che quei fermenti circolano, quelle discussioni si animano, quei confitti indirizzano il senso comune.

Non so quanto dipenda dalla mia storia psichica o dalle mie attitudini caratteriali il fatto che io non abbia mai alzato un dito su una donna. Ma so per certo che dipende in buona parte, per dirla molto banalmente, dalla mia volontà di non farlo; dalla mia educazione e dall'esempio ricevuto in famiglia; dalle mie inibizioni culturali, che mi fanno considerare indegna e vile la sopraffazione dell'altro; infine, e non ultimo, dalle mie convinzioni politiche, che mi conducono fortemente a credere che la libertà delle donne sia condizione (forse la prima condizione) della libertà di tutti.

Come disse a milioni di persone, con la sua ruvidezza a volte così necessaria, Luciana Littizzetto al Festival di Sanremo di qualche anno fa, "chi picchia una donna è uno stronzo". Poi, certo, è soprattutto di aiuto, di assistenza e perfino di pietà che hanno bisogno anche gli stronzi, soprattutto 
gli stronzi. Ma la prima domanda da porre, al femminicida in carcere o in altro luogo di recupero e cura, è sempre e solamente una, semplice, facile da capire, ineludibile: ma non lo sapeva, lei, che le donne non sono di sua proprietà? Non glielo aveva mai spiegato nessuno?

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11 luglio 2016 1 11 /07 /luglio /2016 10:13

 

Quando i nodi vengono al pettine contemporaneamente non si risolve la crisi economica sociale affrontando un solo aspetto, ma essendo scarse le risorse, bisogna esere chiari nelle proposte e nelle priorità, prima le questioni principali e poi le successive

La Fao: saranno i protagonisti di un futuro più sostenibile. Un’alternativa nei paesi poveri alle proteine della carne

CARLO PETRINI – La REPUBBLICA

Capitare a fagiolo, cadere a fagiolo. Espressione usata spesso per dire che qualcuno o qualcosa è esattamente ciò che ci vuole in quel luogo e in quel momento.


L'origine di questa espressione non è chiara e si perde nella notte dei tempi, ma mi piace pensare che non sia affatto un caso che, per indicare che qualcosa funziona, si sia scelta proprio questa pianta, che è forse la rappresentante più nota e diffusa di quella famiglia che chiamiamo legumi e che quest'anno sarà in qualche maniera al centro dell'attenzione. Già, perché il 2016 è stato scelto dalla Fao (l'agenzia delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) come Anno Internazionale dei Legumi.


Secondo la Fao i legumi possono contribuire in modo significativo ad affrontare la fame, la sicurezza alimentare, la malnutrizione, le sfide ambientali e la salute umana, e, sempre a fagiolo, lo slogan che identifica i protagonisti del 2016 è appunto "semi nutrienti per un futuro sostenibile ".


Definizione che sottolinea il valore di queste piante, fonte, oltre che di proteine, anche di minerali, ma che tralascia un punto importante. La questione non è infatti puramente nutrizionale, ma chiama in causa molti aspetti del nostro vivere come comunità mondiale, questioni sulle quali i piccoli e marginali legumi possono giocare sempre di più un ruolo da protagonisti.


Oggi, nei paesi occidentali, si consuma troppa carne (125 chili a testa all'anno in Usa, 90 in Europa) e questo crea grandi problemi ambientali e di giustizia sociale. Una consistente parte di cereali (spesso geneticamente modificati) è impiegata per nutrire animali che vivono in ambienti estremamente ristretti, sottoposti ad altissimi stress fisici e per questo "curati" con dosi massicce di antibiotici. Senza contare che per produrre un chilogrammo di carne di manzo occorrono circa 15mila litri di acqua. Il tutto in presenza di zone del pianeta in cui la fame e la malnutrizione interessano ancora quasi 800 milioni di persone. Possiamo pensare che tutto il mondo si allinei ai nostri consumi di carne in futuro? La risposta è no, perché non basterebbe un pianeta intero per nutrire tutti gli animali che servirebbero. E allora è necessario un percorso di contrazione e convergenza: noi dobbiamo diminuire i nostri consumi di carne, consentendo alle popolazioni di altri continenti di aumentarli (oggi in Africa il consumo di carne annua pro capite non raggiunge i 10 kg). Non possiamo non tenere conto di questi aspetti quando parliamo di fonti alternative di proteine, in particolare quando queste sono buone, reperibili a basso costo, accessibili, e si sono adattate incredibilmente a praticamente tutti i tipi di climi abitati dall'uomo come i legumi.


Fagioli, piselli, fave, lupini, cicerchie, ceci, arachidi e lenticchie sono solo alcune delle 12mila specie che fanno parte della famiglia, ma danno bene l'idea dell'importanza nutrizionale che questi ricoprono per la comunità umana. Ma c'è qualcosa in più: oltre a essere buoni e nutrienti, i legumi sono anche importantissimi per il benessere dei suoli, perché cedono azoto al terreno e dunque ricostituiscono l'humus fertile invece di impoverirlo. Non a caso in molte culture questi vengono coltivati in associazione ad altre piante (come nella milpa messicana, in cui si seminano accanto a zucche, mais e peperoncini) o addirittura utilizzate a cicli per ricostituire i nutrienti dei terreni ipersfruttati.


Quando parliamo di legumi siamo di fronte a un mondo incredibilmente variegato e affascinante. Sono più di 30 le varietà tutelate dai Presìdi Slow Food in tutto il mondo, dai Fagioli di Smilyan bulgari, celebrati addirittura con un festival, alla Fava cottòra dell'Amerino della più vicina Umbria. Ognuna con le sue storie e le sue tradizioni, ognuna fondamento della dieta della comunità locale, che si è sbizzarrita nella creazione di ricette e preparazioni. Guardando all'Italia, sono moltissimi i paesi delle nostre campagne che hanno un tipo di legume che si è adattato al clima e al terreno e ha assunto caratteristiche uniche che ne fanno oggi un prodotto di eccellenza e di attrazione. Occorre oggi più che mai ricordarsi che la straordinaria adattabilità di queste piante è un dono che noi dobbiamo conoscere, valorizzare e integrare sempre di più nelle nostre diete. Ne va della nostra salute, di quella dell'ambiente e di quella dei suoli. Il 2016 come anno internazionale dei legumi è decisamente capitato a fagiolo.

Legumi: calorie e valori nutrizionali

Tabella delle calorie e dei principali valori nutrizionali (carboidratiproteine e grassi) dei legumi. I valori si riferiscono a 100 grammi di parte edibile.

Alimento Carboidrati (g) Proteine (g) Grassi (g) Calorie (kcal)
Ceci 60,65 19,3 6,04 364
Ceci in scatola 22,53 7,05 2,77 139
Fagioli 63,25 21,25 0,9 339
Fagioli adzuki 62,9 19,87 0,53 329
Fagioli borlotti 60,05 23,03 1,23 335
Fagioli borlotti in scatola 15,12 5,54 0,28 83
Fagioli cannellini 60,27 23,36 0,85 333
Fagioli cannellini in scatola 21,2 7,26 0,29 114
Fagioli dell'occhio 60,03 23,52 1,26 336
Fagioli dell'occhio in scatola 13,63 4,74 0,55 77
Fagioli di Lima 63,38 21,46 0,69 338
Fagioli di Lima in scatola 14,91 4,93 0,17 79
Fagioli gialli 60,7 22 2,6 345
Fagioli goa 41,71 29,65 16,32 409
Fagioli in scatola 14,5 5,22 0,6 82
Fagioli in umido 21,63 5,54 5,15 155
Fagioli kidney 60,01 23,58 0,83 333
Fagioli kidney rossi 59,8 24,37 0,25 330
Fagioli mung o soia verde 62,62 23,86 1,15 347
Fagioli pinto 62,55 21,42 1,23 347
Fagioli rosa 64,19 20,96 1,13 343
Fagiolo di Lima nano 62,83 20,62 0,93 335
Fagiolo giacinto 60,74 23,9 1,69 344
Fagiolo kidney 64,11 18,81 2,02 343
Faglioli navy 60,75 22,33 1,5 337
Faglioli navy in scatola 20,45 7,53 0,43 113
Farina di carrube 88,88 4,62 0,65 222
Farina di ceci 57,82 22,39 6,69 387
Farina di soia 35,19 34,54 20,65 436
Fave in scatola 12,41 5,47 0,22 71
Fave secche 58,29 26,12 1,53 341
Lenticchie 60,08 25,8 1,06 353
Lenticchie rosa 59,15 24,95 2,17 345
Lupini 40,38 36,17 9,74 371
Piselli 60,37 24,55 1,16 341
Soia 30,16 36,49 19,94 446
Soia tostata 32,72 39,58 21,62 451
Soia tostata e salata 33,55 35,22 25,4 471
Spaghetti di soia 82,32 0,1 0,1 331
Tempè 9,39 18,54 10,8 193
Tofu 1,88 8,08 4,78 76
Wurstel di soia 7,7 19,61 13,73 233

Fonti

  • U.S. Department of Agriculture, Agricultural Research Service. 2011.
    USDA National Nutrient Database for Standard Reference, Release 24 (http://ndb.nal.usda.gov/).
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6 luglio 2016 3 06 /07 /luglio /2016 15:59

numeri-demografici

L’Istat: l’arrivo di immigrati non compensa più la diminuzione delle nascite E molti stranieri che hanno vissuto qua per anni si trasferiscono all’estero

VLADIMIRO POLCHI, - la Repubblica

Siamo sempre meno. Gli italiani hanno perso oltre 130mila concittadini in un anno. Come se una città grande come Salerno sparisse nel nulla. Dopo anni in cui gli stranieri riuscivano a compensare il calo demografico dovuto alle minori nascite di bambini italiani, nel 2015 si assiste infatti a un forte diminuzione della popolazione. Al 31 dicembre 2015 risiedono nel nostro Paese 60.665.551 persone, di cui più di 5 milionistranieri, ma il numero segna il calo più consistente degli ultimi novant’anni: il saldo complessivo, rispetto all’anno precedente, è negativo di 130.061 persone. Il crollo riguarda la popolazione di cittadinanza italiana (141.777 residenti in meno), mentre gli stranieri aumentano appena di 11.716 presenze. A fotografarlo è l’Istat, nel bilancio demografico nazionale del 2015.

Lo scorso anno sono state registrate 485.780 nascite e 647.571 decessi. Pertanto, il saldo naturale cioè la differenza tra nati e morti, è negativo di 161.791: bisogna risalire al biennio 1917-18 per riscontrare valori ancora più elevati. Continua dunque la diminuzione dei nati, in corso già dal 2008, che nel 2015 non raggiunge il mezzo milione. Le nascite sono state 16.816 in meno rispetto all’anno precedente (-3,3%) e più di 90mila in meno negli ultimi sette anni. Il calo si registra ovunque, ma è più accentuato nelle regioni del Centro. Non solo. Anche il contributo positivo alla natalità che arriva dalle donne straniere mostra i primi segnali di un’inversione di tendenza: infatti, se l’aumento delle nascite registrato fino al 2008 era dovuto principalmente alle immigrate, negli ultimi tre anni anche il numero di stranieri nati in Italia (pari a 72.096 nel 2015: il 14,4% del totale) ha iniziato progressivamente a ridursi (- 7.798 nati stranieri dal 2012).

Le cause? La concomitanza tra la crisi economica e la diminuzione delle nascite, che è ravvisabile in quasi tutti i Paesi europei, suggerisce un legame tra i due fenomeni. Lo stesso può dirsi per la diminuzione dei matrimoni, che si registra proprio a partire dal 2008. Per Domenico De Masi, professore di Sociologia del lavoro a Roma, le condizioni di vita degli italiani sono infatti notevolmente peggiorate con la crisi, a partire dal 2007: la possibilità di ricorrere meno al welfare e di curarsi e il cibo di scarsa qualità incidono sul bilancio demografico. «L’Istat certifica che siamo arrivati ai livelli del 1925 — sostiene il sociologo — questa crisi non è stata meno terribile di quella degli anni Trenta, solo che stavolta l’epicentro è stato in Europa». Mentre per il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, «manca la speranza, non bastano i soldi, ci vuole la speranza».

L’Istat sottolinea anche come il numero di decessi registrato nel 2015, pari a 647.571, è superiore di 49.207 persone a quello del 2014 ed è il valore più elevato dal 1945. La colpa? Calo delle vaccinazioni contro l’influenza e una lunga estate calda. E ancora: italiani sempre più vecchi. Il 6,7% della popolazione supera gli 80 anni, mentre si riduce la popolazione con meno di 15 anni e anche quella in età attiva. Al 31 dicembre 2015 l’età media degli italiani è pari a 44,7 anni. Cresce poi l’emigrazione, mentre rallenta quella dall’estero: gli iscritti in anagrafe provenienti da un Paese straniero sono stati 280mila. Gli italiani che rientrano dopo un periodo di emigrazione all’estero sono 30mila. Al contrario, circa 147mila persone hanno lasciato il nostro Paese nel 2015, di cui oltre 100mila di cittadinanza italiana. Complessivamente, sono presenti in Italia poco meno di 200 nazionalità; la collettività più numerosa è quella romena con 1.151.395 residenti. Calano albanesi (-4,6%), marocchini, filippini, moldavi e polacchi. Molti di loro oggi migrano all’estero.

 

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13 novembre 2015 5 13 /11 /novembre /2015 08:35

IL pentito in bicicletta che non teme i boss: resto qui in Sicilia

Sono i mafiosi a dover andare via , io non mi arrendo

 

http://video.repubblica.it/edizione/palermo/il-pentito-in-bicicletta-che-sfida-la-mafia--non-lascio-la-sicilia-se-ne-vadano-i-boss/217730/216926 

   

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23 dicembre 2014 2 23 /12 /dicembre /2014 17:44

Francesco aveva detto: quelli vuoti non diventino luoghi per far soldi. Frati e monache gli hanno dato retta. E i rifugiati trovano solo asilo negli istituti religiosi e nelle parrocchie. Dove si fa vita in comune e si coltiva anche l’orto.

Quando il 10 settembre 2013, in visita al Centro Astalli, Francesco ha detto che i conventi vuoti non devono diventare alberghi per guadagnare soldi perché sono «per la carne di Cristo che sono i rifugiati», suor Emerenziana Bolledi è saltata sulla sedia. Novantenne, ha ricordato quando era novizia alla fine del ‘43. Roma era nelle mani delle forze d'occupazione tedesche che eseguivano rastrellamenti ai danni degli ebrei. Pio XII chiese alle comunità religiose di aprire le porte «ai fratelli perseguitati». Suor Emerenziana, assieme a suor Ferdinanda Corsetti direttrice della scuola di San Giuseppe di Chambéry al Casaletto, rispose affermativamente tanto che, successivamente, venne riconosciuta dallo Yad Vashem (con lei anche suor Ferdinanda) "Giusta tra le Nazioni".

A distanza di anni, ciò che è accaduto non è stato dimenticato. Anzi, ha contribuito a far sì che la comunità non restasse indifferente. L'anziana suora, sentite le parole del Papa, ha incoraggiato la superiora dell'Istituto di via del Casaletto di cui ancora fa parte a «non avere paura» e ad aprire la porte ai perseguitati: un tempo erano gli ebrei oggi sono i rifugiati.

Tanto che da qualche mese tre rifugiati, due dal Gambia e uno dal Niger, stanno vivendo un'accoglienza di secondo livello: una sorta di passaggio intermedio che li porterà entro un tempo stabilito alla completa integrazione nella società italiana. Abitano in un locale accanto al convento dove, oltre a gestire in autonomia la casa messa a loro disposizione, tornati dai rispettivi lavori hanno anche la possibilità di coltivare (per loro e per le suore) un piccolo orto.

Non è che un esempio di un movimento che, in seguito all'invito del Papa, sta coinvolgendo sempre più conventi in tutta Italia. Solo a Roma presso il Centro Astalli — l'associazione dei gesuiti che da oltre trent'anni è impegnata ad accogliere e difendere i diritti di chi arriva nel nostro Paese in fuga da guerre, violenze e torture — si sono rivolti nel 2014 una dozzina di conventi che hanno accolto una ventina di rifugiati.

Non poca cosa, anche se tutti i giorni (Natale e Pasqua compresi) sono circa 400 i rifugiati che consumano un pasto caldo alla mensa del Centro dietro la Chiesa del Gesù. Ma anche in tutta Italia i numeri sono significativi.

Li mostra a Repubblica monsignor Gian Carlo Perego, direttore generale Fondazione Migrantes: «Nell'ultima ondata di arrivi del 2014 — ormai giunti a 170mila — dopo la tragedia di Lampedusa del 2013 e l'appello di Francesco, gli istituti religiosi (insieme a loro anche parrocchie e famiglie) sono arrivati a mettere a disposizione in via straordinaria oltre 15mila posti ».

Certo, l'accoglienza non è dell'ultima ora: «L'impegno della Chiesa italiana a favore dei ritegrazione chiedenti asilo e rifugiati — spiega — si è intensificato negli anni. L'accoglienza dal 2000 a oggi ha visto come protagoniste le 23mila parrocchie, gli istituti religiosi, le cooperative sociali e le associazioni di volontariato d'ispirazione cristiana, attraverso Caritas e Migrantes».

Dice padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli: «Il numero dei rifugiati accolti nei conventi e istituti religiosi è significativo se si pensa che ogni volta che uno di questi istituti apre le porte occorre un lavoro previo prima dell'accoglienza. Ogni istituto ha il suo carisma che l'accoglienza non può stravolgere. Si tratta di trovare il giusto modo tramite il quale aprire le proprie porte». Le suore di via del Casaletto hanno pensato di riaprire la vecchia casa agricola che permette a loro e ai rifugiati di avere un "campo in comune" in cui lavorare e conoscersi. «La mia casa di gesuiti a Sant'Andrea al Quirinale — nota Ripamonti —ha pensato di accogliere al proprio interno, come se fosse uno di noi, un rifugiato col quale facciamo vita in comune. Oppure ci sono i religiosi della parrocchia a Ripa Grande a Trastevere. Qui, negli anni ‘70, si ospitavano studiosi di teologia. Oggi si ospitano rifugiati e bisognosi».

Nel centro di Roma c'è la casa delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Touret. In risposta all'invito di Francesco le 65 suore hanno messo ai voti la possibilità di ristrutturare la foresteria per accogliere rifugiate. La decisione di aprire è passata senza voti contrari. Racconta padre Ripamonti: «Aprirsi richiede coraggio, l'invito del Papa ha toccato il cuore di molti soprattutto nella sua città». Ed è anche grazie a coloro che al posto di chiudere aprono che la vita di tanti rifugiati si realizza

. Un esempio è la storia di Adam, rifugiato sudanese dal Darfur: un giorno dei militari diedero fuco al suo villaggio. Adam venne costretto ad arruolarsi con i ribelli, suo fratello con l'esercito governativo. Quando dopo due mesi Adam si trovò faccia a faccia col fratello come fossero due nemici, lanciò a terra il fucile e scappò. Dopo mesi di peripezie arrivò in Italia dove venne accolto. E dove ha potuto smettere di scappare.

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Presentazione

  • : Blog di mario bolzonello
  • : VI INVITO A SCRIVERE COMMENTI, OPINIONI. CLICCA IN FONDO A DESTRA DEGLI ARTICOLI. Mi sembra utile istituire un collegamento tra vari Blog per favorire la circolazione delle idee, delle riflessioni che aiutino a capire e affrontare la realtà nei suoi molteplici aspetti (questo blogo si limitata a una riflessione sui diritti civili, sulla religione, sulla politica, sull'economia, qualcosa sulla cultura, ma non sono un tutologo). Lo scopo è ampliare la partecipazione delle persone, per una loro migliore convivenza nella vita quotidiana, un ampliamento della conoscenza, del senso civico, della democrazia , e della buona politica. Si vuole essere propositivi e si escludo atteggiamenti di semplice denuncia e rivendicazione. SEGNALATE, PER FAVORE, I BLOG CHE HANNO QUESTE CARATTERISTICHE. GRAZIE. In fondo a destra si troveranno i blog interessanti
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