Overblog
Edit post Segui questo blog Administration + Create my blog
5 maggio 2013 7 05 /05 /maggio /2013 17:15

Si comincerà con una riflessione di Piero Gobetti da parte di Paolo di Paolo.

  http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-f00d93cf-b697-4d75-acab-058cf8d42144.html

La scomparsa dei post-comunisti (Michele Serra).

30/04/2013

A PARZIALE consolazione di quei milioni di elettori di sinistra che si sentono tagliati fuori dalla scena politica (no, non avevano votato per fare un governo con Berlusconi), va detto che una sorte analoga è toccata alla classe dirigente della sinistra storica quasi al completo. Il “quasi” è dovuto all’autorevolissima eccezione di Giorgio Napolitano, riconfermato al Colle e primo artefice del
nuovo governo.

Meritato coronamento della vocazione governativa e lealista della destra comunista, da sempre capace di interpretare, nella lunga storia repubblicana, il punto di vista dello Stato ben più di quello della società, dei movimenti, degli umori popolari.
Di tutto il resto – quel cospicuo resto che è la sinistra di Berlinguer e di Occhetto, della Bolognina e della “svolta maggioritaria” di Veltroni al Lingotto, dell’Ulivo, dei sindacati e dei movimenti di massa, dei due milioni di persone con Cofferati al Circo Massimo, dei cortei infiniti e delle infinite attese di “cambiamento” – non rimane, nel consociativismo lettiano, alcuna presenza riconoscibile e significativa.
Almeno in questo senso il principio di rappresentatività è rispettato: eletti ed elettori di quel grande ceppo fondante del Pd che fu la diaspora comunista non fanno parte del governo Letta. Non un solo leader della generazione di mezzo (i D’Alema, i Veltroni, i Bersani) è direttamente partecipe di una compagine che pure pretende di reggersi su tante gambe quante sono quelle all’altezza dell’emergenza politica, e dunque della responsabilità istituzionale. Domina la componente popolare e cristiano sociale; e nei pochi casi (vedi le neoministre Kyenge e Idem) in cui la sinistra italiana può riconoscere almeno qualcuna delle proprie migliori aspirazioni, non si tratta di dirigenti politiche ma di una sorta di evidenza sociale che bypassa il partito: è il partito che le porta in spalla, ma sono loro a salutare la folla.
A meno che, in questo scomparire di una intera generazione di capi politici della sinistra, ci sia un sottile calcolo (“meglio, in questa fase, farsi notare il meno possibile”), se ne deve dedurre un fallimento epocale. Quello di una classe dirigente logorata dal tatticismo e sfibrata dalle rivalità interne; e di un modello di partito così poco permeabile alla società che, evidentemente, non ha potuto selezionare i propri uomini e le proprie donne nel vivo dei conflitti, e si è illuso di potere coltivare in vitro, nel chiuso dei propri ruoli di competenza, una élite che invecchiava, perdeva mordente, perdeva sguardo su una società che guardava a sua volta altrove.
In una recente intervista al “Manifesto” di Stefano Rodotà, al netto delle opinioni che si possono avere sulla persona e sul tentativo politico di portarlo al Colle, ci si riferiva a un episodio che fotografa con assoluta spietatezza la crisi strutturale della sinistra italiana, e del Pd in particolare. Subito dopo la clamorosa e inattesa vittoria nei cinque referendum del 2011 sull’acqua pubblica e altro (quorum ottenuto, dopo molti anni, grazie all’auto-organizzazione sul territorio), Rodotà racconta di avere inutilmente sollecitato un incontro tra i Comitati vittoriosi (con i quali aveva lavorato) e i dirigenti del Pd. Quell’incontro non ebbe luogo, forse non interessava o forse nel Pd c’erano cose più urgenti da fare. Fatto sta che, con il senno di poi, possiamo ben dire che in quel caso la sinistra perdente (quella degli apparati) perse l’occasione di confrontarsi con la sinistra vincente, quella auto-organizzata, vivace, attiva che ebbe tante parte, tra l’altro, anche nella vittoria di Pisapia a Milano e nella caduta del centrodestra in molte città italiane.
Perché quell’episodio è amaramente simbolico? Perché da molti anni – diciamo, per comodità, dalla Bolognina a oggi: e sono più di vent’anni – ogni tentativo di osmosi tra la sinistra-partito e la sinistra-popolo ha cozzato una, dieci, cento, mille volte contro finestre e porte chiuse. La domanda è semplice, ed è tutt’altro che “populista”, riguardando, al contrario, il tema cruciale della formazione di una élite: quanti potenziali leader, quanti quadri politici appassionati, quante nuove idee, quanta innovazione, quanta energia è stata perduta dalla sinistra italiana a causa, soprattutto, della sua incapacità di fare interagire le sue strutture politiche e il suo popolo, i dirigenti e i cittadini? Quante di quelle energie sono confluite nelle Cinque Stelle, portandosi dietro altrettanti voti? Quanto alto è stato il costo politico di un partito che per timore di perdere “centralità” ha perduto realtà, e infine ha perduto competenze, autorevolezza, e con l’autorevolezza il senso stesso della missione di qualunque vera avanguardia politica?
Infine e soprattutto: per quanti anni ancora varrà, a sinistra, il pregiudizio contro il “radicalismo minoritario” (sono state queste, più o meno, le ragioni addotte da alcuni per spiegare il loro no a Rodotà), quando le sole vittorie recenti, dall’acqua pubblica alle amministrative, sono il frutto evidente di scelte radicali, e non per questo meno popolari, e infine maggioritarie? Chi è più snob – per usare un termine tanto di moda – Rodotà che lavora con i Comitati per l’acqua e vince il referendum o un partito così castale, così impaurito da rinserrarsi a litigare, per anni, nel chiuso delle proprie stanze?

Da La Repubblica del 30/04/2013.

Inizio modulo

 PD, la sindrome del rigetto

03 maggio 2013 —

L'EPISODIO di lotta di classe intrapresa nel Pd dai volontari del servizio d'ordine torinese, che al corteo del 1° maggio si sono rifiutati di garantire la tutela dei parlamentari, va al di là della dialettica base-vertice.

I quadri più "fidati" della sinistra torinese - invitando i dirigenti a farsi proteggere dalla polizia anziché dalla struttura militante che in passato tutelò la sicurezza di personalità minacciate dai terroristi come Ugo Pecchioli e Luciano Violante, e che scortava Giorgio Amendola anche quando egli richiedeva "sacrifici senza contropartite" ai lavoratori - denunciano un'incompatibilità culturale senza precedenti: quasi che oggi esistessero non uno, ma due Partiti democratici. Mai prima d'ora avevano rotto una silenziosa disciplina. Si sono dichiarati al servizio dei lavoratori in corteo, ma non di chi dovrebbe rappresentarli. Hanno marciato con gli iscritti autonominatisi "Resistenti democratici" dietro a uno striscione inequivocabile: "No all'inciucio Pd-Pdl"; e con loro invocavano "Congresso libero e subito!".

Guai a confondere questi militanti del movimento operaio con gli antagonisti che issavano uno striscione recante l'effigie di Luigi Prieti, detestabile apologia della violenza armata. Né li possiamo ascrivere al novero dei grillini che teorizzano l'indifferenza fra destra e sinistra. Diversamente che nel passato, quando si fronteggiarono in varie modalità riformisti e rivoluzionari, moderatismo e estremismo, stavolta la voragine si è aperta dentro al partito, o meglio fra partito e popolo democratico. A Torino come nel resto d'Italia. È come se i dirigenti del Pd non avessero ben valutato le conseguenze delle procedure democratiche con cui avevano chiamato fino a pochi mesi fa l'elettorato e i tesserati alla partecipazione attiva. Dibattito libero, frequente ricorso alle primarie per sciogliere i nodi politici e selezionare i dirigenti. Con la democrazia non si scherza. Il rigetto diviene inevitabile e incontrollabile quando i dirigenti, anziché rivendicare uno spazio di autonomia decisionale, tramano nell'ombra; e una parte cospicua di loro vota contro Prodi al Quirinale, già considerando obbligata nei fatti l'alleanza di governo col Pdl che respingevano a parole. Doppiezza inaccettabile dacché l'epoca del centralismo democratico è archiviata. Un partito fondato sulla sovranità dei cittadini elettori non può tollerare un cambio repentino di strategia, votato da una Direzione durata meno di tre ore.

Così l'imboscata dei 101 franchi tiratori, nessuno dei quali ha avuto il coraggio di motivare la propria scelta, e la conseguente nascita del governo di coalizione con la destra berlusconiana, ripropongono la categoria (impolitica?) del tradimento. Di ben altro spessore fu il travagliato dibattito sul "compromesso storico" che, a partire dal 1973, preparò nel vecchio partito di massa il varo del governo di larghe intese, tre anni dopo.

Le lacerazioni che pure allora si produssero nel popolo di sinistra, in particolare sui temi dell'austerità e dei sacrifici richiesti alle classi lavoratrici, furono certo dolorose. Ma le accuse di svendita e di "imborghesimento" - di tradimento, insomma - giunsero quasi solo dall'estrema sinistra: i militanti del Partito comunista non dubitavano dell'onorabilità dei loro dirigenti, garantita da biografie gloriose e stili di vita condivisi.

Oggi la percezione è drammaticamente mutata, come rivela anche l'ammutinamento di Torino. Non basta il prestigio di Napolitano - l'unico che ha parlato chiaro-a convincerei militanti che si possa/debba rifare il compromesso storico, con Berlusconi al posto di Moro. Non bastano le mezze frasi di D'Alema per giustificare l'affossamento della candidatura di Prodi. Illudersi che la politica segua il suo corso e che alla fine la base "digerirà" anche questo passaggio, significa ignorare non solo le tensioni sociali ma anche le legittime aspettative di condivisione che lo stesso Pd - novello apprendista stregone - ha sollecitato.

Come si fa a predicare l'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione e al tempo stesso rinnegare una linea politica democraticamente assunta? "Congresso libero e subito!", chiedevano il 1° maggio i rivoltosi di Torino. Lo si convochi immediatamente, prima dell'estate, riconoscendo non solo legittima ma preziosa questa richiesta che - per quanto ancora? - giunge dai quadri più generosi, quelli che sacrificano le notti per vigilare sulle feste del partito e che fino a ieri si sentivano in dovere di proteggere i dirigenti, meritevoli di rispetto sia pure nel dissenso. Quel patrimonio di rispetto è stato dissipato, il che renderà ancora più denso di incognite il percorso congressuale.

Rimetterà in discussione la tenuta del governo Letta? È probabile. Di certo non sarà indulgente con i responsabili del disastro. Ma chi si illudesse di ridimensionare il travaglio in corso a malcontento sopportabile, non si rende conto che in poche settimane il Pd rischia di perdere il suo popolo. E la sua anima.

- GAD LERNER

Le cose vere di questa situazione politica le raccogliamo non dal gruppo dirigente del PD, ma da singole persone che hanno il coraggio di dire " pane al pane e vino al vino".Saranno quelle che si rivolgeranno agli iscritti e agli elettori di questa organizzazione e cacceranno il gruppo dirigente che pensa solo alla sua soppravvivenza come tutte le strutture e gli apparati. Non vi sembra che già ci sia stata una scissione tra questo gruppo dirigente e coloro che ruotano attorno a questo mondo ?- alle sole elezioni politiche  il partito ha  perso 3.500.000 voti - Questo gruppo dirigente pubblicamente affermava"abbiamo capito: é l'ora del rinnovamento" e poi ha agito e si è comportato in modo opposto. Non è  perchè evidenemente era convinto che questa era la soluzione migliore?   Dopo il risultato delle elezioni il popolo del centro sinistra era contento soprattutto perchè finalmente il Berlusconi era fuori gioco. E questo gruppo dirigente (per convinzione o incapacità - politicamente è la stessa cosa - gli incapaci fanno altrettanti disastri dei ladri) si meraviglia perchè la sua area si ribella e lo manderà a casa perchè ha rimesso in gioco e gioca di rimessa su Berlusconi? Non si sa ancora chi siano i 103  grandi elettori che hanno fatto fuori Prodi. I dirigenti  innalzano un muro di omertà. A scuola mia, come in tutti i posti di lavoro, si conosceva, (anche il preside) si sapeva delle azioni e del comportmento di chi lavorava nell'istituto .

Il gran rifiuto del ribelle Mattiello "no alla pacificazione di Silvio"

Davide Mattiello deputato del PD, è uno dei dissidenti che hanno negato la fiducia  a Letta. Ha fatto parte dell'ufficio di presidenza dell'associazione Libera di don Luigi Ciotti e attualmente è presidente della Fondazione Benvnuti in Italia, da lui definita una lobby che si occupa di politica.

Onorevole Mattiello, perchè ha scelto di uscire dall'aula?

Mi hanno spinto la mia coscienza , la mia storia, le ragioni per le quali ho accettato la candidatura del PD come indipendente

Una questione di nomi che considera inaccettabile?

Nè nomi, nè contenuti. Il nodo é il significato storico di questo governo. Come dicono Gelmini e Brunetta, è il tentativo di pacificare il paese sulle loro posizioni

Qualcosa di incontrario?

No, ma il punto è un altro. La loro pacificazione significa chiudere  sul piano politico la guerra  cominciata con le stragi del '92 e '93

La vostra pacificazione come si ottiene?

Vogliamo arrivarci sul piano della legalità, con l'azione della magistratura. L'Italia affonda nella corruzione, nel rapporto irrisolto tra politica e mafia. se si chiude con un accordo politic, diciamo agli italiani che la furbizia paga.

Ha considerato l'ipotesi di dimettersi?

  Ne ho parlato con il capogruppo Speranza. Le dimissioni sono state respinte

Intevista a Corradino Mineo : "osceno l'accordo sugli ex ministri di Silvio, più che larghe intese sono ampie divisioni"

Corradino Mineo, ex direttore di Rai News e ora senatore del PD, è a cena quando lo raggiunge la notizia che il suo partito avrebbe chiuso l'accordo con il Pdl sulle commissioni parlamentari. A mineo va di traverso il boccone:

 E' così se ne faccia una ragione. Amereggiato ?

Amereggiato per una modestissima trattativa partitocratica? non ci penso neppure. Anche perchè vedo ampi spazi per lanciare una politica diversa.

Diversa dalle larghe intese?

Più che il governo delle larghe intesemmi pare che questo sta diventando il governo delle ampie divisioni. Ha visto lo scontro sul ministro Kyenge?

Stiano al tema, le presidenze delle commissioni. A quest'ora si fanno i noi di Nitto palma alla giustizia  e Paolo Romani alle Comunicazioni. Che ne dice?

  Non ci credo. Questi due nomi sono un insulto a tutti quegli italiani che hanno chiesto con il loro voto, un rinnovamento della politica e un sistema dei media liberato dagli interessi oligopolistici.

 Una ptovocazione dunque?

 Esatto, una provocazione. Di più.: nitto Palma è quello che vorrebbe la mordacchia ai giornalisti e pensa  che la magistratura non deve disturbare il manovratore. Immaginare di eleggere l'ex guardiasigilli di Berlusconi alla Giustizia per me  è una proposta oscena

Per lei non è potabile?

Per me no.

E Romani?

Uguale. Una barzelletta: la volpe a guardia del pollaio! E' l'uomo che dava ordini alla Rai per conto di Berlusconi. Ma di cosa vogliamo discutere?

Prima si indigna e poi se ne lava  le mani?

 Ma no, è che guardo oltre questo governicchio. Pensando più grande, non mi pare che questo governo sia in grado di far scendere una coltre di ghiaccio sul paese.mCi sono tante cose da fare in parlamento, a partire dallo ius soli.

E il conflitto di interessi?

Ceamente anche questo. Anzi proprio una legge severa sul conflitto di interessi può essere la migliore risposta a questa provocazione delle commissioni.

 Senta Mineo, il PD ha fatto un accordo con il PDL per il governo. Perchè mai non dovrebbe farlo  per le presidenze dulle commissioni?

 Infatti questo mostriciattolo è solo la manifestazione di un problema più grave e generale. Che nasce l giorno in cui sono andati in ginocchio a chidere a Napolitano di ricandidarsi . Io ero contrario come si sa.

Lei in quale commissione andrà?

  Sarei andato volentieri agli affari costituzionali , ma pare che non ne sia degno. Allora mi metterò alla cultura. Ora voglio proprio vedere  cosa accadrà sulle commisioni bicameerali. Me lo devono dire in faccia che non vado bene per la Vigilanza Rai.

C' è già un progetto per un nuovo PD dell'ex ministro del governo Monti  Giuliano Barca. Lo trovate al sito:

http://www.scribd.com/doc/135523966/Fabrizio-Barca-Un-partito-nuovo-per-un-buon-governo

 

Assalto alla Costituzione

di Stefano Rodotà, da Repubblica, 3 maggio 2013

Come, e da chi, sarà governato questo paese nella fase che si è appena aperta? La prima risposta è tutta politica e deve partire dalla constatazione che Berlusconi è il vincitore della partita sulle macerie del Pd. E, in quanto tale, non sarà solo il lord protettore di questo governo, ma il depositario di un potere di vita e di morte. La seconda riguarda il modo stesso in cui il governo si è costituito e si è presentato: un governo "per sottrazione", non tanto per l'esclusione di pezzi del vecchio personale politico (in realtà, una vera "rottamazione" riguardante il solo Pd), quanto piuttosto per il silenzio su una serie di questioni evidentemente ritenute "divisive" (l'orrenda parola che connota sinistramente il nuovo lessico politico). La terza risposta è istituzionale ed è affidata all'invenzione di una Convenzione che dovrebbe, nelle parole del presidente del Consiglio, farci uscire dalla Seconda e traghettarci nella Terza Repubblica. La quarta, ma in verità la prima, è quella sociale, che riassume le urgenze dell'economia e il dramma delle persone.

Partiamo, allora, proprio da quest'ultimo tema. Sono stati descritti, in questi anni, alcuni caratteri che veniva assumendo la società italiana, caratterizzata da una serie di fratture profonde, non riferibili soltanto alla sfiducia crescente verso politica e istituzioni, ma soprattutto alla progressiva lacerazione del tessuto sociale. Ma queste rilevazioni oggettive non sono mai state prese seriamente in considerazione. Poiché l'unica bussola è stata quella dell'economia, e il mercato è vissuto come un'invincibile legge naturale, tutto il resto è stato ritenuto "sacrificabile". E infatti la parola "sacrifici" è stata correntemente usata con allarmante leggerezza, senza essere capaci di rendersi conto che così veniva messa a rischio la coesione sociale e s'inoculava il virus della violenza. Quella inammissibile dell'aggressione armata, ma pure quella terribile del "tempo dei suicidi", accompagnate dall'aumento dei reati documentato da commercianti e imprenditori come effetto del disagio che spinge all'illegalità chi vede in ciò una via obbligata per la sopravvivenza. E' giusto, allora, invocare misura nel linguaggio, invito che tuttavia dovrebbe essere rivolto a tutti coloro che nel corso degli anni si sono fatti seminatori di discordia e imprenditori della paura. Ma è doveroso un riconoscimento a chi incanala la protesta sociale nelle forme della legalità. Penso alla Fiom, tante volte aggredita, che ha scelto la via giudiziaria per affermare i diritti dei lavoratori.

Siamo ormai di fronte ai drammi dell'esistenza, e la capacità di governo dei processi sociali si misurerà proprio in questa dimensione, che non può essere dominata dalla prepotenza dell'economia. Se la politica vuole ritrovare il filo costituzionale perduto, deve pur ricordare che la Costituzione parla di "esistenza libera e dignitosa" collegata alla retribuzione, sì che né il lavoro può essere considerato una merce, né l'azione pubblica può essere pensata solo come rimedio per le situazioni di povertà, pur essendo evidente che interventi in quest'ultima direzione siano urgenti. La discussione generale sul reddito di cittadinanza non può essere elusa in una prospettiva che guarda a un nuovo welfare, così come il mondo del lavoro non può essere lasciato privo di una legge sulla rappresentanza sindacale.

Legalità e Costituzione ci portano al non detto del programma di governo, al suo essere prigioniero della logica della sottrazione. Non una parola del presidente del Consiglio sui diritti civili, terreno sul quale in tutto il mondo si discute, si sperimenta, si innova, si legifera. I prossimi anni saranno quelli di un isolamento civile del nostro paese? Eppure, davanti a Governo e Parlamento stanno questioni ineludibili. La legge sulla procreazione assistita, la più ideologica e sgangherata tra i tanti mostri legislativi partoriti dalle maggioranze di destra, è stata fatta a pezzi dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo: coerenza vorrebbe che si abbandoni la logica proibizionista, che ha prodotto un turismo procreativo che discrimina le donne in base alle loro risorse finanziarie, e si approdi ad una legge essenziale, rispettosa del diritto all'autodeterminazione e di quello alla salute, come la Corte costituzionale ha detto chiaramente. Il presidente della Corte ha recentemente ricordato una sentenza della Consulta che ha riconosciuto alle coppie di persone dello stesso sesso il diritto fondamentale a veder riconosciuta la loro situazione, rinviando correttamente al Parlamento la definizione delle modalità del riconoscimento. Può il Parlamento lasciare senza garanzie un diritto fondamentale delle persone? Possono gli eletti del Pd dimenticare che questo era un aspetto assai sbandierato del loro programma e compariva tra gli 8 punti di Bersani? Si potrebbe continuare, ma bastano questi esempi per mostrare che cosa si sacrifichi sull'altare delle larghe intese.

Conosco la vecchia obiezione. I diritti sono un lusso in tempi di crisi, Bertolt Brecht fa dire a Mackie Messer, nell'Opera da tre soldi, "prima la pancia, poi vien la morale". Ma la dignità delle persone, il rispetto dovuto a ciascuno sono ormai un elemento costitutivo delle società democratiche. Possiamo dimenticarlo, sia pure per un momento? Peraltro, la cancellazione della dimensione dei diritti contraddice la dichiarata attenzione per l'Unione europea, dove ormai la Carta dei diritti fondamentali ha lo stesso valore giuridico dei trattati e afferma chiaramente l'indivisibilità dei diritti.

Le convenienze purtroppo spingono in questa direzione, e tuttavia questo erode la legittimità del governo e la credibilità del Pd, cosa che dovrebbe preoccupare assai, e spingere ad azioni concrete, quei parlamentari che hanno manifestato critiche e preoccupazioni. E che dovrebbero essere memori, di nuovo, degli 8 punti di Bersani, dove comparivano la legge sui conflitti d'interesse e sull'incandidabilità, sul falso in bilancio e sulla prescrizione dei reati. Tutti temi che, malinconicamente, sembrano archiviati.

Qui nasce un ulteriore, significativo problema politico. I gruppi di opposizione hanno responsabilmente parlato della loro volontà di valutare nel merito, senza pregiudizi, i singoli provvedimenti del governo. E tuttavia il ruolo dell'opposizione non può ridursi al gioco di rimessa. Utilizzando anche le norme regolamentari che assegnano spazi garantiti per la discussione delle loro proposte, i gruppi d'opposizione presenteranno certamente proposte proprie, tra le quali con ragionevole probabilità compariranno alcune almeno tra quelle ricordate. Saranno valutate dalla maggioranza di governo con lo stesso spirito costruttivo manifestato dalle opposizioni? O questa si trincererà dietro un rifiuto pregiudiziale, vedendo in quelle proposte l'intenzione di mettere in difficoltà il governo?

Ma il punto più inquietante della linea istituzionale enunciata dal presidente del Consiglio risiede nella proposta di istituire una Convenzione per le riforme. Preoccupa il collegamento tra riforma elettorale e modifiche costituzionali, che contraddice la proclamata urgenza del cambiamento della legge elettorale e rischia, in caso di crisi, di farci tornare a votare con il porcellum (legge che contiene un clamoroso vizio d'incostituzionalità). Preoccupa la spensieratezza con la quale si parla di mutamento della forma di governo. Preoccupa lo spostamento in una sede extraparlamentare di un lavoro che - cambiando il titolo V della Costituzione, l'articolo 81, le norme sul processo penale - le Camere hanno dimostrato di poter fare, con il rischio di avviare un improprio processo costituente "suscettibile di travolgere l'insieme della Costituzione" (parole di Valerio Onida nella relazione dei "saggi"). Inquieta la pretesa di Berlusconi di vedersi attribuire la presidenza di questa Convenzione, dopo essere stato l'artefice di una riforma costituzionale clamorosamente bocciata nel 2006 da sedici milioni di cittadini.

Rispetto a questa linea si manifesteranno certamente le opinioni critiche in quel mondo della sinistra che, in questi anni, ha cominciato a ricostruire una vera linea di politica costituzionale, consapevole dei problemi della democrazia rappresentativa, ma convinta che la via d'uscita non sia quella dell'accentramento dei poteri e della cancellazione dei diritti. Molte forze vitali sono già in campo, e non mancheranno di far sentire la loro voce.

 

 

 

Condividi post
Repost0

commenti

Presentazione

  • : Blog di mario bolzonello
  • : VI INVITO A SCRIVERE COMMENTI, OPINIONI. CLICCA IN FONDO A DESTRA DEGLI ARTICOLI. Mi sembra utile istituire un collegamento tra vari Blog per favorire la circolazione delle idee, delle riflessioni che aiutino a capire e affrontare la realtà nei suoi molteplici aspetti (questo blogo si limitata a una riflessione sui diritti civili, sulla religione, sulla politica, sull'economia, qualcosa sulla cultura, ma non sono un tutologo). Lo scopo è ampliare la partecipazione delle persone, per una loro migliore convivenza nella vita quotidiana, un ampliamento della conoscenza, del senso civico, della democrazia , e della buona politica. Si vuole essere propositivi e si escludo atteggiamenti di semplice denuncia e rivendicazione. SEGNALATE, PER FAVORE, I BLOG CHE HANNO QUESTE CARATTERISTICHE. GRAZIE. In fondo a destra si troveranno i blog interessanti
  • Contatti

Comunicazione

Se desiderate comunicare con l'autore scrivete a : mario.bolzonellozoia@gmail.com

Cerca

ISCRIVITI alla newsletter

Se ti iscrivi sarai avvisato automaticamente quando verrà pubblicatoun nuovo articolo

Titoli Del Blog

Pagine