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20.000 miliardi di dollari all'anno. Il commercio di valute ha superato i 4.000 miliardi di
dollari al giorno. Questo significa che circola più denaro in soli 5 giorni sui mercati
finanziari che in un intero anno nell'economia reale, o, in altre parole, che circa il 99%
delle operazioni sul mercato delle valute non è legato a beni e servizi prodotti e
scambiati, ma unicamente a guadagnare sulle oscillazioni valutarie.
Negli USA il 70% delle operazioni sui mercati finanziari è eseguito da computer, senza
nessun intervento umano. In Europa tali operazioni sarebbero “solo” il 40% del totale.
E' il cosiddetto High Frequency Trading o commercio ad alta frequenza, in cui le
transazioni sono realizzate nell'arco di alcuni millesimi di secondo.
Sono molti altri gli esempi e le cifre che si potrebbero portare per chiarire come la
finanza si sia in massima parte trasformata in un gigantesco casinò dedito alla pura
speculazione. Da strumento al servizio dell'economia e dell'insieme della società la
finanza è diventata un fine in sé stesso per fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile
QUALE MODELLO FINANZIARIO?
Dimensione della finanza
Il PIL del mondo è di poco superiore ai 60.000 miliardi di dollari l'anno. Una singola
banca statunitense detiene strumenti derivati per un nozionale che si aggira sui 78.000
miliardi di dollari. Complessivamente quattro banche controllano un ammontare di
derivati intorno ai 200.000 miliardi di dollari. “L'eccessivo” debito pubblico italiano, una
delle prime dieci economie del pianeta, è circa l'1% di questa cifra.
I beni e i servizi importati ed esportati nel mondo tra diverse nazioni ammontano a
20.000 miliardi di dollari all'anno. Il commercio di valute ha superato i 4.000 miliardi di
dollari al giorno. Questo significa che circola più denaro in soli 5 giorni sui mercati
finanziari che in un intero anno nell'economia reale, o, in altre parole, che circa il 99%
delle operazioni sul mercato delle valute non è legato a beni e servizi prodotti e
scambiati, ma unicamente a guadagnare sulle oscillazioni valutarie.
Negli USA il 70% delle operazioni sui mercati finanziari è eseguito da computers in automatico in base formule predisposte che fanno entrare in funzione immediatamente gli scambi senza nessun intervento umano (e questo lo chiamano mercato). In Europa tali operazioni sarebbero “solo” il 40% del totale.
E' il cosiddetto High Frequency Trading o commercio ad alta frequenza, in cui le
transazioni sono realizzate nell'arco di alcuni millesimi di secondo.
Sono molti altri gli esempi e le cifre che si potrebbero portare per chiarire come la
finanza si sia in massima parte trasformata in un gigantesco casinò dedito alla pura
speculazione. Da strumento al servizio dell'economia e dell'insieme della società la
finanza è diventata un fine in sé stesso per fare soldi dai soldi nel più breve tempo
possibile.
La crisi dalla finanza ai cittadini
Le conseguenze di una tale trasformazione sono sotto gli occhi di tutti. L'attuale fase
recessiva e le enormi difficoltà in diversi Paesi, in particolare nell'Unione Europea,
discendono direttamente dalla crisi esplosa negli USA nel 2007 con la bolla dei mutui
subprime e che ha rapidamente contagiato l'intero pianeta. Le radici di tale crisi
possono essere fatte risalire a molti anni addietro. Parliamo dello sviluppo di una
finanza ipertrofica, del sempre maggiore indirizzamento dei capitali dai salari ai profitti e
dei profitti dagli investimenti alle rendite, di una continua crescita del PIL e dei consumi
assunta a dogma e finanziata tramite livelli insostenibili di indebitamento.
Cerchiamo di riassumere. Nel 2006 il mercato immobiliare negli USA si ferma, dopo
una fase espansiva durata decenni. Da questo evento, in sé limitato, l'anno successivo
nasce la peggiore crisi finanziaria degli ultimi decenni. Il motivo è riassumibile nello
sviluppo di strumenti finanziari sempre più rischiosi e incomprensibili costruiti sul
mercato dei mutui, e più in generale nella comparsa di un gigantesco sistema bancario
ombra, fatto di imprese registrate nei più noti paradisi fiscali del pianeta. Imprese che si
comportavano come banche, raccoglievano denaro ed erogavano prestiti come
banche, ma che non erano banche e non dovevano sottostare a nessuna forma di
controllo o di regolamentazione. Nel 2007, alla viglia della crisi, il sistema bancario
“ufficiale” svolgeva un'attività di intermediazione pari a 11.000 miliardi di dollari. Il
sistema bancario ombra valeva 20.000 miliardi di dollari. Come dire che ogni filiale
bancaria a stelle e strisce aveva alle spalle due filiali “fantasma”, strettamente legate
alle stesse banche, ma al di fuori di ogni controllo.
Nel 2007 questo sistema bancario ombra va in crisi, e le perdite tornano sui bilanci dei
gruppi bancari che a loro volta rischiano il collasso, anche a causa del crollo della
fiducia sui mercati e della conseguente difficoltà di finanziarsi. A cavallo del 2008 gli
Stati devono intervenire con giganteschi piani di salvataggio del sistema finanziario
responsabile della crisi. La Fed, il sistema di banche centrali degli Usa, eroga nei mesi
successivi qualcosa come 16.000 miliardi di dollari al sistema bancario tra prestiti a
tasso agevolato e altre forme di intervento.
In altre parole gli Stati si indebitano, ovvero il mostruoso debito creato dalla finanza
speculativa per moltiplicare i profitti eludendo regole e controlli viene trasferito agli
Stati, senza alcuna condizione. Specularmente, parliamo di un gigantesco assegno in
bianco firmato dai principali governi occidentali alle loro banche. Questa montagna di
debiti mette in difficoltà diversi governi, causando la crisi dei debiti sovrani esplosa in
Europa nel 2011. Ecco allora i piani di austerità, le misure “lacrime e sangue” i tagli al
welfare. In ultima analisi, il debito creato nel sistema bancario ombra è stato trasferito
alle banche, poi agli Stati e da questi ai cittadini. Oggi non c'è più nessuno su cui
scaricarlo. Siamo tutti noi a dovere pagare il conto, ed è un conto molto salato in
termini di disoccupazione, tagli allo stato sociale, svendita dei servizi pubblici ed
essenziali, perdita di diritti acquisiti.
Cerchiamo di evidenziare ancora meglio le diverse cinghie di trasmissione della crisi
dalla finanza-casinò ai cittadini. Primo, il crollo finanziario ha provocato una recessione
globale, ovvero una diminuzione del PIL. Se il parametro fondamentale usato per
valutare lo stato di salute di una nazione è il rapporto tra debito e PIL, la diminuzione
del denominatore provoca un'immediato peggioramento del rapporto. Secondo, anche
il numeratore peggiora, perché recessione significa meno consumi, meno entrate fiscali
(a partire dall'IVA che è un'imposta sui consumi) quindi a parità di spese pubbliche un
deficit maggiore e un aumento del debito. Terzo, con l'indebitamento degli Stati
aumenta l'emissione di titoli di Stato (Bot, Btp e Cct in Italia) per finanziare il debito
stesso. Aumenta l'offerta sui mercati di titoli tedeschi, statunitensi, inglesi, francesi
proprio in un momento di difficoltà, quindi con meno capitali disposti a investire. La
Germania, con un'economia più solida, riesce a piazzare i propri Bund sui mercati,
mentre Paesi come l'Italia hanno maggiori difficoltà, e sono costrette ad aumentare i
tassi di interesse offerti. E' il famigerato spread, che indica proprio la differenza di tasso
di interesse tra i titoli italiani e gli omologhi tedeschi. Quarto, strumenti finanziari derivati
originariamente pensati come contratti simili ad assicurazioni, i CDS, consentono delle
vere e proprie scommesse sul fallimento di Stati e imprese. Montagne di tali titoli
aumentano l'instabilità e la volatilità sui mercati e le difficoltà per gli Stati che subiscono
pesanti attacchi speculativi. Quinto, grandi investitori istituzionali possono operare al di
fuori dei mercati regolamentati, su piattaforme denominate “dark pool” o pozze nere,
eseguendo compravendite al di fuori di qualsiasi controllo o trasparenza. Su tali
piattaforme è possibile vendere sottocosto i titoli di Stato subito prima di un'asta del
governo, in modo da farne crollare il prezzo e costringere il governo di turno a
emissioni a tassi di interesse superiori, aumentando i profitti degli acquirenti.
Riassumendo, una finanza fuori controllo causa la crisi. Viene salvata con i soldi
pubblici, ovvero con i nostri soldi, ricevendo migliaia di miliardi di dollari senza nessuna
condizione o contropartita. A questo punto le difficoltà si spostano su Stati e cittadini.
Vedendo queste difficoltà, lo stesso sistema finanziario attacca gli Stati più deboli per
guadagnarci su. Al culmine del paradosso, le nazioni oberate di debiti devono rivolgersi
ai mercati finanziari per ottenere il finanziamento dei loro debiti pubblici. Da un lato
tutto questo sembra un gigantesco gioco delle tre carte per non riconoscere che i debiti
accumulati nel sistema finanziario sono semplicemente troppi. Dall'altro, a differenza
dei soldi ricevuti solo un paio di anni prima, i mercati finanziari fissano delle condizioni
per ri-prestare i soldi agli Stati. E sono condizioni durissime. Da un lato alti tassi di
interesse, dall'altro delle condizioni molto stringenti. I mercati pretendono garanzie circa
la restituzione dei debiti. Garanzie che prendono la forma dei piani di austerità, del
fiscal compact, del pareggio di bilancio nelle costituzioni e via discorrendo. Non si può
spendere per il welfare, le risorse devono andare al pagamento del debito e a rimettere
a posto i conti pubblici.
Dobbiamo accettare i sacrifici per “restituire” fiducia ai mercati. Restituire fiducia, come
se all'esatto opposto non fosse questa finanza-casinò a dovere radicalmente cambiare
rotta per riconquistarla, la nostra fiducia.
Crisi di chi?
Ancora peggio, mentre noi siamo chiamati a misure “lacrime e sangue” i mercati
finanziari sono lasciati liberi di speculare, come e peggio di prima. Il risultato è che
quella che ci viene presentata come una crisi dei debiti sovrani è ancora e prima di
tutto una crisi bancaria. Molte delle cause che hanno portato il sistema finanziario
vicino al tracollo a cavallo del 2007 – 2008 sono ancora presenti.
Pensiamo al sistema bancario ombra e alla sua dimensione. Negli ultimi anni le autorità
hanno imposto alle banche degli stress-test, ovvero delle prove per misurare se gli
istituti sarebbero in grado di reggere a un nuovo periodo di crisi. Quasi tutte le banche
europee hanno superato la prova. Qual'è però il valore di tali test, nel momento in cui la
metà o più degli attivi sono fuori bilancio e nel sistema ombra? Chi può dire quale sia la
reale situazione del sistema finanziario e cosa succederebbe in caso di nuova crisi?
Questa mancanza di trasparenza porta a un altrettanto pericolosa crisi di fiducia. Le
banche non si prestano più i soldi l'una l'altra, ovvero si è bloccato – o per lo meno
fortemente rallentato – il mercato interbancario, vera e propria linfa vitale che in
condizioni normali assicura la liquidità e la circolazione dei capitali nell'intero sistema.
Un ulteriore pesante motivo di fragilità delle banche europee.
Ancora, ed è forse il motivo di maggiore preoccupazione, ancora oggi molti dei
principali gruppi bancari europei continuano a lavorare con leve finanziarie anche di 30
o 40 a uno, ovvero con 1 euro di capitali propri per 30 o 40 di debiti. Livelli di
indebitamento propri di soggetti marcatamente speculativi quali hedge fund o fondi di
private equity. Con una leva di 40 a 1, basta una perdita del 2,5% per azzerare il
capitale proprio, portando la banca all'insolvenza.
In un momento di difficoltà dell'economia reale, in cui i tassi di sofferenza sui crediti per
molte banche arrivano anche al 5 o 6% come avviene attualmente in Italia, ecco allora
che gli istituti di credito bloccano i prestiti. E' il credit crunch. Molto più semplice
prendere a prestito miliardi dalla BCE al 1% per comprarci titoli di Stato che rendono 5
o 6 volte di più. L'ennesimo fattore di difficoltà e di crisi per il sistema imprenditoriale
che non ha accesso al credito e per l'economia reale dovuto al comportamento
spregiudicato del mondo finanziario.
Nuove regole per il sistema finanziario
In questa situazione, il singolo cittadino si trova spesso perso. Da un lato, le cifre in
gioco appaiono al di fuori della realtà. Dall'altro i meccanismi messi in campo dai
soggetti finanziari sembrano estremamente complicati. E' molto difficile seguire il
funzionamento della finanza, quasi impossibile pensare di potere agire e intervenire in
prima persona. Nello stesso momento, gli impatti sono tali e tanti che è necessario e
urgente un impegno in prima persona. Il cambiamento deve avvenire lungo due
direttrici. Da un lato, potremmo dire dall'alto, occorre un nuovo sistema di regole e di
controlli per limitare lo strapotere delle finanza e per evitarne i peggiori eccessi.
Dall'altro, “dal basso”, serve un impegno diretto di tutti noi in quanto risparmiatori e
clienti delle banche o di altri attori finanziari.
Sul primo versante sono molte le proposte messe in campo negli ultimi tempi da
studiosi di tutto il mondo e dalle organizzazioni e reti della società civile internazionale.
Diminuire la leva finanziaria, separare le banche commerciali da quelle di investimento
(il cosiddetto narrow banking), tassare le transazioni finanziarie, chiudere i paradisi
fiscali, regolamentare i derivati, bloccare la speculazione su cibo e materie prime e via
discorrendo. Nella maggior parte dei casi non ci sono difficoltà tecniche. Sappiamo
cosa bisognerebbe fare e come procedere.
Prendiamo il caso dei paradisi fiscali. Da anni le reti della società civile internazionale
chiedono la rendicontazione Paese per Paese di tutti i dati contabili e di bilancio delle
imprese transnazionali, che oggi devono pubblicare nella gran parte dei casi
unicamente dei dati aggregati. In questo modo, se ho le mie attività produttive in Italia
ma quelle finanziarie a Montecarlo o nel Liechtenstein e devo pubblicare unicamente
un bilancio per l'Europa, posso nascondere i profitti dove più mi conviene. Rendere
pubblico, per ogni giurisdizione, quanto fatturato creo, quanto pago i lavoratori, quanti
profitti realizzo e quante tasse pago sarebbe una delle misure di maggiore efficacia non
solo contro l'evasione e l'elusione fiscale, ma anche nel contrasto alla criminalità
organizzata e al riciclaggio. Da anni se ne parla in sede OCSE o nelle istituzioni
internazionali, senza significativi passi in avanti.
In questo come in moltissimi altri casi è unicamente una questione di volontà politica,
ovvero occorre superare lo scandaloso potere delle lobby finanziare che, a dispetto dei
disastri combinati negli ultimi anni, continuano a opporsi ad ogni forma di
regolamentazione e controllo e in molti casi a procedere a una vera e propria “cattura
del regolatore” in base alla quale sono gli stessi attori della finanza a scrivere le regole
che riguardano il loro operato.
Accanto a queste e altre misure, è dai cittadini che deve partire un vero cambiamento.
Negli ultimi anni milioni di donne e di uomini hanno iniziato a modificare i propri
consumi, avviando forme di consumo critico e interrogandosi sugli impatti sociali e
ambientali legati alle produzioni di beni e servizi. Da tali riflessioni si sono sviluppati
movimenti che oggi hanno una grande rilevanza, anche dal punto di vista economico,
come nel caso del commercio equo e solidale.
Agire in prima persona
Oggi, prima ancora che in ambito economico o finanziario, occorre un cambiamento
culturale. Quanti di noi presterebbero i propri soldi a chi volesse giocarseli al casinò?
Quanti li darebbero a chi li volesse investire in un traffico di mine anti-uomo, per quanto
remunerativo? Eppure quanti di noi domandano alla propria banca, fondo pensione o di
investimento l'utilizzo che viene fatto del nostro denaro? Questo, una volta incanalato
nei meccanismi finanziari internazionali può avere enormi impatti, tanto in positivo
quanto in negativo, sull'economia e la società. Ancora un esempio. A giugno del 2011 la
maggioranza assoluta degli italiani vota un referendum per proibire una volta per tutte il
nucleare nel nostro Paese. Quanti, tra chi è andato a votare, hanno un conto corrente
presso una banca che, anche con i loro risparmi, continua a finanziare progetti di
realizzazione o ampliamento di impianti nucleari, anche a poche centinaia di chilometri
dall'Italia?
Le banche e gli altri attori finanziari giocano un ruolo essenziale nell'attuale sistema
economico, potendo decidere come allocare i capitali che vengono loro affidati. Tali
decisioni hanno impatti fondamentali sull'economia e la società. Prestare denaro per
l'efficienza energetica e le rinnovabili o per il nucleare e i combustibili fossili, finanziare
l'economia reale o la speculazione, investire nel territorio o in qualche paradiso fiscale.
Abbiamo il diritto, e per molti versi il dovere, di chiedere alla nostra banca come intende
utilizzare i nostri risparmi ed esigere una piena trasparenza. In Italia, Banca Etica
pubblica sul proprio sito tutti i finanziamenti concessi a imprese, associazioni e
cooperative. Un esempio concreto di come il famigerato “segreto bancario” non sia
legato a una qualche obbligo legislativo o a una generica riservatezza: se non c'è nulla
da nascondere, non è necessario nascondere nulla. Perché le altre banche non fanno
altrettanto? Perché come clienti e correntisti non le obblighiamo a farlo?
Non si tratta unicamente di una maggiore trasparenza. Mentre i maggiori gruppi
bancari del mondo hanno avuto bisogno, e continuano ad avere bisogno, di
gigantesche iniezioni di capitali pubblici per tenersi in piedi, diversi studi hanno
mostrato come le “banche che fanno le banche”, ovvero raccolgono risparmio per
erogare prestiti a famiglie e imprese, stanno attraversando la crisi con molti meno
problemi. In un momento in cui il sistema bancario italiano presenta tassi di sofferenza,
ovvero la percentuale di prestiti che non vengono restituiti, tra il 5 e il 6%, per Banca
Etica lo stesso dato è inferiore al'1%. Tutto questo anche se molti dei prestiti vengono
accordati a soggetti tradizionalmente ritenuti più deboli economicamente o addirittura
“non bancabili” quali cooperative sociali o piccole associazioni.
Un discorso analogo vale riguardo le nostre scelte finanziarie. Parliamo della massa di
capitali investiti dai fondi di investimento, dai fondi pensione, dalle assicurazioni.
Ancora una volta, Etica Sgr, la società di gestione del risparmio della rete di Banca
Etica, oltre a realizzare una accurata analisi sociale e ambientale delle imprese e degli
Stati che possono entrare nel proprio “universo investibile”, pubblica sul proprio sito
l'elenco completo di Stati e imprese. La riservatezza commerciale non è e non può
essere un alibi di fronte al nostro diritto di sapere nel dettagli come vengono utilizzati i
nostri risparmi.
E i margini di intervento sono anche altri. Come azionisti possiamo intervenire nelle
assemblee delle imprese nelle quali investiamo. E' quello che cercano di fare alcune
iniziative di azionariato attivo o azionariato critico, ricordando anche ai piccoli
risparmiatori che essere azionisti significa avere dei doveri, e non solo dei diritti.
Accanto a un profitto atteso e alla riscossione di un dividendo, essere azionista di
un'impresa significa essere proprietario di una quota, per quanto piccola, della stessa
impresa, ovvero doversi occupare anche di come si comporta e genera tali profitti, con
quali impatti sociali e ambientali e quali conseguenze.
Non possiamo continuare a lamentarci per l'inettitudine della politica, ancora meno
prendercela con i generici “mercati”. Nel caso del mercato finanziario, gran parte della
materia prima la mettiamo noi. Singolarmente i nostri risparmi possono essere molto
limitati, ma tutti insieme hanno un enorme potere. E' ora di esercitare questo potere.
Oggi si moltiplicano le pubblicità di banche che offrono rendimenti del 4 o 5% sui conti
correnti. Considerando che la banca, oltre all'interesse corrisposto deve pagare
stipendi, affitti e dividendi agli azionisti, in quali attività investe per garantire a noi clienti
tali tassi di interesse? Quali progetti danno rendimenti tanto elevati, considerando che
l'economia italiana è in recessione? Il problema è esattamente che non lo sappiamo. E'
allora forte il sospetto che per realizzare margini così elevati, i nostri risparmi vengano
incanalati in attività speculative. E a pagare le spese di questa speculazione saremo
nuovamente noi. Da un lato avremo poche decine di euro in più sul conto corrente.
Dall'altro il rischio è di un peggioramento della recessione, un aggravarsi della crisi
delle finanze pubbliche, un aumento del prezzo di beni e servizi.
Nelle avventure del Barone di Munchausen c'è un passaggio in cui il protagonista esce
da una palude nella quale era finito tirandosi dai lacci delle proprie scarpe. Nella realtà
le cose funzionano diversamente. Se il PIL del mondo cresce del 2 o del 3% l'anno e gli
speculatori pretendono tassi di interesse sui loro investimenti finanziari 5 o 10 volte
superiori, abbiamo un problema. Nel lungo periodo, le possibilità sono solamente due.
O la finanza speculativa continua a risucchiare risorse in misura sempre crescente
dall'economia reale, o si creano delle gigantesche bolle sul nulla che prima o poi
esplodono. Oggi ci troviamo in un terribile mix di entrambe queste situazioni.
In conclusione, per uscire dalla crisi il passo più importante deve consistere nel
riportare la finanza a essere uno strumento al servizio dell'economia e della società,
non l'opposto come avviene oggi. Per questo è necessario il doppio approccio
evidenziato in precedenza. Da un lato sostenere le campagne e le iniziative che mirano
a regolamentare la finanza e a impedire i comportamenti più rischiosi e speculativi.
Dall'altra evitare di essere, oltre che vittime, anche complici inconsapevoli di questo
sistema. Se la nostra banca, il nostro gestore di fondi o la nostra assicurazione
continua a giocare con i nostri risparmi come con le fiches di un casinò abbiamo una
risposta tanto semplice quanto efficace: non con i nostri soldi.
Andrea Baranes – Fondazione Culturale Responsabilità Etica
baranes.fondazione@bancaetica.org