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Se a riconoscere le coppie di fatto è solo il fisco
Gentile Augias, per professione studio le sentenze delle commissioni tributarie. Un accertamento in base al redditometro ha attirato la mia attenzione. La commissione ha annullato il ricorso perché “ in caso di maggior reddito in sede di accertamento la prova contraria del contribuente può essere fornita evidenziando il contributo finanziario del coniuge o dei figli”. Dov’è la particolarità? Nel caso non si trattasse di una famiglia non canonica bensì di fatto. La commissione tributaria ha cioè riconosciuto un diritto che è ancora oggetto di pretestuose analisi e prese di posizione dei cantori della sacralità della famiglia (la prima causa di morte per le donne avviene dai mariti, compagni o fidanzati) “legittima” nel timore del riconoscimento d’una coppia gay. Notevole che la sentenza faccia riferimento ai principi di solidarietà propri della famiglia formalmente costituita estendendoli anche ai rapporti non formalizzati. Quale scoramento che ai fini tributari venga riconosciuta una valenza alle coppie di fatto mentre, se uno viene ricoverato in ospedale il medico non può dare informazioni al compagno e alla compagna perché non sposati. Strani i legislatori incapaci di affrontare una situazione che ha risvolti spesso dolorosi, ma che soprattutto urla contro il concetto di civiltà. Ma dove viviamo?
Sebastiano Sanguigni
La risposta di Corrado Augias
Dove viviamo? In Italia gentile Sanguigni, ovvero in una nazione nominalmente europea che non si è mai realmente affrancata dalla circostanza storica di essere stata per secoli dominio di una teocrazia per la sua parte centrale (non è un caso che gli altri stati europei sono laici o tendono alla laicità). E’ perenne dilemma che ha angustiato sommi intelletti, da Dante a Francesco d’Assisi, da Leopardi a Manzoni, da Gramsci a Bobbio – dunque cattolici e non cattolici – circa il potere temporale esercitato da una gerarchia di anziani celibi non sempre capaci, per la specialità della loro condizione, di capire le esigenze e gli affanni delle persone diciamo così normali. Quando scrivo di questi problemi capita che arrivino lettere di cattolici ultrà che mi rimproverano di occuparmi troppo di evanescenti e marginali diritti di una minoranza. A qualche insulto che di tanto in tanto scivola dalla penna, l’argomento usato è in genere che ci sono problemi ben più gravi di cui prendersi cura. Lo so anch’io che ci sono problemi più gravi, ci sono sempre problemi più gravi, di qualunque cosa si tratti. Ci sono però anche questioni che segnano il livello di civiltà di un popolo e di chi ne fa le leggi. Come si misuri questo livello lo dice per esempio la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti che tra i diritti inalienabili degli individui elenca: “La libertà, la vita, il perseguimento della felicità”. Se non ricercare la felicità quanto meno alleviare il dolore resta un buon obiettivo civile. Tanto più quando non costa nulla.