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11 maggio 2017 4 11 /05 /maggio /2017 08:45

In parrocchia le veglie antiomofobia

Cadono i veti sulla spinta delle parole del Papa. Da Genova a Milano e Palermo decine di adesioni

PAOLO RODARI - La Repubblica

ROMA - Bisogna "accogliere e accompagnare" omosessuali e trans, "questo è quello che farebbe Gesù oggi". La svolta è arrivata dopo queste precise e puntuali parole pronunciate da Papa Francesco meno di un anno fa (era l'ottobre del 2016), di ritorno dal viaggio in Georgia e Azerbaijan. E ha contagiato parte del mondo cattolico. Tanto che da dopodomani fino a fine maggio saranno diverse le parrocchie, italiane e non, che aderiranno (le prime città saranno Milano e Siviglia) alla giornata mondiale per la lotta all'omo-transfobia.

Fra queste anche alcune comunità cattoliche di Genova e Palermo, le due diocesi i cui arcivescovi, nelle precedenti edizioni, vietarono ai fedeli la partecipazione a delle veglie organizzate per l'occasione.

Nel 2011 fu Paolo Romeo, cardinale di Palermo, a fermare la veglia organizzata da don Luigi Consonni, parroco di Santa Lucia, dicendo: "Ci siamo ispirati alla Lettera firmata nell'86 da Joseph Ratzinger". Nel 2015 fu il cardinale Angelo Bagnasco, a Genova, a proibire all'ultimo momento che l'evento si svolgesse nella chiesa della Sacra Famiglia: "Ovunque ma non a Genova", lasciarono in sostanza trapelare dalla curia.

Eppure, come ripete sempre Francesco, "il tempo è superiore allo spazio". E, in questo caso, è stato galantuomo con gli omosessuali credenti che intendono unirsi ai tanti che saranno in piazza perché si dica la parola fine all'omofobia, alla transfobia e a ogni forma di discriminazione. A fare da cornice alla loro partecipazione un versetto della Lettera di san Paolo ai Romani: "Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite".

La novità di quest'anno non risiede soltanto nel fatto che per la prima volta non si hanno notizie di interventi censori di vescovi e cardinali. Ma anche che, cosa non avvenuta in precedenza con queste proporzioni, alle veglie parteciperanno pubblicamente numerose comunità di ordini religiosi e associazioni cattoliche. Così a Genova dove la veglia non solo sarà ospitata da una parrocchia, ma a oggi, a meno di ripensamenti dell'ultima ora sempre possibili, vede la partecipazione del vicario generale della diocesi Nicolò Anselmi. "Mi sembra il segno più evidente di come la Chiesa stia cominciando a interrogarsi seriamente su quanto affermava il Sinodo dei vescovi, circa la necessità di costruire una pastorale di accoglienza per le persone Lgbt e i loro familiari", dice Innocenzo Pontillo, referente del progetto Gionata su fede e omosessualità.

A Milano, invece, la veglia unirà idealmente con una fiaccolata di luci il tempio valdese e la parrocchia di Santa Maria della Passione. Mentre a Palermo l'organizzazione della veglia è stata voluta non solo dalla Chiesa Evangelica Luterana ma anche, fra gli altri, dai comboniani e dai gesuiti della Chiesa del Gesù. E poi, importanti adesioni di parrocchie a Firenze, Reggio Emilia, Catania, Trieste e Bologna e in tante altre città.

Dice don Franco Barbero, animatore delle comunità cristiane di base, a margine della presentazione dell'esplosivo volume di Ortensio da Spinetoli "L'inutile fardello" (Chiarelettere), nel quale l'autore oggi scomparso chiede "un salutare rinnovamento teologico della Chiesa", andando oltre "i pensatori medievali": "A Pinerolo abbiamo organizzato una veglia nella parrocchia di San Lazzaro insieme alla comunità di base, alla Chiesa valdese e alla Scala di Giacobbe: abbiamo deciso di uscire, di lasciare le mura parrocchiali e di vegliare in piazza, pubblicamente, davanti al monumento delle vittime di tutte le persecuzioni.

Queste veglie sono il segno di una Chiesa che vuole cambiare pelle anche se, a onor del vero, esiste ancora una parte che resiste e all'interno della quale è diffusa l'indifferenza. C'è ancora chi non solo non partecipa alle sofferenze degli omosessuali ma un po' le irride e ne prende le distanze. Il motivo per me è semplice: chi prende le distanze lo fa perché ha paura di sé. Se la Chiesa guarda al proprio interno, infatti, scopre di avere degli omosessuali nella scala gerarchica e di questa

evidenza ha paura. In sostanza teme di riconoscere negli altri ciò che è anche in sé. Sono le nostre paure a renderci diffidenti verso gli altri. Mentre l'accoglienza deve essere sempre senza se e senza ma, in caso contrario non è accoglienza".

 

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13 aprile 2017 4 13 /04 /aprile /2017 20:14

Papa Francesco a Repubblica: "Fermate i signori della guerra, la loro violenza distrugge il mondo" e a guadagnarci sono solo loro

Il Pontefice visiterà stasera il carcere di Paliano, in provincia di Frosinone, dove laverà i piedi ai detenuti alla vigilia di Pasqua. Una cerimonia che riassume più di ogni altra il significato del suo pontificato, in uno scenario internazionale ad alta tensione

PAOLO RODARI – La Repubblica

CITTÀ DEL VATICANO - "Penso che oggi il peccato si manifesti con tutta la sua forza di distruzione nelle guerre, nelle diverse forme di violenza e maltrattamento, nell'abbandono dei più fragili. Il mondo deve fermare i signori della guerra. Perché a farne le spese sono sempre gli ultimi, gli inermi". Papa Francesco arriva oggi nella Casa di Reclusione di Paliano (Frosinone) per celebrare la Messa in Coena Domini con il rito della lavanda dei piedi ad alcuni detenuti. La visita ai carcerati è occasione per una riflessione più ampia che Francesco accetta di fare con Repubblica su una missione che la Chiesa non può eludere: "Farsi prossima degli ultimi, degli emarginati, degli scartati". Dice Papa Bergoglio: "Chi non è colpevole scagli la prima pietra. Guardiamoci dentro e cerchiamo di vedere le nostre colpe. Allora, il cuore diventerà più umano".

Ma come sta vivendo Francesco questa vigilia di Pasqua caratterizzata da uno scenario mondiale ad alta tensione?
"Mi viene solo da chiedere con più forza la pace per questo mondo sottomesso ai trafficanti di armi che guadagnano con il sangue degli uomini e delle donne" .

Santo Padre, anche questo giovedì santo si recherà in carcere. Perché?
"Il brano evangelico del giudizio universale dice: 'Sono stato prigioniero e siete venuti a trovarmi'. Ecco, il mandato di Gesù vale per ognuno di noi, ma soprattutto per il vescovo che è il padre di tutti".

Lei ha più volte detto che si sente peccatore come i carcerati. In che senso?
"Alcuni dicono: sono colpevoli. Io rispondo con la parola di Gesù: chi non è colpevole scagli la prima pietra. Guardiamoci dentro e cerchiamo di vedere le nostre colpe. Allora, il cuore diventerà più umano".

È questo che devono fare i pastori, essere al servizio di tutti?
"Come preti e come vescovi dobbiamo sempre essere al servizio. Come dissi nella visita in un carcere che feci il primo giovedì santo dopo l'elezione: è un dovere che mi viene dal cuore".

Chi le ha insegnato questa che ormai è divenuta una tradizione?
"Molto mi ha insegnato l'esempio di Agostino Casaroli, scomparso nel 1998 dopo essere stato Segretario di Stato vaticano e cardinale. Da sacerdote ha svolto per anni apostolato nel carcere minorile di Casal del Marmo. Tutti i sabati sera spariva: 'Si sta riposando', dicevano. Arrivava in autobus, con la sua borsa da lavoro, e rimaneva a confessare i ragazzi e a giocare con loro. Lo chiamavano don Agostino, nessuno sapeva bene chi fosse. Quando Giovanni XXIII lo ricevette dopo la sua prima visita nei Paesi dell'Est, in missione diplomatica in piena Guerra Fredda, al termine dell'incontro gli chiese: 'Mi dica, continua a andare da quei ragazzi?' 'Sì, Santità'. 'Le chiedo un favore, non li abbandoni mai'. Fu quella la consegna lasciata a Casaroli dal Papa Buono, che sarebbe morto qualche mese dopo".

Secondo lei, insomma, la Chiesa deve anzitutto andare incontro agli scartati. È questa l'azione principale che le è chiesta?
"Io credo di sì. Andare, farsi prossima degli ultimi, degli emarginati, degli scartati. Quando sono davanti a un carcerato, ad esempio, mi domando: perché lui e non io? Merito io più di lui che sta là dentro? Perché lui è caduto e io no? È un mistero che mi avvicina a loro".

Nella sua intervista a La Civiltà Cattolica alla domanda su chi fosse Jorge Mario Bergoglio rispose: 'Un peccatore'. È così?
"Mi sento tale, certo. Il motto del mio stemma è una frase di San Beda il Venerabile a proposito di San Matteo: 'Dio ha rivolto i suoi occhi'. 'Miserando atque eligendo', 'Lo guardò con sentimento d'amore e lo scelse'. È di più di un semplice motto. È la mia stella polare. Poiché in essa è contenuto il mistero di un Dio disposto a portare su di sé il male del mondo pur di dimostrare il proprio amore all'essere umano".

Il Vangelo è pieno di episodi in cui Gesù si fa prossimo a coloro che la società scartava.
"'Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata', dice con grande fede l'emorroissa (una donna che aveva perdite di sangue da dodici anni, ndr) che sente dentro di sé che Gesù può salvarla. Secondo i Vangeli era una donna scartata dalla società, alla quale Gesù dona la salute e la libertà dalle discriminazioni sociali e religiose. Questo caso fa riflettere sul fatto che il cuore di Gesù è sempre per loro, per gli esclusi, come fra l'altro la donna era percepita e rappresentata allora".

Anche oggi continua in parte questa discriminazione.
"Tutti siamo messi in guardia, anche le comunità cristiane, da visioni della femminilità inficiate da pregiudizi e sospetti lesivi della sua intangibile dignità. In tal senso sono proprio i Vangeli a ripristinare la verità e a ricondurre a un punto di vista liberatorio. Gesù ha ammirato la fede di questa donna che tutti evitavano e ha trasformato la sua speranza in salvezza".

Quella donna si sentiva esclusa anche a causa del suo peccato.
"Tutti siamo peccatori, ma Gesù ci perdona con la sua misericordia. L'emorroissa era timorosa, non voleva farsi vedere, ma quando Gesù incrocia il suo sguardo non la rimprovera: la accoglie con misericordia e tenerezza e cerca l'incontro personale con lei, dandole dignità. Questo vale per tutti noi quando ci sentiamo scar- tati per i nostri peccati: oggi a tutti noi il Signore dice: "Coraggio, vieni! Noi sei più scartato, non sei più scartata: io ti perdono, io ti abbraccio". Così è la misericordia di Dio. Dobbiamo avere coraggio e andare da lui, chiedere perdono per i nostri peccati e andare avanti. Con coraggio, come ha fatto questa donna".

Spesso chi si sente escluso si vergogna.
"Chi si sente scartato come i lebbrosi o i senzatetto, si vergogna e come l'emorroissa fa le cose di nascosto. Gesù invece ci rialza in piedi, ci dà la dignità. Quella che Gesù dona è una salvezza totale, che reintegra la vita della donna nella sfera dell'amore di Dio e, al tempo stesso, la ristabilisce nella sua dignità. Gesù indica così alla Chiesa il percorso da compiere per andare incontro a ogni persona, perché ognuno possa essere guarito nel corpo e nello spirito e recuperare la dignità di figlio di Dio".

Ancora in questi giorni le armi uccidono. Cosa ne pensa?
"Penso che oggi il peccato si manifesti con tutta la sua forza di distruzione nelle guerre, nelle diverse forme di violenza e maltrattamento, nell'abbandono dei più fragili. A farne le spese sono sempre gli ultimi, gli inermi. Mi viene solo da chiedere con più forza la pace per questo mondo sottomesso ai trafficanti di armi che guadagnano con il sangue degli uomini e delle donne. Come ho detto anche nel recente messaggio per la giornata mondiale della pace, il secolo scorso è stato devastato da due guerre mondiali micidiali, ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare e un gran numero di altri conflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi. Non è facile sapere se il mondo attualmente sia più o meno violento di quanto lo fosse ieri, né se i moderni mezzi di comunicazione e la mobilità che caratterizza la nostra epoca ci rendano più consapevoli della violenza o più assuefatti a essa".

Qual è lo scopo secondo lei di queste continue guerre?
"Me lo chiedo anche io sempre. A che scopo? La violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che ottiene non è forse di scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi "signori della guerra"? L'ho detto più volte e lo ridico: la violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato. Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti".

In carcere porta un messaggio di pace e anche di speranza nonostante tutto?
"A volte, una certa ipocrisia spinge a vedere nei carcerati solo delle persone che hanno sbagliato, per le quali l'unica via è quella del carcere. Ma, ripeto ancora una volta, tutti abbiamo la possibilità di sbagliare. Tutti in una maniera o nell'altra abbiamo sbagliato. E l'ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c'è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società. Ma in questo modo si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto. Quando si rimane chiusi nei propri pregiudizi, o si è schiavi degli idoli di un falso benessere, quando ci si muove dentro schemi ideologici o si assolutizzano leggi di mercato che schiacciano le persone, in realtà non si fa altro che stare tra le strette pareti della cella dell'individualismo e dell'autosufficienza, privati della verità che genera la libertà. E puntare il dito contro qualcuno che ha sbagliato non può diventare un alibi per nascondere le proprie contraddizioni".

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22 dicembre 2016 4 22 /12 /dicembre /2016 21:52

Una voce all'interno del mondo cattolico (ndr,)

ALBERTO MELLONI - La Repubblica 

«La commissione sulle diacone potrebbe segnare anche la rottura di tre assordanti silenzi che soffocano le chiese da decenni». 
Ha iniziato i propri lavori  la commissione istituita da papa Francesco sul diaconato femminile: atto interno alla vita della chiesa ma cruciale per la fisionomia del cattolicesimo romano del secolo XX.
La commissione, per certi versi, ha un compito “facile”: deve suggerire solo quando e come “restaurare” un ministero femminile attestato nel Nuovo Testamento, là dove Paolo saluta la greca Febe, “diacono della chiesa di Cencre”. “Diacono”, non “diaconessa”, come si farà al concilio di Nicea, indicando figure che non avevano ricevuto l’imposizione delle mani.
Nella fluida situazione della prima comunità neotestamentaria c’è dunque un appiglio lessicale e teologico: che non basterà a chi sta cercando di creare la “maggioranza ostile” al papa che è loro mancata in materia matrimoniale.
Tutti, per altro verso, sono consapevoli che una “restaurazione” del diaconato potrebbe ridursi ad una operazione sterile. Il concilio Vaticano II “restaurò” ad esempio il diaconato permanente, come ministero di una chiesa serva e povera che scioglieva il nesso fra celibato e ministero affermatosi solo alla fine del primo millennio. L’esito è stato modesto: il diacono è rimasto l’unico ministro sposato della chiesa latina (fino alla decisione di Benedetto XVI di ammettere preti e vescovi sposati, ma solo se provenienti dalla chiesa anglicana) e s’è ridotto al ruolo di un chierichettone nella liturgia e di capufficio dei volontari fuori da essa.
La “restaurazione” del diaconato femminile (dunque di “diacone” ordinate e/o di “diaconesse” prive dell’imposizione delle mani) potrebbe fare la stessa fine: una onorificenza per suore e per nonne, senza impatto sulla riforma e sulla missionarietà della chiesa.
Eppure la commissione sulle diacone potrebbe segnare anche la rottura di tre assordanti silenzi che soffocano le chiese da decenni.
Il primo è il silenzio sul sacerdozio che tutte le donne e tutti gli uomini battezzati hanno già: quello che la chiesa latina chiama sacerdozio comune (in opposizione al sacerdozio ministeriale che viene dal sacramento dell’ordine). La stantia cultura che rivendicava la promozione dei “laici” — sudditi desiderosi di essere mobilitati e promossi — che si è rigenerata nell’attivismo e nel clericalismo dei movimenti, non è ancora stata scalzata da una teologia sulla dignità di quelli che il codice di diritto canonico chiama Christifideles. Se santa Febe facesse un miracolo, la commissione o un sinodo sul ministero potrebbero essere l’occasione per interrogarsi su questo.
L’altro riguarda il ripensamento teologico di una espressione — in persona Christi — grazie alla quale la cultura della subordinazione femminile del mondo antico ha vinto la concezione cristiana del battesimo in Cristo nel quale non c’è più “né maschio né femmina”. Molte chiese si sono liberate da quel paradigma alla fine del secolo XX ordinando pastore, prete e vescove cristiane in possesso dei doni di Dio necessari alla santità di una comunità: la chiesa cattolica reagì alla accelerazione con una chiusura che voleva essere “definitiva” e dichiarando nel 1994 che il tema era “indisponibile” alla chiesa.
La successione apostolica al maschio-Gesù degli apostoli- maschi vincolava la capacità di agire in persona Christi a un solo genere: come se la mascolinità di Gesù non fosse una componente necessaria alla verità dell’incarnazione, ma un privilegio sessista. Ciò che è normativo di Gesù non è la sua mascolinità dichiarata dalla nudità della croce
(il velo del crocifisso serve a nascondere la circoncisione non il sesso): ma la croce e la morte di croce alla quale ogni cristiano, maschio o femmina, è unito nel battesimo trinitario. Portare le donne nella sfera dell’unico ordine sacro romperebbe una reticenza e ristabilirebbe un equilibrio necessarissimo alla cristologia.
Il terzo silenzio con cui la commissione sul diaconato femminile si misura è quello sul sacerdozio ministeriale maschile ora in essere, prigioniero di un misero duello di retoriche celibatarie e anticelibatarie. Oggi in larghe parti della chiesa si vive una alternativa fra celibato ed eucarestia: perché in assenza di celibi da ordinare, si condannano le comunità a vivere senza eucarestia: una alternativa in cui un naso sano sente odore di zolfo. E che va affrontato senza furbizie e senza superficialità: non dal papa solo, ma dai vescovi che non possono nascondersi dietro un dito.
I non pochi nemici di Francesco, giovani o vegliardi, non sono contrari a che questa discussione si apra: sperano l’arcipelago antibergogliano si palesi, man mano che si avvicinano le due scelte — la nomina dell’arcivescovo di Milano e del vicario di Roma — dalle quali dipenderà non solo il futuro conclave, ma anche l’unità presente d’una chiesa. Che il papa chiama a non essere una federazione pelagiana di attivismi, ma una comunione di quelli che il Vangelo definisce “servi inutili”, e che sono gli unici indispensabili.

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6 dicembre 2016 2 06 /12 /dicembre /2016 20:17

Una riflessione (ndr.)

Quando la psicoanalisi si avvicina all'arte gli esiti sono raramente felici: la tentazione di scavare nelle psicologie degli autori, di rintracciare ferite biografiche, di leggere l'opera come un sintomo è forte. Massimo Recalcati lo sa e nel suo "Il mistero delle cose"(Feltrinelli) dichiara subito che non correrà questo rischio: «In questo libro l'uso della psicanalisi per leggere l'opera ha rifiutato metodicamente ogni sua applicazione patografica». L'arte non è un paziente, e non va messa sul lettino. Bene. Allora perché parlarne inforcando gli occhiali di Lacan?

Perché si muove sullo stesso terreno della psicoanalisi: l'una e l'altra parlano della stessa cosa, sono impegnate nella stessa lotta di Giacobbe con l'angelo sconosciuto. È la battaglia per dare forma a ciò che è «irraffigurabile, all'alterità assoluta che sfugge sempre alla rappresentazione». La missione è avvicinarsi il più possibile al mistero dell'essere, portare l'uomo sulla soglia dell'indicibile.

Ungaretti cercava di «popolare di nomi il silenzio». È questo che deve fare l'arte secondo Recalcati. Per il suo libro ha scelto nove artisti (Giorgio Morandi, Alberto Burri, Emilio Vedova, William Congdon, Giorgio Celiberti, Jannis Kounellis, Claudio Parmiggiani, Alessandro Papetti e Giovanni Frangi), alcuni del secolo scorso altri nostri contemporanei, tutti italiani di nascita o di adozione. Sono autori molto diversi tra loro (e non solo per fama e mercato). È difficile immaginare — per esempio — due artisti più lontani di Vedova e Parmiggiani: il primo un espressionista radicale ed estremo, l'altro un silenzioso poeta dell'assenza. Eppure, leggendo i densi saggi che Recalcati dedica a ognuno di loro si scopre il sottile filo rosso che lega l'uno all'altro: tutti sacerdoti solitari di un movimento che insegue il sogno di rendere visibile l'invisibile, come diceva Paul Klee, di toccare il mistero delle cose, (la definizione che dà il titolo al libro è di Kounellis).

Prendiamo Morandi: nessuno certo si sogna di leggere la sua opera solo come quella di un semplice artista figurativo, ostinato oppositore delle correnti astrattiste del suo tempo. Le sue nature morte racchiudono una visione profonda. Compito del pittore — scriveva lui stesso — «è far cadere quei diaframmi, quelle immagini convenzionali che si frappongono tra lui e le cose». Dunque non si tratta solo di dipingere vasi e barattoli con i magnifici colori tonali della sua tavolozza. Si tratta di molto di più: di rompere gli schemi visivi e mentali con cui siamo abituati a classificarli, registrarli e anestetizzarli nella nostra coscienza. Si tratta di rivelare la stupefacente intensità della loro presenza. È un lavoro lento, paziente, ripetitivo — quasi una preghiera laica quotidiana — il cui scopo è cogliere l'eternità degli oggetti immersi nel tempo. La bottiglia, dunque, è molto di più di una bottiglia, è «l'icona di un assoluto altrimenti irraggiungibile, evoca la presenza della Cosa, del reale in quanto impossibile da rappresentare».

Morandi insegue questo obiettivo puntando a una progressiva smaterializzazione dei suoi oggetti: li sfinisce e li consuma a forza di osservarli e dipingerli. Negli ultimi acquerelli gli oggetti sono talmente rarefatti da diventare puri segni, ciò che resta di loro levita in uno spazio luminoso, anzi diventano quello stesso spazio luminoso. È la trasfigurazione finale: «È questo, se si vuole, il cristianesimo di fondo della sua opera. Dio ha il volto dell'uomo».

Percorsi paralleli compiono gli altri otto artisti: dalle ferite di Burri che aprono una squarcio sull'inconscio dell'opera all'energia di Vedova che invece produce inconscio; dall'americano Congdon folgorato in Italia dal crocifis- so a Celiberti ossessionato dai muri dopo un viaggio negli orrori del campo nazista di Terezìn; dalle visioni di Papetti che emergono dalla fanghiglia al viaggio al termine della notte e del nero di Giovanni Frangi; dalle ombre di fumo che dipingono il tempo di Parmiggiani a Kounellis, che evoca il sacro mettendo in scena semplici e comuni oggetti.

Ecco, il sacro: tabù dell'Occidente, grande rimosso del nostro tempo. Forse è questo il tema vero del libro di Recalcati. «L'arte comporta una vocazione sacra, se per sacro si intende l'accesso alla relazione con ciò che sfugge a ogni principio di relazione». Sacro, quindi, come mistero irriducibile dell'essere, non come territorio di questa o quella religione: anzi se c'è una cosa da cui gli artisti devono fuggire è la scorciatoia del contenuto, la tentazione di mettere in scena narrazioni descrittive. L'opera non racconta, è. Incarna quella che Lacan chiamava estimità: una definizione che nasce da un ossimoro apparente, la congiunzione di un sentimento di intimità e di estraneità. «La sua estimità sta nell'essere una parte del mondo e insieme un'apparizione che esorbita la scena consolidata del mondo». La bellezza, diceva Rilke, non è che il tremendo al suo inizio.

Certo sono parole inattuali. Il mainstream è un altro: tra gli smalti brillanti del post-pop e i manifesti di un'estetica dedicata all'impegno politico, tra le ultime e stanche provocazioni e i bombardamenti sensoriali di mezzi digitali sempre più potenti, le vie imboccate dall'arte dei nostri giorni sono diversissime. Ma non bisogna lasciarsi spaventare dalle mode contemporanee: Agamben ci ha ricordato che è davvero contemporaneo solo chi non coincide perfettamente col suo tempo, e proprio per questo è capace di percepirlo. In fondo l'arte è nata dal rapporto con il sacro. E proprio quando ci ricorda che è ancora questo, oggi, il suo compito, Recalcati non coincide con il suo tempo. Ciò che rende tanto più necessario il suo libro.

 

IL LIBRO L'INCONTRO L'EVENTO TV Il mistero delle cose di Massimo Recalcati ( Feltrinelli pagg. 272, euro 29). L'autore domani è a BookCity ( ore 16, museo Scienza e tecnologia di Milano) Il legame tra arte e psiche sarà indagato da Recalcati da giovedì 24 ( ore 20,45) per sei settimane su Sky Arte HD nel programma L'inconscio dell'opera Si comincia con Vincent Van Gogh

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31 ottobre 2016 1 31 /10 /ottobre /2016 22:04

 

Vito Mancuso - La Repubblica 

Intimo o pubblico: il rapporto con il divino nei saggi di Heiler e di Florenskij tradotti in Italia 

«“Pregava?”. “Sì, pregava sant’Antonio perché fa ritrovare gli oggetti smarriti”. “Per questo solo?”. “Anche per i suoi morti e per me”. “È sufficiente” disse il prete».

Così Montale ricorda in “Satura” la moglie scomparsa, ma ciò che per il poeta è minimalismo della preghiera, in realtà ne è la causa prima: il bisogno e gli affetti. Lo mostra alla perfezione il libro di Friedrich Heiler, lo studio più ampio finora condotto a livello mondiale sulla preghiera, pubblicato a Monaco di Baviera nel 1918 ma ancora insuperato quanto a documentazione e vigore speculativo, e oggi finalmente disponibile per il lettore italiano: La preghiera. Studio di storia e psicologia delle religioni, a cura di Martino Doni, Morcelliana, 912 fittissime pagine. Assai curioso che negli stessi giorni arrivi in libreria un altro grande testo del 1918 sul medesimo tema: La filosofia del culto di Pavel Florenskij, a cura di Natalino Valentini, San Paolo, 600 pagine, prima traduzione mondiale fuori dalla Russia. Matematico, filosofo, teologo, storico dell’arte, sacerdote, denominato “il Leonardo da Vinci russo” per la poliedrica genialità, Florenskij risulterà assai scomodo all’ateismo comunista che equiparava religione a ignoranza e per questo sarà deportato nel gulag delle isole Solovki ed eliminato l’8 dicembre 1937 in uno di quei crimini di massa detti “purghe staliniane” …

Sulla preghiera Heiler e Florenskij presentano idee molto diverse. Con un approccio fenomenologico lo studioso tedesco ne illustra l’universalità tramite una valanga di documentazione a partire dalle preghiere dei primitivi, di cui mostra l’origine per lo più da situazioni di malattia, fame, pericolo, e da sentimenti quali paura, angoscia, ansia. Come mostrano anche l’etimologia (preghiera viene dal verbo latino precor, infinito precari, da cui precarietà) e il linguaggio quotidiano (“ti prego!”), all’inizio c’è sempre un bisogno. Il bisogno esaudito genera il ringraziamento e la lode, quello non-esaudito il lamento e la supplica, fino a vere e proprie tecniche di persuasione, tra cui Heiler menziona gli insulti che talora venivano rivolti a san Gennaro, da lui accostati a fenomeni analoghi presso i tedeschi. E conclude: «In nessun altro luogo risulta altrettanto forte ed evidente l’irrazionalità della religione, anzi della vita in generale».

Il punto infatti è proprio questo: l’irrazionalità della preghiera segue l’irrazionalità della vita. Heiler descrive anche la preghiera col corpo: a mani giunte, a mani alzate, inchinandosi, prosternandosi, in ginocchio, in posizione accucciata, scoprendosi o coprendosi il capo a seconda delle religioni e del sesso, con o senza scarpe. E illustra come si preghi verso l’alto dei cieli, ma anche al cospetto della natura: della cima di una montagna, di una sorgente, di un albero imponente, del vento e del fuoco, della pioggia e del fulmine, della potenza del sole e della dolcezza della luna: ovunque gli esseri umani hanno avvertito e riverito il mistero. A proposito delle civiltà classiche Heiler scrive: «Pressoché a ogni azione, dalla culla alla tomba, i greci facevano corrispondere una specifica divinità»; e quanto ai romani: «Ogni singola opera del lavoro agricolo è sotto il patronato di una specifica divinità». Presenta alcune delle preghiere più belle (tra cui l’Inno al sole del faraone Akhenaton, l’Inno assiro a Shamash, l’inno omerico a Gaia, due splendidi inni inca, i salmi di Israele) e analizza la preghiera dei grandi geni religiosi come Buddha, Geremia, Amos, Gesù, Paolo, Agostino, Maometto, Francesco d’Assisi, Caterina da Siena, Lutero, Teresa d’Avila. Non tralascia la preghiera di artisti, tra cui Goethe e Beethoven, e di filosofi come Pascal, Voltaire, Rousseau. E riporta questa frase di Kierkegaard: «Il senso religioso è qualcosa di così segreto, che se uno ci scorgesse mentre preghiamo, potremmo arrossire come una ragazzina». Secondo Heiler infatti la preghiera, che avvenga nel chiuso della propria camera come auspicava Gesù o nella natura come preferiva Rousseau, con un’intonazione mistica oppure profetica, nasce dalla solitudine e conduce alla solitudine.

È di parere opposto Florenskij. La sua filosofia del culto sostiene che la forma più alta di preghiera non è quella intima e solitaria dei mistici, ma è la preghiera istituzionale della comunità, la liturgia fatta di formule e gesti prefissati, incensazioni, accensione di lampade e candele, canti, adorazione della croce, baci delle icone. È nella liturgia che si percepisce al meglio «la presenza di realtà misteriose accanto a noi e davanti a noi, di esseri, eventi e forze misteriose; il che non può che essere terribile, ma è bene che lo sia». Per Florenskij il culto non produce un distacco dalla vita reale, ma al contrario ne è il più autentico approfondimento: «La cultura, come risulta chiaro dall’etimologia, è un derivato dal culto, ossia un ordinamento del mondo secondo le categorie del culto». Per questo secondo Florenskij le civiltà dotate di un culto hanno anche una cultura condivisa e risultano coese, mentre l’occidente secolarizzato si avvia verso l’assenza di una cultura condivisa. Florenskij scrive talora in modo aspro e radicale, ma reagiva così alla distruzione che si compiva sotto i suoi occhi: «Vorrei dare a queste riflessioni il peso delle pietre, vorrei che tutte le parole pesassero, 10, 100, 1000 volte di più».

Il culto pubblico, che per Heiler è decadenza della preghiera, per Florenskij è il vertice. Scrive Heiler: «In origine la preghiera è un contatto intimo e personale con Dio, ma gradatamente diviene una forma di culto rigida e impersonale». Scrive invece Florenskij: «Il culto è il punto fermo dell’universo per il quale e sul quale l’universo esiste». Per Heiler l’uomo si compie nel mistero nella solitudine, per Florenskij è invece il culto liturgico comunitario «l’attività per eccellenza dell’uomo, dato che l’uomo è homo liturgicus». Per Heiler la preghiera nasce dal basso dei bisogni umani, per Florenskij dall’alto della rivelazione divina e della tradizione ecclesiale. Heiler da cattolico divenne protestante, per Florenskij invece «il protestantesimo è nella sua essenza la negazione della centralità del culto e la sostituzione del centro della religione con il pensiero».

Le due prospettive convergono sull’essenziale: sul fatto cioè che chi prega ottiene quiete, fiducia, speranza. La gran parte degli esseri umani prega (se prega) come la moglie di Montale, per esaudire i propri bisogni. La preghiera però insegna che l’uomo è qualcosa di più: sete di giustizia e libertà nella profezia, e parentela del proprio intimo sé con l’infinito nella mistica. Certo, è improbabile che questa esperienza faccia ritrovare gli oggetti smarriti, ma forse un’eccezione c’è: il proprio posto nel mondo. Per questo chi la vive ottiene la pace del cuore. Beve, come ricorda Florenskij, “l’acqua di guarigione e di pace”

 

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8 ottobre 2016 6 08 /10 /ottobre /2016 18:20

 

Il Papa e il segretario di stato, non vi sembra si siano comportati come il papà che si arrabbia o si dice dispiaciuto perché i figli si comportano e  impostano la vita in modo differente dai genitori ? Da notare che le suore sono femmine.(ndr.)

Sui figli...da "il Profeta" di Kahlil Gibran

E una donna che reggeva un bambino al seno disse:
Parlaci dei figli:
Ed egli disse:
I vostri figli non sono i vostri figli.
Sono i figli e le figlie dell’ardore che la Vita ha per sé stessa.
Essi non vengono da voi, ma attraverso di voi,
e non vi appartengono benché viviate insieme.
Potete dar loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri,
poiché essi hanno i propri pensieri.
Potete custodire i loro corpi, ma non le loro anime,
poiché abitano case future, che neppure in sogno potreste visitare.
Potete sforzarvi di essere simili a loro,
ma non cercate di rendere essi simili a voi,
poiché la vita procede e non si attarda su ieri.
Voi siete gli archi da cui i vostri figli come frecce vive,
sono scoccati lontano.
L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero infinito
e con la forza vi tende,
affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.
Fate che sia gioioso e lieto questo vostro essere piegati dalla mano dell’Arciere,
poiché, come ama il volo della freccia,
così Egli ama anche l’arco che è saldo.

Il vice segretario di Stato Becciu su Twitter “Quando ha letto la storia si è rabbuiato”

PAOLO RODARI - La Repubblica

CITTÀ DEL VATICANO.

«Quanta tristezza sul volto del Papa quando gli ho letto la notizia delle due “suore” spose!». Così scrive su Twitter monsignor Angelo Becciu, sostituto della segreteria di Stato vaticana, riferendosi all’intervista che

Repubblica

ha fatto ieri a suor Federica e a suor Isabel, le due religiose che hanno lasciato le loro comunità e si sono unite civilmente nei giorni scorsi a Pinerolo.

Becciu è sceso a Santa Marta, dove abita Bergoglio, nella mattinata di ieri. Ha mostrato al Papa una copia  con l’intervista. Francesco non ha commentato, seppure abbia avuto una reazione amara. Perché? Non tanto per la scelta delle due religiose, raccontano in Vaticano. Quanto per il racconto che le stesse hanno fatto della vita di religiosi e religiose che per non dare scandalo, e continuare a condurre un’esistenza «comoda e falsa », vivrebbero clandestinamente la propria omosessualità. Un conto, spiegano Oltretevere, è lasciare l’abito, un altro è accusare, per altro senza fare nomi, l’ipotetica ipocrisia di altri.

Becciu non è solito intervenire su Twitter. Se l’ha fatto evidentemente l’amarezza del Papa era cosa non da poco. Bergoglio aveva seguito già una settimana fa la vicenda delle due suore. Anche allora aveva preferito non dire nulla. E nemmeno ha reagito, ieri, alla richiesta di comprensione che nell’intervista le due religiose hanno inviato proprio a lui. «Il Papa ha detto: “Chi sono io per giudicare?”. Ecco: nessuno dovrebbe permettersi di giudicare. Quella frase ci ha aperto il cuore », hanno sottolineato suor Federica e suor Isabel. Il Papa ha avuto semplicemente una smorfia di amarezza. Beninteso, lui è per accogliere a braccia aperte ogni persona, omosessuali compresi. Ma quando ex religiosi, come fu il caso di Krzysztof Charamsa, teologo dell’ex Sant’Uffizio che un anno fa lasciò il Vaticano dichiarandosi gay, accusano di omofobia la Chiesa alla quale hanno appartenuto per anni, le cose cambiano.

Entrambe le religiose hanno 44 anni. Federica è originaria del Sud Italia mentre Isabel è sudamericana. Si sono dette “sì” lo scorso 28 settembre, nel Municipio di Pinerolo, nel Torinese. A celebrare l’unione civile è stato il sindaco Luca Salvai, del Movimento 5 Stelle. «Il nostro amore — hanno confidato al giornale — è un dono di Dio: nessuno può impedirlo ». Non è stato facile: «Ci siamo sentite sole, di più, abbandonate. Ma qualche consorella ci ha incoraggiato: “Se avessi la vostra età lo farei anch’io”». E hanno raccontato anche dove e come si conobbero e il momento in cui scoccò la scintilla: «Da suore missionarie, durante un viaggio in Guinea Bissau. Insieme ci siamo trovate a lavorare al fianco dei più poveri, come è sempre avvenuto da quando, ventenni, abbiamo preso il velo. Lì abbiamo capito che al mosaico della nostra vocazione si aggiungeva una nuova tessera»

 

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4 ottobre 2016 2 04 /10 /ottobre /2016 18:02
Il Papa in Georgia: "Teoria del gender è una guerra mondiale contro matrimonio"

Viaggio di tre giorni nel Caucaso per Bergoglio. A Tbilisi ha parlato davanti a sacerdoti e seminaristi. In pochi alla messa nello stadio, disertata dagli ortodossi

MARCO ANSALDO – La Repubblica

La distinzione tra peccato e peccatore è cominciata con Papa Giovanni  XXIII. Dice il cardinal Martini che la chiesa è indietro di 200 anni. Chi parla di guerra mondiale e di nemico vuol dire che non ha capito la realtà, lavita e ribalta fuori di sé la propria incapacità addossando la colpa a qualcuno o qualcosa(ndr.)

Papa Francesco (ansa)TBILISI - C'è un'altra "guerra mondiale" che il Papa denuncia, oltre a quella condotta "a pezzi, a capitoli", già in atto nel mondo: è quella per distruggere il matrimonio. Francesco lo ha detto a Tbilisi, in Georgia, parlando a braccio per più di un'ora davanti a sacerdoti e seminaristi nella chiesa dell'Assunta, nel viaggio di tre giorni nel Caucaso che terminerà domenica con la tappa in Azerbaigian.

Jorge Bergoglio si è scagliato contro la cosiddetta teoria del 'gender'. E' lui "il grande nemico", ha detto senza mezzi termini. E spiega: "Il matrimonio è la cosa più bella che Dio ha creato. La Bibbia ci dice che Dio ha creato l'uomo e la donna a sua immagine, cioè l'uomo e la donna che si fanno una sola carne sono l'immagine di Dio". E rispondendo alla domanda di una ragazza, Irina, ha aggiunto: "Ho capito quando spiegavi le difficoltà che vengono: l'incomprensione, le tentazioni. 'Mah, risolviamo la cosa con il divorzio e così ricominciamo di nuovo?'".

Francesco si è fermato un momento, e ha poi alzato un dito: "Chi paga le spese del divorzio? Due persone. Ma paga Dio, perché quando si divorzia una sola immagine si sporca, paga Dio. E pagano i figli. Voi noi sapete quanto soffrono i bambini quando vedono le liti e la separazione dei genitori". E ha concluso: "Si deve fare di tutto per salvare il matrimonio".

La seconda e ultima giornata del Pontefice a in Georgia era cominciata presto a Tbilisi con la messa celebrata nello stadio. Capienza: 27mila posti. Ma solo poche migliaia di cattolici presenti dentro la struttura, in tutto il Paese appena il 2,5 per cento della popolazione. E un po' a sorpresa la celebrazione è stata anche disertata dagli ortodossi, nonostante l'abbraccio di venerdì fra il Papa e il Patriarca Ilia II. "Accettiamo la loro decisione", ha osservato in proposito il portavoce della Santa Sede, Greg Burke, che ha debuttato nel suo nuovo incarico di direttore della Sala stampa vaticana in questo viaggio al posto di padre Federico Lombardi, commentando il comunicato del Patriarcato georgiano che non aveva autorizzato la presenza di fedeli ortodossi alla messa.

Ha poi osservato su Twitter il direttore della rivista gesuita "La Civiltà Cattolica", padre Antonio Spadaro, anch'egli presente al viaggio: "Quando venne Giovanni Paolo II nei media fu detto che era 'peccato mortale' partecipare a quella messa. Questa volta non si è visto nulla del genere". "Ci devono essere state difficoltà interne per l'incontro - ha spiegato ancora Spadaro - per cui per evitare problemi non ci sono state vere delegazioni 'ufficiali'. Però erano presenti fedeli ortodossi e anche il coro era composto in parte da ortodossi. Novità assoluta per incontri del genere".

Così durante l'incontro con il clero il Papa ha detto: "C'è un grosso peccato contro l'ecumenismo: il proselitismo. Mai si deve fare proselitismo con gli ortodossi. Sono fratelli e sorelle nostri, discepoli di Gesù Cristo, e per le situazioni storiche tanto complesse siamo diventati così. Sono loro, siamo noi, crediamo nel Padre, del Figlio, nello Spirito Santo. Crediamo nella Santa Madre di Dio. E cosa devo fare? Non condannare mai condannare un fratello e una sorella, mai smettere di salutarli perché ortodossi?".

Francesco si è infine mostrato cautamente possibilista circa una sua visita in Iraq. E al Patriarca caldeo di Bagdad, Louis Raphael I Sako, il quale l'altro giorno auspicava che in futuro il Papa possa compiere una visita in Iraq, "perché abbiamo bisogno della vostra presenza, del vostro sostegno e incoraggiamento", Bergoglio ha risposto: "Inshallah", cioè "se Dio vuole". La stessa espressione usata dai musulmani: "Se Allah vuole". Mai un Papa lo aveva detto prima.


 

Papa Francesco (ansa)TBILISI - C'è un'altra "guerra mondiale" che il Papa denuncia, oltre a quella condotta "a pezzi, a capitoli", già in atto nel mondo: è quella per distruggere il matrimonio. Francesco lo ha detto a Tbilisi, in Georgia, parlando a braccio per più di un'ora davanti a sacerdoti e seminaristi nella chiesa dell'Assunta, nel viaggio di tre giorni nel Caucaso che terminerà domenica con la tappa in Azerbaigian.

Jorge Bergoglio si è scagliato contro la cosiddetta teoria del 'gender'. E' lui "il grande nemico", ha detto senza mezzi termini. E spiega: "Il matrimonio è la cosa più bella che Dio ha creato. La Bibbia ci dice che Dio ha creato l'uomo e la donna a sua immagine, cioè l'uomo e la donna che si fanno una sola carne sono l'immagine di Dio". E rispondendo alla domanda di una ragazza, Irina, ha aggiunto: "Ho capito quando spiegavi le difficoltà che vengono: l'incomprensione, le tentazioni. 'Mah, risolviamo la cosa con il divorzio e così ricominciamo di nuovo?'".

Francesco si è fermato un momento, e ha poi alzato un dito: "Chi paga le spese del divorzio? Due persone. Ma paga Dio, perché quando si divorzia una sola immagine si sporca, paga Dio. E pagano i figli. Voi noi sapete quanto soffrono i bambini quando vedono le liti e la separazione dei genitori". E ha concluso: "Si deve fare di tutto per salvare il matrimonio".

La seconda e ultima giornata del Pontefice a in Georgia era cominciata presto a Tbilisi con la messa celebrata nello stadio. Capienza: 27mila posti. Ma solo poche migliaia di cattolici presenti dentro la struttura, in tutto il Paese appena il 2,5 per cento della popolazione. E un po' a sorpresa la celebrazione è stata anche disertata dagli ortodossi, nonostante l'abbraccio di venerdì fra il Papa e il Patriarca Ilia II. "Accettiamo la loro decisione", ha osservato in proposito il portavoce della Santa Sede, Greg Burke, che ha debuttato nel suo nuovo incarico di direttore della Sala stampa vaticana in questo viaggio al posto di padre Federico Lombardi, commentando il comunicato del Patriarcato georgiano che non aveva autorizzato la presenza di fedeli ortodossi alla messa.

Ha poi osservato su Twitter il direttore della rivista gesuita "La Civiltà Cattolica", padre Antonio Spadaro, anch'egli presente al viaggio: "Quando venne Giovanni Paolo II nei media fu detto che era 'peccato mortale' partecipare a quella messa. Questa volta non si è visto nulla del genere". "Ci devono essere state difficoltà interne per l'incontro - ha spiegato ancora Spadaro - per cui per evitare problemi non ci sono state vere delegazioni 'ufficiali'. Però erano presenti fedeli ortodossi e anche il coro era composto in parte da ortodossi. Novità assoluta per incontri del genere".

Così durante l'incontro con il clero il Papa ha detto: "C'è un grosso peccato contro l'ecumenismo: il proselitismo. Mai si deve fare proselitismo con gli ortodossi. Sono fratelli e sorelle nostri, discepoli di Gesù Cristo, e per le situazioni storiche tanto complesse siamo diventati così. Sono loro, siamo noi, crediamo nel Padre, del Figlio, nello Spirito Santo. Crediamo nella Santa Madre di Dio. E cosa devo fare? Non condannare mai condannare un fratello e una sorella, mai smettere di salutarli perché ortodossi?".

Francesco si è infine mostrato cautamente possibilista circa una sua visita in Iraq. E al Patriarca caldeo di Bagdad, Louis Raphael I Sako, il quale l'altro giorno auspicava che in futuro il Papa possa compiere una visita in Iraq, "perché abbiamo bisogno della vostra presenza, del vostro sostegno e incoraggiamento", Bergoglio ha risposto: "Inshallah", cioè "se Dio vuole". La stessa espressione usata dai musulmani: "Se Allah vuole". Mai un Papa lo aveva detto prima.

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4 ottobre 2016 2 04 /10 /ottobre /2016 17:42

La lunga marcia dei gay credenti. “Con Bergoglio fuori dalle catacombe”

BY GIONATA · 30 SETTEMBRE 2016

Articolo di Paolo Rodari pubblicato su La Repubblica del 30 settembre 2016, p.21

Hanno vissuto per anni nelle catacombe, in una Chiesa che, come spiega il gesuita tedesco Klaus Merten, direttore del collegio di St. Blasien, all’interno di un articolo appena pubblicato sulla rivista accademica theologie.geschichte, non riesce «a decidersi a rivendicare diritti umani fondamentali per le persone omosessuali». E ancora: «Che essa, piuttosto, tolleri che persino alti rappresentanti del clero invochino comprensione per tradizioni culturali in cui le persone omosessuali vengono minacciate di morte, è in contraddizione con il Vangelo».

Loro sono i cristiani Lgbt, lesbiche, gay, bisex e trans, persone credenti che cercano soltanto una cosa: accoglienza e comprensione, «trovare un posto dove sentirsi accettati e accolti» anche per «risolvere le difficoltà legate alla fede e al suo rapporto con la sessualità».
In Italia sono 28 i gruppi di persone Lgbt che si ritrovano per camminare assieme, alcuni ancora in stato di semi clandestinità, altri tollerati dal vescovo, pochi altri pienamente riconosciuti dalla diocesi di appartenenza. Eppure, dicono, con Francesco al soglio di Pietro «qualcosa per noi è cambiato».

Tutto iniziò nell’estate del 2013. Nel viaggio di ritorno da Rio de Janeiro, Bergoglio usò parole chiare in merito all’omosessualità. Disse che se un problema esiste, questo è dato dalle lobby gay, non dall’omosessualità in quanto tale: «Se qualcuno è omosessuale e cerca Dio con buona volontà, chi sono io per giudicarlo? », aggiunse. Da quel momento la parte di Chiesa «omofoba», come la definisce Merten, è rimasta tale, ma l’ostilità nei confronti delle persone Lgbt non si è più manifestata. E l’ultimo rapporto, appena pubblicato, sui cristiani Lgbt in Italia e curato da Giuliana Arnone è lì a dimostrarlo.
Secondo il rapporto, seppure molti ritengano che sul piano istituzionale e teologico non ci sia stata un’apertura, sul piano fattuale e pastorale la realtà è mutata: parrocchie, conventi maschili e femminili hanno accolto negli ultimi tre anni ben il 42% dei gruppi Lgbt a parlare della propria storia. E così hanno fatto anche diverse sezioni di scout che hanno raccolto le testimonianze del 29% dei gruppi; stessa percentuale riguarda i gruppi invitati presso le Chiese evangeliche.

Certo, molto deve ancora avvenire. Ne è consapevole anche don Gian Luca Carrega, incaricato della diocesi di Torino per l’accompagnamento delle persone omosessuali credenti. È stato lui a scrivere una prefazione illuminante a un libro coraggioso di Adrien Bail pubblicato dalla Effatà Editrice: “Omosessuali e transgender alla ricerca di Dio”. «A parte rare eccezioni — dice — la pastorale ordinaria sembra paurosamente indifferente alla questione. In tutta la penisola sono appena tre le diocesi, con Torino anche Cremona e Parma, che hanno nominato ufficialmente un referente per accompagnare le persone credenti omosessuali nel loro cammino di ricerca spirituale ». Un dato, spiega ancora, «alquanto preoccupante. Il posto di un cristiano è nella Chiesa, non in un ghetto preparato apposta per lui. L’amore incondizionato che Gesù mostra nei vangeli per ogni uomo e donna che si accosta a lui è il modello da riprendere nella nostra pastorale».

Le chiusure in parte restano. Eppure, spiega Innocenzo Pontillo, uno dei responsabili del Progetto Gionata, la rete italiana on line su fede e omosessualità, «i segnali di cambiamento, seppur piccoli ci sono. Non è un caso che alla tre giorni del Forum di Albano (15-17 aprile) dove erano riuniti tutti i gruppi di cristiani lgbt italiani, i loro genitori e gli operatori pastorali che li accompagnano, il vescovo di Albano, Semeraro (segretario nel collegio dei cardinali che aiuta il Papa nella riforma della Chiesa) ha voluto incontrare i partecipanti, e Avvenire ha dedicato all’evento un ampio spazio con un articolo inaspettatamente positivo. Nei giorni seguenti, anche Tv2000 per la prima volta ha deciso di affrontare il tema dell’omosessualità in una trasmissione in cui hanno parlato due degli operatori pastorali presenti al Forum».

Le altre comunità cristiane agiscono diversamente. In Francia, ad esempio, la Chiesa protestante unita ha concesso dal 2015 alle coppie sposate dello stesso sesso la possibilità d essere benedette da un ministro di culto. In Italia e altrove, invece, la Chiesa cattolica propone una benedizione separata per i due membri della coppia e soltanto alcuni singoli sacerdoti si prendono la libertà di benedire le due persone insieme.
È sempre in Francia che è attiva la “Comunità Betania” nata con lo scopo di accogliere le persone omosessuali che si sentono escluse dalla Chiesa. Al suo interno vi lavora suor Bernadette che dice: «Un giorno mi hanno spiegato che a un nostro amico piacevano gli uomini. Ho capito subito che dovevo accettarlo per quello che era».

 

I NUMERI DEI CRISTIANI LGBT ITALIANI

Il RAPPORTO: Sono ventotto in Italia i gruppi di cristiani Lgbt;

DIOCESI: Sono 3 le diocesi che hanno nominato un referente per le persone credenti omosessuali: Torino, Cremona, Parma.

531 FEDELI: Le persone che hanno fatto parte, in maniera costante, dei gruppi di cristiani lgbt nel 1015: 80% uomini, 18% donne, 2% trans.

LE FRASI DI PAPA FRANCESCO

NON GIUDICARE: Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? (29 luglio 2013, Papa Francesco di ritorno dalla Gmg in Brasile);

LO SGUARDO DI DIO: Quando Dio guarda a una persona gay la approva con affetto o la respinge condannandola? (Settembre 2013, intervista a Civiltà Cattolica di Papa Francesco)

CHIEDERE SCUSA: Io credo che la Chiesa debba chiedere scusa ai gay che ha offeso (26 Giugno 2016, papa Francesco di ritorno dal viaggio in Armenia)

L’ABBRACCIO CON L’AMICO

Durante una pausa del viaggio negli Stati Uniti, il 23 settembre 2015, Papa Francesco incontrò all’ambasciata vaticana di Washington una coppia gay: un suo amico argentino di vecchia data, Yayo Grassi e il suo compagno indonesiano Iwan Bagus

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15 aprile 2015 3 15 /04 /aprile /2015 16:47

Settant'anni fa  fu ucciso daia nazisti il grande studioso protestante. Fece dell'amore per la vita il centro della sua fede.

 Così fu ucciso Bonhoeffer teologo devoto a Dio e al mondo ESATTAMENTE 70 anni fa, all'alba del 9 aprile 1945, completamente nudo, veniva giustiziato nel lager nazista di Flossenbürg il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer che scontava così la sua partecipazione alla Resistenza.

Nel 1955 il medico del lager H. Fischer-Hüllstrung rilasciò una testimonianza, da allora ripetutamente citata, secondo cui il condannato prima di svestirsi si era raccolto in preghiera: «La preghiera così devota e fiduciosa di quell'uomo straordinariamente simpatico mi ha scosso profondamente; anche al luogo del supplizio egli fece una breve preghiera, quindi salì coraggioso e rassegnato la scala del patibolo, la morte giunse dopo pochi secondi».

Il medico concludeva: «Nella mia attività medica di quasi cinquant'anni non ho mai visto un uomo morire con tanta fiducia in Dio». Oggi sappiamo che queste belle parole edificanti sono una menzogna. Con esse il medico intendeva in realtà coprire la propria responsabilità, visto che il suo compito, come testimoniato da un sopravvissuto del lager, Jørgen Mogensen, diplomatico danese, era di rianimare i condannati per sottoporli al supplizio una seconda volta e prolungarne l'agonia. Inoltre secondo Mogensen a Flossenbürg non vi era alcun patibolo e Bonhoeffer morì come l'ammiraglio Canaris e il generale Oster, suoi superiori nelle fila della resistenza, «lentamente strangolati a morte da una corda che saliva e scendeva a partire da un gancio di ferro conficcato in una parete» e rianimati più volte dal medico per ripetere sadicamente la procedura. Bonhoeffer quindi non fu impiccato bensì ripetutamente strangolato, e non morì dopo pochi secondi. Quanto alla «tanta fiducia in Dio», è bello sperarlo. Aveva da poco compiuto 39 anni ed era una delle intelligenze più brillanti della teologia tedesca, docente all'Università di Berlino a 25 anni, lontano parente di Goethe, il padre titolare della cattedra berlinese di neuropsichiatria. Dopo l'avvento al potere di Hitler, il 30 gennaio 1933, mentre le chiese tedesche stipulavano accordi con il regime nazista (Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, firmò il Concordato il 20 luglio 1933), Bonhoeffer il 1° febbraio, a distanza di due giorni, manifestava alla radio la preoccupazione per la trasformazione del concetto di Führer in quello di Verführer, "seduttore". Tre mesi dopo pubblicava il saggio La Chiesa di fronte alla questione ebraica e dopo "la notte dei cristalli" del 9 novembre '38 prese a ripetere ai suoi studenti: «Solo chi grida per gli ebrei può cantare il gregoriano».

La stessa logica imbevuta di rettitudine e di giustizia lo condusse nella Resistenza per uccidere Hitler, perché «se un pazzo alla guida di un auto travolge i passanti, il mio compito non è solo curare i feriti ma anzitutto fermare quel pazzo» (Gandhi il 4 novembre 1926 aveva espresso la medesima idea con un esempio simile). Venne arrestato il 5 aprile ‘43 e rinchiuso nel carcere di Tegel dove trascorse un anno e mezzo (poi il carcere berlinese della Gestapo, poi Buchenwald, infine Flossenbürg). Anche a causa del fatto che era nipote del comandante di Berlino generale Paul von Hase, a Tegel Bonhoeffer trascorse un periodo relativamente confortevole: nacquero così le lettere e gli scritti poi pubblicati nel ‘51 con il titolo Resistenza e resa, oggi punto di riferimento capitale della teologia contemporanea. In una lettera all'amico Bethge si legge: «Posso ben immaginare che qualche volta cominci a odiare il sole. E però, sai, vorrei poterlo percepire ancora una volta in tutta la sua forza, quando ti arde sulla pelle e a poco a poco infiamma tutto il corpo, sicché sai di nuovo che l'uomo è un essere corporeo; vorrei farmi stancare da lui anziché dai libri e dalle idee, vorrei che risvegliasse la mia esistenza animale, non quella animalità che sminuisce l'essere uomo, ma quella che lo libera dall'ammuffimento e dall'inautenticità di un'esistenza solo spirituale, e rende l'uomo più puro e più felice».

A parlare così non è un materialista, ma chi ha fatto della fede il centro della vita. Egli però avverte che la tradizionale impostazione religiosa è ormai inadeguata a esprimere la potenza spirituale della vita. A partire dalla forza del sole Bonhoeffer intuisce che lo spirito non scende dall'alto a dispetto della materia, ma sale dal basso, dal calore della natura, quasi come un'effusione della materia, come già avevano espresso Teilhard de Chardin sul fronte cattolico e Pavel Florenskij sul fronte ortodosso, aprendo territori inesplorati alla teologia cristiana. Così il 30 aprile ‘44 all'amico: «Ti meraviglieresti, o forse addirittura ti preoccuperesti delle mie idee teologiche e delle loro conseguenze». Quali idee? Quelle secondo cui «il divino non è nelle realtà assolute , ma nella forma umana naturale». Scrivendo alla fidanzata, Bonhoeffer spiega la sua idea di fede: «Non intendo la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele alla terra malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura. Il nostro matrimonio deve essere un sì alla terra di Dio, deve rafforzare in noi il coraggio di operare e di creare qualcosa sulla terra. Temo che i cristiani che osano stare sulla terra con un piede solo, staranno con un piede solo anche in cielo».

Grazie a parole come queste la teologia protestante del dopoguerra ebbe quel formidabile scossone noto come "teologia della secolarizzazione" che vide protagonisti nomi quali Bultmann, Gogarten, Tillich e che contribuì a suscitare la "théologie nouvelle" in ambito cattolico e da questa il rinnovamento del Vaticano II. Oggi di questo teologo devoto tanto a Dio quanto al mondo, vengono pubblicati da Piemme, con il titolo La fragilità del male, alcuni scritti. L'editore dichiara che si tratta di "scritti inediti", in realtà non tutti lo sono, perché quelli datati dopo il 5 aprile 1943 sono editi in Italia in Resistenza e resa. Si tratta di testi occasionali, provenienti da prediche, lezioni esegetiche e meditazioni. Così il lettore incontra, nella limpida prosa di Bonhoeffer, temi quali la paura, il dolore, la morte, la guerra, la solitudine, il peccato, la tentazione, la collera di Dio, il diavolo, il dolore di Gesù… Fa da epigrafe questa frase del '39: «Di solito, nel corso delle nostre esistenze, non parliamo volentieri di vittoria: è una parola troppo grande. Negli anni abbiamo subito troppe sconfitte, troppi momenti di debolezza, e cedimenti troppo gravi ce l'hanno sempre preclusa. Tuttavia, lo spirito che abita in noi vi anela, desidera il successo finale contro il male e contro la morte». In qualunque modo ne sia avvenuta la morte a Flossenbürg settant'anni fa, la vita di Bonhoeffer rimane oggi una promessa per il "successo finale" del bene e della vita.

IL LIBRO: Dietrich Bonhoeffer, La fragilità del male ( Piemme, pagg. 182, euro 17,50)

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13 gennaio 2015 2 13 /01 /gennaio /2015 09:44

Rompe gli schemi e sa dare speranza ecco perché è giusto sostenerlo”

Papa Francesco sa cavarsela da solo, ognuno di noi è importante faccia la sua parte dove si trova e opera (ndr.)

Luigi Ciotti - La Repubblica

Ho aderito all’appello a sostegno di Papa Francesco perché, al di là di certe espressioni un po’ forti, ne condivido la sostanza e il contenuto. Le parole del Papa, da cui derivano gesti e scelte conseguenti, suscitano in tanti, anche non credenti, la speranza di una Chiesa profondamente e umilmente evangelica, al servizio del bene comune, lontana dalle tentazioni del lusso e del potere, attenta alla dottrina ma prima ancora ad accogliere i bisogni e le fragilità delle persone. È evidente che questo possa creare sconcerto e allarme in ambiti abituati a un magistero della Chiesa meno diretto, più prudente ma anche, a volte, più reticente sulla necessità per il cristiano di saldare il cielo e la terra, dimensione spirituale e impegno sociale e civile. Compito al quale il Papa non smette di richiamare: «Non si può più affermare — ha scritto nella Evangelii Gaudium — che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo». E poco più avanti: «Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo».

Questo modo di vivere la fede può dare fastidio perché rompe gli schemi, rifugge i formalismi, denuncia i compromessi. Ma soprattutto perché è un modo di vivere la fede inseparabile da un’etica, cioè da un’assunzione coerente e concreta dei principi del Vangelo in ogni istante della nostra vita.

Questo è quello che fanno molti preti e realtà la cui firma compare in calce all’appello, e questo è quello che, con molti limiti, cerco di fare anch’io. Ed è in nome di questo impegno che abbiamo voluto esprimere il nostro affettuoso, convinto sostegno a un Papa che, con molta determinazione — e forse, a volte, senza il sostegno adeguato — sta ridando alla Chiesa quell’autorevolezza che viene innanzitutto da una completa purificazione dal potere e da una piena consonanza con la Parola di Dio.

Detto questo, fa bene Vittorio Messori nel suo articolo a chiedersi quanto sia sincero il vasto interesse suscitato dal Papa. Ma il primo a chiederselo, immagino, sia il Papa stesso. Lui infatti è il primo a richiamarci alla responsabilità contro la subdola tentazione della delega. Guai se pensassimo che un’unica persona, per quanto eccezionale, possa porre rimedio con le sue sole forze alle violenze, alle ingiustizie e alle disuguaglianze di questo mondo.

È un compito, questo, assegnato a ciascuno di noi. Il Papa non permetterà che il consenso suscitato dai suoi gesti e scelte resti un fatto emotivo o, peggio, ipocrita, senza tradursi in un impegno e una responsabilità collettivi nella costruzione del bene comune.

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  • : Blog di mario bolzonello
  • : VI INVITO A SCRIVERE COMMENTI, OPINIONI. CLICCA IN FONDO A DESTRA DEGLI ARTICOLI. Mi sembra utile istituire un collegamento tra vari Blog per favorire la circolazione delle idee, delle riflessioni che aiutino a capire e affrontare la realtà nei suoi molteplici aspetti (questo blogo si limitata a una riflessione sui diritti civili, sulla religione, sulla politica, sull'economia, qualcosa sulla cultura, ma non sono un tutologo). Lo scopo è ampliare la partecipazione delle persone, per una loro migliore convivenza nella vita quotidiana, un ampliamento della conoscenza, del senso civico, della democrazia , e della buona politica. Si vuole essere propositivi e si escludo atteggiamenti di semplice denuncia e rivendicazione. SEGNALATE, PER FAVORE, I BLOG CHE HANNO QUESTE CARATTERISTICHE. GRAZIE. In fondo a destra si troveranno i blog interessanti
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Se desiderate comunicare con l'autore scrivete a : mario.bolzonellozoia@gmail.com

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