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21 febbraio 2017 2 21 /02 /febbraio /2017 17:53

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

tax justice

network

Il logo, un'organizzazione mondiale anti evasori

Faceva il consulente delle multinazionali. Ora John Christensen é passato dall'altra parte ..Qui ci spiega perchè e soprattutto in questi anni "loro fanno tutto via web. Diciamo anch'io.

Rubare ai ricchi per dare ai poveri era notoriamente la missione di Robin Hood. Quella di John Christensen punta  a un risultato analogo con un metodo differente : dare ai poveri ,evitando che i ricchi li derubino. Come fondatore di Tax Justice Network, una rete mondiale di cacciatori di evasione fiscale, questo ex investigatore  privato di 53 anni  è effettivamente la moderna versione   dell'eroico arciere in calzamaglia: invece che dalla foresta di Sherwood, organizza imboscate ( prevalentemente on-line  ) da un garage del Backinghamshire, estrema periferia londinese.E' qui che nel 2003 ha cominciato a creare la sua macchina da guerra, dopo essersi gradualmente reso conto che il più grande furto della terra è non pagare le tasse  o perlomeno pagare di meno di quanto si dovrebbe. (Trentaseimila miliardi di dollari l'anno dice davanti a un piatto dove è venuto per una delle sue indagini.

<<Tren-ta-sei-mi-la miliardi di dollari>> scandendo la cifra con così tanti zeri. Questo è il totale  stimato dell'evasione globale annuale , una somma pari a più di un terzo del prodotto interno lordo globale. E dunque sufficiente se fosse  largamente dichiarata e tassata, a regolare la maggior parte dei problemi del nostro pianeta, senza bisogno di tagliare il welfare e di far pagare la crisi alla povera gente.

L'evasione fiscale su una scala così macroscopica, signor Christensen, é un fenomeno relativamente nuovo?

Di nuovo c'è soprattutto la percezione del problema. I ricchi hanno sempre cercato di evadere e eludere il fisco, ma nel ventunesimo secolo il fenomeno è venuto finalmente alla luce nelle sue dimensioni eclatanti. A favorirlo sono stati due fattori, da un lato la globalizzazione : che permette di svolgere l'attività economica in un paese e poi spostare i profitti, con un colpo di bacchetta magica, in un altro paese dove le imposte sono più basse o addirittura inesistenti. e dall'altro la  rivoluzione digitale : se una volta l'evasore aveva bisogno di riempire  due valigie di contante e passare ad esempio , il confine dall'Italia alla Svizzera per andare a nascondere i suoi soldi nella cassaforte o nella cassetta di sicurezza di una banca Elvetica, adesso può trasferirli  digitando un codice su un computer  o semplicemente su uno smartphone. Evadere le tasse è diventato molto più semplice.

Lei come ha cominciato a diventare il Robin  Hood dell'evasione fiscale?

Per coincidenza, o segno del destino, sono nato in un paradiso fiscale l'isola britannica di Jersey, uno dei centri offshore dove l'evasione è consentita e addirittura incoraggiata dalla legge. Ho fatto studi da commercialista e da economista, sono finito a lavorare per la Deloitte, una delle multinazionali delle consulenze fiscali e così mi sono trovato inizialmente dalla parte di chi le tasse cerca di pagarle il meno possibile. In questa veste a un certo punto, il governo locale di Jersey, mi ha offerto un posto come consigliere economico. Nel 1996 quello che ho visto mi ha spinto a collaborare con un giornalista del Wall Street Journal in una inchiesta su evasori e corruzione nell'isola. Naturalmente ho perso il posto. Ma non intendevo conservarlo, la mia coscienza non lo avrebbe permesso.

E così, come Robin Hood nella foresta di Sherwood , si è messo a combattere la sua battaglia da un garage del Buckinghamshire?

Ci sono arrivato per gradi. In un primo tempo sono stato assunto dall'Oxfam, l'associazione internazionale di beneficenza e aiuti umanitari , proprio per indagare sui paradisi fiscali. Poi,dopo aver partecipato nel 2008 allo

European social forum di Firenze, dove all'indomani della grande recessione globale sono partite le prime accuse all'evasione su larga scala, mi sono messo in proprio. Il Tax Justice Network é una rete di investigatori presenti in più di ottanta paesi e svolge un ruolo di primo piano all'evasione e alle scappatoie che in molti casi la rendono legittima.

Come valuta  l'impegno più volte riaffermato da governi e istituzioni internazionali di chiudere, appunto,le scappatoie che consentono alle multinazionali di pagare cifre irrisorie  sui propri profitti?

Molte parole, pochi fatti. L'Unione europea é quella che si é mossa con più decisione, ma finora non è riuscita  che Irlanda e Lussemburgo, per fare soltanto due esempi, offrono alle imprese aliquote infinitamente più basse di altri stati membri della Ue.

Quanto vale l'evasione globale , legalizzata o meno che sia ?

Una stima credibile, calcola che ammonti a 36.000 miliardi di dollari all'anno. Soltanto in Gran Bretagna è stimata in 125 miliardi di sterline annue. Se venissero tassati i profitti su queste cifre mostruose, il mondo avrebbe 250 miliardi di dollari l'anno da riversare nei bilanci delle singole nazioni..Non sarebbe più necessaria l'austerità, non bisognerebbe più tagliare le spese per la sanità, l'istruzione, l'assistenza sociale. Avremmo risolto di colpo una buona parte dei problemi che creano malcontento e disagio.

Allora perchè i governi non fanno di più in questo campo?

Un motivo é che è difficile , servono risorse per investigare, scoprire e inquisire gli evasori. Un altra ragione é moralmente più allarmante :  spesso  i governi sono complici  degli evasori. Attraverso una corruzione diretta: tu mi consenti di non pagare le tasse, io metto i soldi nelle tue tasche. Oppure attraverso una corruzione indiretta: tu lasci in vigore norme che mi consentono di pagare meno tasse,io finanzio il tuo partito, la tua campagna elettorale e ti permetto di restare al potere. O attraverso  una corruzione posticipata: tu mi offri facilitazioni fiscali, io ti offro  un posto molto ben remunerato nel mio consiglio di amministrazione: come mio consulente o lobbista, quando ti sarai ritirato dallla politica, mestiere non molto ben remunerato.

Dunque la democrazia è un'illusione? Siamo tutti vittime di un grande imbroglio?

C'è chi la chiama criminogesimi, come se fosse una malattia: un sistema democratico  troppo debole che incoraggia l'attività criminale, perchè di questo in sostanza si tratta: un colossale furto da parte di una esigua minoranza . I super ricchi a danni  della stragrande maggioranza della popolazione. Mi ritengo ottimista nonostante tutto, sia sull'animo umano che sulla democrazia. Buone leggi rendono la gente migliore, alla fine sta tutto qui. Si tratta di denunciare il malaffare e riformare il sistema.

Già, ma come?

Maggiore trasparenza: niente più conti segreti e società offshore. Uniformità legislativa: stesse imposte in tutti i paesi, all'interno di associazioni come l'Unione Europea o l'Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo. E pene più severe per i trasgressori. NON è che i Scandinavi siano geneticamente più onesti di altri popoli. E' che hanno leggi migliori. Ci possiamo arrivare anche noi.

Con l'aiuto di un Robin Hodd in un garage del Backinghamshire?

Se posso dare un piccolo contributo a impedire che i ricchi derubino i poveri, la sera vado a letto contento

 

La lotta all'evasione fiscale è una bufala

Da Renzi a Gentiloni il copione non è cambiato: il contrasto a chi non paga le tasse si fa solo a parole. E la Corte dei Conti denuncia: nel 2015 i controlli sono diminuiti del 4 per cento

STEFANO LIVADIOTTI - L’Espresso

 

Neanche mezza parola. Nelle 123 righe delle dichiarazioni programmatiche lette martedì 13 dicembre davanti ai parlamentari il neo premier, Paolo Gentiloni, non ha fatto un solo riferimento alla questione fiscale. E tanto meno al nodo dell’evasione, vero e proprio cancro del sistema economico italiano, in ciò dimostrandosi perfettamente in linea con il predecessore, Matteo Renzi, che in un intero anno (il 2015) di evasione aveva parlato in tutto otto volte.

Poi qualche volenteroso deve aver fatto notare a Gentiloni come quella che in partenza poteva apparire solo come una pur colpevole dimenticanza rischiasse di trasformarsi in una formidabile gaffe. Così, il nuovo capo del governo ha cercato di metterci una toppa. E ha scelto come occasione la conferenza stampa di fine anno. Solo che, giovedì 29 dicembre non ha fatto che completare la frittata. «Abbiamo diminuito le tasse», ha detto nel pistolotto introduttivo, «recuperando l’evasione». E lesto ha aggiunto: «Non vi riempio di cifre».

Una mossa quasi obbligata per chi è consapevole di aver appena sparato una balla colossale e cerca di evitare di restarci inchiodato.
Già, perché nel 2015 la somma che il fisco è riuscito a scovare e a farsi restituire dai ladri di tasse non è aumentata. Al contrario, è addirittura diminuita. Il fatto è che ancora una volta Gentiloni si è accodato al suo predecessore. Era stato infatti proprio Renzi, nelle settimane precedenti, a strombazzare di un presunto record ottenuto nei confronti dei furbetti della dichiarazione dei redditi, responsabili ogni anno di un ammanco nelle casse dello Stato stimato fino a 180 miliardi di euro dal britannico Richard Murphy, inserito da “International Tax Review” nell’elenco delle 50 persone più influenti al mondo in materia di fisco (la Confindustria parla invece di 122,2 miliardi).

«Il nostro governo è quello che ha ottenuto più risultati nella storia italiana nella lotta contro l’evasione: 14,9 miliardi di recupero», aveva scolpito il 17 ottobre l’allora premier Renzi. Parole, e numeri, in libertà. Basta prendersi la briga di ficcare il naso nella relazione della Corte dei Conti sul rendiconto generale dello Stato per il 2015 per scoprire come stanno davvero le cose: «L’attività di controllo e accertamento sostanziale», scrivono i magistrati contabili, «ha comportato entrate per complessivi 7,753 miliardi». Cioè la metà di quanto incautamente vantato da Renzi & Co. Ma non basta: altro che record; la performance è addirittura inferiore a quella del precedente anno. Del 3,9 per cento, mette nero su bianco la Corte. Come si spiega la differenza tra la realtà e i successi che i governi Renzi e Gentiloni si attribuiscono nella lotta all’evasione lo dice con chiarezza un documento di 150 pagine elaborato da una commissione di esperti guidata dall’ex presidente dell’Istat, Enrico Giovannini. Il fatto è che sono state indebitamente sommati agli effettivi proventi da riscossione coattiva una serie di versamenti effettuati in seguito ad accertamenti e di pagamenti spontanei di semplici ritardatari, oltreché qualcosa come 4 miliardi di incassi da voluntary disclosure. Se si sottraggono queste cifre, si scende da 14,9 a 7,8 miliardi. Con buona pace di Renzi, di Gentiloni e del loro record farlocco.

A dicembre ha destato curiosità un’inchiesta di Federico Fubini sul Corriere della Sera, dove si documentava come in Italia ci siano più auto di lusso che persone ad alto reddito. In realtà non ci sarebbe stato da sorprendersi poi troppo, se solo si fosse pensato alla vicenda dell’interrogazione parlamentare con cui il 25 febbraio 2014 il parlamentare del Pd Ermete Realacci aveva chiesto all’allora premier Renzi se risultasse vero quanto sostenuto dall’Espresso, e cioè che il governo conosceva per nome e cognome 518 contribuenti che, pur dichiarando meno di 20 mila euro di reddito annuo, possiedono un jet privato. L’allora capo del governo se ne era lavato le mani, delegando a rispondere il suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che aveva fatto, e continua a fare, orecchie da mercante: nonostante 29 solleciti ufficiali, l’ultimo il 14 dicembre scorso, non ha mai ritenuto di rispondere e, restando sulla stessa poltrona nel cambio di governo, si è trascinato appresso senza scomporsi l’imbarazzante pratica. Anche in questo caso, poco da meravigliarsi.

Padoan è lo stesso che il 30 ottobre 2014, in quel di Berlino, ha garantito, riuscendo anche a non arrossire: «L’Italia sta diventando nota per il suo sforzo nella lotta all’evasione fiscale». Lo hanno trattato come l’orso del tiro a segno. «L’accumulo dei debiti fiscali ha assunto proporzioni allarmanti...
per il pagamento delle tasse l’Italia è al centotrentasettesimo posto su 189 Paesi», hanno picchiato duro gli esperti del Fmi al termine di una missione romana a ottobre 2015. «I livelli di osservanza della normativa fiscale sono bassi», hanno confermato quelli dell’Ocse solo quattro mesi più tardi.

Cosa farà ora Gentiloni? Dopo la vittoria alle europee del 2014, che gli aveva consentito la stretta su partito e governo, ottenuta grazie alla capacità del Pd di attrarre per la prima volta i voti della piccola borghesia urbana (commercianti, artigiani, liberi professionisti e imprenditori, accreditati dalla banca d’Italia di un tasso di evasione del 56,3 per cento), Renzi aveva stretto di fatto un patto informale con gli evasori. L’innalzamento del tetto all’uso del contante, la cancellazione di Equitalia e la rottamazione delle cartelle sono solo gli esempi più eclatanti. Nel frattempo i controlli sono crollati: secondo la Corte dei Conti quelli della sola Agenzia delle entrate nel 2015 si sono fermati a quota 621 mila (su circa 6 milioni di contribuenti a rischio), con un calo del 4 per cento sull’anno precedente e del 16 per cento sul 2012. E i risultati si vedono. I dati 2014, aggiornati a maggio 2016, dicono che 2 milioni e 928 mila contribuenti (il 7 per cento) dichiarano meno di mille euro l’anno. E solo 31 mila, (lo 0,08 per cento) oltre 300 mila euro. Così, nei conti di Equitalia si è scavato un buco impressionante. Secondo le elaborazioni del Fmi gli arretrati, che al 30 giugno 2015 erano pari a 728 miliardi di euro, continuano a crescere (dai 55 miliardi del 2009 ai 79 del 2014), mentre il tasso di recupero non va oltre il 6 per cento, con il grosso delle pratiche intestato a soggetti falliti, deceduti, cessati, nullatenenti...

Secondo uno studio messo a punto dalla Confcommercio, se gli italiani fossero convinti di trovarsi di fronte un’amministrazione efficiente e severa come quella americana dichiarerebbero d’un colpo 56 miliardi all’anno in più. Ma negli Stati Uniti a fine 2015 mister James Lee Cobb III s’è beccato una condanna a 27 anni di carcere per una frode fiscale da tre milioni di dollari.

Difficile immaginare che Gentiloni voglia incamminarsi su questa strada in un Paese dove la popolazione penitenziaria per reati economici e fiscali è pari a un decimo della media europea. Soprattutto se la scelta del governo per il nuovo vertice di Agenzia delle Entrate-Riscossione, che incorporerà Equitalia, cadrà sul suo attuale amministratore delegato, Ernesto Maria Ruffini. Pronipote di un ex cardinale (Ernesto), figlio di un ex ministro (Attilio), un passato nello studio Fantozzi, Ruffini è soprattutto un cocco di Renzi: ha conquistato il segretario del Pd alla Leopolda 2010, dove dal tavolo di lavoro numero 26 si è sbracciato a favore del fisco amico, venendo poi reclutato come consulente per la dichiarazione precompilata. Per sapere come la pensi è sufficiente sbirciare la prima pagina di un documento dell’ente che guida, datato 2016. Riporta una frase di Adam Smith: «Ogni imposta deve essere riscossa nel tempo e nel modo in cui è probabile che sia comodo per il contribuente pagarla». Ecco: soprattutto comodo.

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