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16 agosto 2014 6 16 /08 /agosto /2014 17:25
"Vicini al suo compagno" e il prete benedice la coppia gay

Il gesto durante le esequie di un architetto genovese morto di infarto. Il sacerdote: "La Chiesa deve riconoscere tutti i legami affettivi"

Lo stato ha dimosato meno sensibilità, non ho potuto nemmeno chiusere l'utenza che era intestat a lui.

La coppia omosessuale genovese Emanuele Ricci e Francesco Metrano (bussalino) In una parrocchia in cui si celebra il funerale di un uomo morto tragicamente il prete pronuncia parole semplici, ma che non passano inosservate: "Preghiamo anche per Emanuele, compagno di Francesco". Una sola frase, ma è quella con cui, in una chiesa, viene riconosciuto agli omosessuali il diritto al conforto e alla consolazione della fede. Un episodio importante in un paese in cui i gay, dallo Stato laico, non ottengono ancora gli stessi diritti degli eterosessuali.


Un infarto, la fine improvvisa e tragica di un'unione ventennale, un funerale, l'affetto degli amici. Momenti dedicati al dolore, al raccoglimento, quasi sempre privati. Ma Emanuele Ricci, 43 enne professore di inglese in un liceo di Genova, ha deciso di dare al suo lutto una valenza pubblica. Perché Emanuele e Francesco Metrano, un architetto di 54 anni morto all'improvviso pochi giorni fa mentre era in visita alla sorella in Toscana, erano dal 1994 una coppia a tutti gli effetti. 

Ma essendo omosessuali Emanuele pensava che antichi e nuovi pregiudizi si sarebbero trasformati in imbarazzati silenzi al momento clou delle condoglianze. Invece. "Invece è accaduta una cosa inaspettata  -  racconta  -  a cominciare dai miei studenti che hanno dimostrato di essere una generazione che si è disfatta dei vecchi preconcetti. E poi c'è stato quel breve ma importantissimo momento in una giornata tanto terribile".

È successo a Porto Santo Stefano, paese di cui era originario Francesco, nell'omonima parrocchia della località all'Argentario. "Il parroco
 -  continua Emanuele  -  don Sandro, che mi conosce bene perché da Genova in estate andavamo sempre a trascorrere qualche giorno dai parenti di Francesco, ha citato anche me assieme ai famigliari all'inizio della cerimonia. Sentire pronunciare il mio nome è stato ottenere un riconoscimento non personale, ma per entrambi, per la storia mia e di Francesco".

Don Sandro Lusini, docente di teologia e parroco dell'Argentario, non ha difficoltà a spiegare: "Non è stato un gesto deciso per compiacere una persona ma del tutto naturale. Ho voluto accomunare ai famigliari di Francesco anche Emanuele, che è stato il suo compagno e amico da una vita. Conosco entrambi da tempo, si preparavano a partire per una vacanza nei paesi baschi e gli avevo anche chiesto di fermarsi a Lourdes per me, per una preghiera". Si potrebbe pensare che questa apertura sia il frutto del vento che soffia da Roma, dopo l'avvento di papa Francesco. "Anche se è vero che il nuovo Papa sta mandando segnali forti, per quanto riguarda il sottoscritto non è affatto così  -  risponde il sacerdote toscano  -  . Anche in passato, rispetto a certi temi, ho avuto lo stesso atteggiamento che ho tenuto in occasione del funerale di Francesco. Credo che, a prescindere da qualsiasi categoria, i legami affettivi vadano riconosciuti. Per questo ho citato Emanuele in chiesa".

Paradossalmente, è la Chiesa che sembra essere più sensibile a certi temi rispetto allo Stato laico. "Non credo  -  dice il professore che a Genova insegna al liceo scientifico Primo Levi  -  che tutta la Chiesa abbia lo spirito di quel parroco, ma è un dato di fatto che la morte di Francesco è stata dolorosa anche per alcune cose accadute dopo, che mi hanno fatto scoprire di essere un cittadino diverso per il mio paese. Episodi banali come non avere il diritto di chiudere le utenze di un appartamento che Francesco possedeva nel centro storico. Ci sono poi situazioni spiacevoli di cui parlo con difficoltà perché potrebbero essere equivocate. Io ho un mio stipendio, non ho bisogno di soldi, ma Francesco aveva versato con sacrificio 25 anni di contributi alla cassa di previdenza degli architetti che ora andranno persi. Se fossimo stati una coppia etero avrei avuto diritto a una reversibilità e avrei così potuto, ad esempio, aiutare i suoi nipoti. In situazioni diverse dalla mia è un'ingiustizia che può rendere drammatica la vita di una persona".

Il desiderio di raccontare questo momento privato è venuto ad Emanuele soprattutto di fronte all'affetto e alla solidarietà dimostrata dai suoi studenti, attuali ed ex. "Il giorno dopo la morte di Francesco  -  forse per sfogarmi, dopo aver parlato con due care amiche, Anna e Maria, ho scritto un breve post su Facebook. Da quel momento sono arrivate decine di commenti, e poi messaggi privati e ancora sms e lettere tradizionali. A scuola non ho mai parlato della mia vita privata ma neppure ho mai nascosto la mia omosessualità con i colleghi più amici. Semplicemente ho fatto come tutti gli insegnanti, a prescindere dalle loro tendenze e gusti. Per questo forse non mi aspettavo, sbagliando, questa risposta dai ragazzi. Ho ricevuto anche un bellissimo post da un ex allievo con idee di destra, con lui in classe avevamo anche avuto discussioni accese. Ma di fronte al mio dolore non ha avuto nessun problema a riconoscere che l'amore non ha percorsi prestabiliti ".

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2 dicembre 2013 1 02 /12 /dicembre /2013 16:45

Io, maestra in un corpo da uomo così racconto ai  bambini perché voglio cambiare sesso

La dignità, il rispetto, la responsabilità sono attributi delle persone. Quando ero a scuola mi hanno insegnato che non si possono confrontare qualità diverse, es.  litri con metri. Dal punto di vista della democrazia in una società essa si afferma quando una maggioranza rispetta i diritti delle minoranze  e dei singoli, non perché ha molti voti e decide, non  rispetta, non considera coloro che non appartengono a quella maggioranza. Il rispetto dei diritti di tutti non è mai un problema. Altrimenti  quando frequentai la  scuola e studiai la guerra di Troia non capii perchè Achille ci tenesse tanto a Patroclo.  Nessuno mi disse che lui lo amava. Le leggi italiane attualmente non accettano ciò che era normale per i Greci (dal cui popolo deriva la democrazia). Le persone sono vitali, felici quando si accettono e sono accettate, rispettate per quello che sono, altrimenti sono disastri. Le operazioni hanno esito positivo se ciò che uno diventa corrisponde al proprio mondo interiore, al proprio sentire (ndr)

 "I miei alunni mi fanno domande senza peli sulla lingua: insegno che le persone diverse non vanno prese in giro.

 Mai avuto problemi con i genitori, qualche tensione c'è stata con una dirigente che voleva farmi vestire da maschio"

I precedenti

VITTORIA BANCARIA. A Udine Federico Casamassima  nel 2006 sceglie di diventare Vittoria.

PATTINAGGIO ARTISTICO. Fabio è stato  campione di pattinaggio artistico

ALESSANDRA LEGALE. A Conegliano Alessandro Gracis, già sposato, cambia sesso nel 2012

VITTORIA ATTRICE: A Roma Giuseppe Schisano ora recita come Vittoria nel film di Albanese

dal nostro inviato SIMONA POLI

                                                                      Greta nella sua casa a Livorno LIVORNO - Per i bambini non si chiama né Fabio né Greta. Per loro, a scuola, è solo "la maestra". Amatissima. Coccolona, avvolgente, con gli occhi azzurri che sorridono sempre, la voce calda e bassa da cantante rock e in borsetta le foto della sua casa affacciata sul mare di Antignano.

La sua casa è piena zeppa di bambole di pezza, peluche, piccoli oggetti colorati, una collezione di tamburelli siciliani e sulle pareti decine di disegni regalati dagli alunni. Mentre racconta con quanta difficoltà cerchi di uscire dal corpo maschile che la imprigiona da 47 anni, Greta tiene in braccio la cagnetta Sara, quattro chili di tenerezza come dice lei, "una donnina tutta pepe che sembra Sandra Mondaini a quattro zampe, il mio unico vero amore".

In che momento Fabio ha deciso di diventare Greta?
"Il coraggio di iniziare la terapia ormonale l'ho trovato solo due anni fa, ora finalmente il giudice mi ha dato il via libera per cambiare sesso. Ho già preso appuntamento col chirurgo di Pisa. Mi fa tanta paura l'idea dell'intervento, so che sarà molto doloroso e che mi aspetta una lunga riabilitazione. Però davvero per me sarà una liberazione dire addio a questo organo maschile che mi è sempre e solo servito per fare pipì. Non avrò motivi per rimpiangerlo".

Per tre volte Fabio è stato campione italiano di pattinaggio artistico, per anni ha fatto l'allenatore, fino al 2011 era vestito da uomo. Quando è nata Greta?
"Greta c'era fin dall'inizio, io non mi sono mai sentita gay ma semplicemente una donna nata nel corpo sbagliato. I trans mi facevano addirittura paura. Fino a quando pattinavo ed avevo successo il mio disagio non prendeva il sopravvento: soffrivo, piangevo, mi innamoravo di uomini a cui non passava neppure per l'anticamera del cervello di ricambiarmi. Poi sono crollata, non ero mai contenta di nulla, mi sentivo un rifiuto umano. Mai sono stata attratta da una donna, anche se come uomo ero belloccio e qualcuna mi corteggiava. A sedici anni sembravo il sosia di David Bowie e mi vestivo stravagante come lui. Adoro le donne, sia chiaro, il mio ideale di bellezza sono Valeria Marini e la D'Urso, magari trovassi un chirurgo che mi fa diventare una bambolona. Ma neppure a loro potrei dare un bacio".

I bambini si accorgono della sua particolarità?
"Deh, figuriamoci, quelli vedono ogni cosa. E poi io faccio tante supplenze brevi qui a Livorno e quindi è capitato che nella stessa classe sia stata un anno il maestro e l'anno dopo la maestra. I bimbi mi fanno un sacco di domande, "hai il seno?" mi dicono oppure "ma te sei un uomo o una donna?", così, diretti, senza peli sulla lingua. E io rispondo, spiego quello che posso per la loro età, insegno che le persone diverse come me non vanno prese in giro. Con i genitori per fortuna non ho mai avuto problemi, magari sparlano dietro le spalle ma con la preside non protestano".

Si aspettava di trovare meno comprensione?
"Qualche momento di tensione c'è stato con una dirigente scolastica che mi chiedeva lo scorso anno di vestirmi da uomo, anche se ormai mi ero fatta l'operazione al seno e al naso e per la strada mi chiamavano signora, cosa che mi fa un gran piacere tra l'altro. Credo che tutto dipenda dai bambini, se loro tornano a casa contenti non ci sono ragioni per piantare grane, no?".

Elena, ex maestra e nonna di un alunno, sostiene che lei sia un'insegnante straordinaria "capace di conquistare cuore e cervello".
"Non lo so se sia proprio così, a volte penso di non essere mai cresciuta neppure io, faccio molte battute, i bimbi ridono e poi quando c'è bisogno di essere seri stanno attenti. Li chiamo con un mare di nomignoli inventati, sembro la Littizzetto con Fazio, li tormento a fin di bene, capito? Mi piace tanto stare con i bambini, loro mi hanno aiutato a superare le mie paturnie".

Cosa le manca di più nella sua vita di oggi?
"L'amore ovviamente, non ne ho mai avuto uno ricambiato. Mi piacciono i calciatori, quelli un po' maschiacci e con le gambe storte alla Gattuso, per me uno degli uomini più belli del mondo è l'ex giocatore del Livorno Marco Amelia. Ora che grazie agli ormoni sono più femminile cominciò ad acquistare un po' di sicurezza, prima non mi mettevo neppure in pista, adesso sento di poter gareggiare. Anche se a questa età posso competere al massimo con Tina Pica, ma insomma...".

Come le piace vestirsi?
"Da signora, elegante. Adoro mettere in mostra il seno, anche a costo di rischiare la broncopolmonite con questo freddo. La mattina quando sbrigo le faccende sono Cenerentola ma quando esco di casa mi trasformo in Esmeralda. E se vedo un uomo che mi guarda, beh, mi sento gratificata".

Luxuria è una sua amica, le dà anche qualche consiglio?
"Di difendermi sempre e io lo faccio. Anche sul bus quando vedo qualche ragazzina che ridacchia mi avvicino e le dico: "Ma te ti sei vista? Sei più brutta di me". Zitta non ci sto davvero".

Un desiderio.
"Morire come avrei voluto nascere: donna. Sulla mia tomba ci dovrà essere scritto Greta Franchini".

I TRANSGENDER IN ITALIA

50.000 le persone transessuali in italia di cui 40% sono operate  o sono in attesa di operazione

GLI INTERVENTI 100 operazioni ogni anno fra gli adulti di cui

60% da uomo a donna

40% da donna a uomo

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23 novembre 2013 6 23 /11 /novembre /2013 11:23

 

NE' MASCHIO NÉ FEMMINA (PER ORA): SONO I BAMBINI “ARCOBALENO” CHE, A SEI O SETTE ANNI, NON SI RICONOSCONO NEL LORO SESSO MA SONO TROPPO PICCOLI PER ESSERE DEFINITI CON CERTEZZA “GAY”

Negli Stati Uniti, in poco tempo i blog sui bambini arcobaleno, che si travestono e giocano con l’identità sessuale

Anna Lombardi per "il Venerdì - la Repubblica"

UN BAMBINO ARCOBALENO

New York. Boo ha 7 anni e da quando ha imparato a parlare adora Scooby Doo: così lo scorso Halloween ha chiesto di vestire come Dafne, la protagonista dai capelli rossi del famoso cartone animato. C.J. ha un anno di meno, preferisce le principessa Disney e in generale tutto ciò che luccica. Da quando ha scoperto Barbie, non l'ha più lasciata: e a casa vuol vestire proprio come la sua bambola preferita.

Anche Twirl ha 6 anni: ama la danza e il suo tutù rosa. Di recente ha preso una cotta, l'ha confidato alla mamma: «Mi piace un ragazzino della mia classe...». E poi c'è Jo, che è appena un po' più grande. Ha 8 anni e una cotta per Blaine, protagonista della serie tv Glee. Blaine, sì: il personaggio gay. Perché Boo, C.J., Twirl e Jo sono maschi. «Bambini» come spiega candidamente C.J. a chiunque glielo chieda «che amano cose da bambine». Ecco i bambini arcobaleno ormai famosi in tutta l'America.

Le loro mamme hanno deciso di superare lo sconcerto degli adulti, il senso di isolamento e la paura del bullismo raccontando le loro storie in rete: piccole grandi storie quotidiane di bambini che non si riconoscono nel genere in cui sono incasellati dall'anagrafe. Negli Stati Uniti, in poco tempo i loro blog sono diventati fenomeni. Ricevono migliaia di lettere al giorno, sono invitate ai talk show, e Lori Duron, una di loro, dal suo diario web ha perfino tratto un libro che è già un best seller, intitolato Raising my rainbow, crescendo il mio arcobaleno: che come si sa è la bandiera del Gay pride. Ma davvero un bambino sotto i 10 anni può considerarsi gay?

Giocare con le bambole, amare i colori tenui, è un segnale definitivo che una mamma deve cogliere? A che età si scopre di essere attratti da persone dello stesso sesso? Le mamme blogger dicono che per ora sono solo «aperte all'eventualità». Per ora, detto altrimenti, definiscono i loro figli non conforming, non convenzionali, o creative gender: di genere creativo.

Troppo piccoli per essere definiti con certezza gay: anche se Jo - che poi sta per Johnny - a 8 anni ha già fatto il suo outing con la mamma: «Ho una cotta per Blaine, quanto vorrei incontrarlo... Sai? Sono gay come lui». Ma già così grandi da non rientrare, da non riconoscersi nei canoni sociali. Possibile? I primi studi in questo senso ci sono già: Michael Stebbins, genetista e autore nel 2007 di un saggio intitolato Sex, Drugs, and Dna, sostiene che il 75 per cento dei bambini non conforming da grandi saranno gay.

Uno studio che le mamme blogger conoscono bene. Proprio per questo, spiegano, vogliono crescere i loro figli senza bisogno che un domani ci siano travagliate crisi di identità e drammatici coming out. Vogliono che crescano sentendosi amati: così come sono.

LORI DURON CON SUO FIGLIO

«Chi pensa al sesso per questi bambini, è fuori strada» spiega Amelia («Il cognome non lo dico perché abito in una città molto conservatrice»), mamma di Jo e di altri due maschietti, autrice di un cliccatissimo blog ospitato dall'Huffington Post America. «A quell'età non si tratta di sesso ma di sentimenti lievi. Mio figlio ha solo 8 anni, non ha familiarità con gli atti sessuali: essere gay, per lui, è una questione di empatia, atmosfera, emozioni.

Proprio come per tutti i bambini della sua età. La sua cotta per Blaine è tenera: esattamente come quella delle bambine della sua età per Justin Bieber. Arrossisce, pensa a tenersi per mano, a baci teneri sulle guance. Ma nonostante questo sono convinta che il suo vocabolario e la sua percezione di sé siano abbastanza vasti da permettergli di esprimere chi sente di essere».

Il primo coming out materno lo ha fatto Sarah Manley, mamma di Boo, sul blog Nerdy Apple, oltre un anno fa: «Mio figlio è gay. O forse no. Non importa. È mio figlio. E se qualcuno ha qualcosa in contrario vada a leggere un altro blog»: la foto di Boo vestito da Dafne a coronare il racconto. Il post è diventato subito virale: condiviso 4 milioni di volte in poche ore, commentato da 50 mila persone. «Sono arrivate tantissime lettere. Critiche, insulti: ma anche tanti che si riconoscevano. Altre mamme. E adulti che scrivevano: "So di essere gay fin da quando ero un bambino..."».

Lori Duron, moglie di un poliziotto e mamma di due bambini, C.J. e Chase, due anni più grande del fratellino creativo e che - specifica - «ha gli stessi gusti maschili del padre», nel suo libro racconta dubbi e tenerezze, la guerra dei giocattoli e quella delle nonne, l'imbarazzo e la curiosità di fratelli e vicini.

«Con altre mamme che mi hanno contattato» dice al Venerdì dalla California, dove vive, «organizziamo una merenda, per ora mensile, perché purtroppo abitiamo tutti in città diverse. Facciamo incontrare i nostri bambini per non farli sentire unici, isolati. L'ultima volta si sono messi addosso ogni tipo di stoffa colorata e hanno organizzato una sfilata di moda per noi genitori. Sapesse che festa! Ma lo facciamo anche per non far sentire soli i loro fratelli e sorelle, anche loro invitati a giocare e a confrontarsi». Già: perché questi genitori sanno benissimo che tutti i loro figli, non solo i creativi, sono a rischio bullismo.

«A Chase, mio figlio maggiore, sono già accadute delle cose spiacevoli legate alla stravaganza di suo fratello» spiega Duron. «E nel futuro, temiamo che potrebbe essere peggio. Per ora li spingiamo ad essere educati, sempre. Ma se hanno l'impressione che le domande siano inopportune, che possano metterli a disagio, aggiungiamo anche che devono sentirsi liberi di divagare. Non devono spiegare per forza tutto a tutti». Sono tanti - prosegue - coloro che non capiscono: che si sentono in diritto di giudicare.

ALCUNI BAMBINI AL GAY PRIDE

«C'è chi mi ha detto che mio figlio è così perché volevo una femmina, che l'ho spinto io a certi comportamenti. Ma è falso: io ho cresciuto i miei due figli allo stesso modo: è che sono davvero diversi. Fra mille dubbi e tormenti, con mio marito abbiamo scelto di lasciar esprimere C.J., perché vediamo che quando lo fa è davvero felice: naturalmente con i limiti che si mettono a tutti i bambini. Sì, certo, lo sosteniamo: ma non è libero di fare quel che vuole. Quanti giovani gay, invece, non sono sostenuti dai genitori?

Si tengono tutto dentro: e hanno un tormentato accesso alla vita. Noi vogliamo solo che nostro figlio cresca sereno. Conosciamo la differenza fra spingerlo e sostenerlo». E la bambine? Ci sono bambine di genere creativo? «Per le bambine è insieme più facile e più difficile capire chi sono» spiega Duron.

«La società è meno ostile verso bambine coi capelli corti, che vogliono giocare a calcio e indossare solo jeans. Sono considerate forti. Mentre un bambino che vuol vestire da principessa: beh, quello innervosisce un sacco di gente». «Quando mio figlio mi disse di essere gay, due anni fa, sorrisi: era così piccolo...» racconta Amelia.

IL BLOG NERDY APPLE

«E voglio sottolineare: fu lui a dirlo a me, non io a lui. Certo non mi sognai di contraddirlo. Sarebbe stato molto irrispettoso nei suoi confronti. Ma nemmeno di assecondarlo. Nel tempo non ha mai cambiato idea e due anni sono tanti nella vita di un bambino. Così sono andata a parlare con i suoi insegnanti a scuola, spiegando come volevamo crescerlo. Ci hanno compreso e sostenuto. Il preside ha subito riunito tutti gli insegnanti della scuola dicendo che un bambino aveva fatto il suo coming out. Nessun discorso omofobo, nessun atto di bullismo sarebbe stato tollerato».

La società americana è dunque così aperta? «Siamo stati fortunati. Sappiamo delle difficoltà di altre famiglie. Ma sono convinta che i nostri bambini sono solo la punta di un iceberg. Più famiglie saranno pronte ad ascoltare i loro figli, più questi ragazzi cresceranno senza timori. Sa cosa vuol dire? Che ci sarà meno bullismo, meno isolamento che porta a gesti estremi. Se la società non è pronta, la famiglia deve esserlo: perché è la famiglia che cambia la società».

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20 novembre 2013 3 20 /11 /novembre /2013 15:37

Bologna segue la Cassazione: bimba di tre anni in affido a una coppia gay

Storica decisione del Tribunale minorile. La piccola vivrà per due anni con due 50enni.

Storica decisione del Tribunale minorile. La piccola vivrà per due anni con due 50enni. Ok dei servizi sociali, no del pm

BOLOGNA - Con un provvedimento forse senza precedenti, e che di certo farà discutere, il Tribunale dei minori di Bologna decide di dare in affidamento temporaneo una minore a una coppia omosessuale per due anni. I protagonisti di questa storia sono due uomini di mezza età — la loro è una relazione lunga e consolidata, formano una coppia solida, insomma, secondo amici, servizi sociali e anche secondo i giudici — e una bimba di tre anni che vive in un contesto familiare difficile, come sempre accade per i bambini che vengono dati in affidamento o, in casi ancora peggiori, in adozione.  I due uomini convivono da tempo, hanno un lavoro e un buon reddito, sono una coppia 'stabile e affidabile' secondo i servizi sociali, che - come i giudici - hanno dato parere favorevole all'affidamento, ritenendo che ci fossero tutte le condizioni di serenità e benessere richieste dalla legge. La piccola vive in un contesto familiare difficile nella stessa città e conosce bene i due gay, tanto da chiamarli 'zii' sebbene non vi sia tra loro alcun legame di parentela.

Genova, bambina affidata a due mamme gay. "Da cinque anni vivono tutte felici"

Le donne erano vicine dei genitori della piccola, che hanno gravi problemi di disagio. Una di loro ha avvertito i giudici della sua omosessualità e il tribunale ha confermato l'affidamento. Le verifiche hanno sempre dato esito positivo.

di MARCO PREVE GENOVA - Per la piccola Marta, che all'epoca aveva cinque anni, quella giovane donna, Paola, non era solo la vicina di casa, ma anche una sorta di baby-sitter che si occupava di lei quando la mamma era incapace di seguirla, persa dietro ai suoi fantasmi. Così i giudici, quando hanno dovuto trovarle una famiglia, non hanno avuto dubbi. Il tribunale dei Minori di Genova e gli assistenti sociali nel cercare una famiglia o una persona cui affidare Marta - è un nome di fantasia così come quello di Paola - hanno pensato alla vicina. Ma il giorno in cui è stata convocata per la pratica di affido, Paola ha voluto chiarire una circostanza che riteneva importante: "Voglio che sappiate che io ho una relazione con una donna con la quale convivo da tempo".

Non fu un'informazione insignificante per i giudici e gli psicologi, perché nel momento in cui un bambino viene trasferito ad un'altra famiglia devono essere analizzati tutti i fattori potenzialmente traumatici, quelli che rappresentano un cambiamento significativo rispetto alla situazione originaria. Quindi una città diversa, consuetudini mutate, altri bambini presenti nel nuovo nucleo, e anche le abitudini, il carattere e lo stile di vita del genitore affidatario.

Oggi, a quasi sei anni di distanza, la valutazione positiva da parte del Tribunale si può dire sia stata una scelta felice.

La bambina, che ha ormai dieci anni, ha un'ottima intesa affettiva con la coppia lesbica con cui vive in quello che è un affidamento reversibile. Ossia, nel momento in cui la madre naturale dovesse ritrovare il suo equilibrio, nonché una minima indipendenza economica, potrebbe riprendersi la figlia. Nel 2007, quando questa storia ha inizio, la mamma e il papà di Marta (l'uomo è quasi sempre assente) sono seguiti dai servizi sociali. Entrambi hanno gravi problemi di disagio e gli assistenti sociali segnalano al Tribunale dei Minori che non sono in grado di occuparsi della figlia. Paola, che si era già occupata più volte della bimba, si offre per l'affido e il Tribunale, dopo aver istruito la pratica, decide che non ci sono ostacoli. Nelle periodiche verifiche cui vengono sottoposti tutti gli affidamenti non solo non emergono problemi, ma Marta dimostra di essere molto affezionata a Paola e alla sua compagna. La bambina può anche incontrare periodicamente, e alla presenza di una psicologa, la madre naturale, la quale non solleva alcuna obiezione e non mostra alcuna conflittualità nei confronti della coppia con cui la figlia sta crescendo.

Dopo una storia famigliare tormentata, dai resoconti delle assistenti sociali, sembra che Marta sia riuscita a recuperare una serenità, che appariva seriamente compromessa, grazie all'affetto e alle attenzioni di due genitori dello stesso sesso.

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8 novembre 2013 5 08 /11 /novembre /2013 21:42

In  Italia ci sono circa 5.000 casi all’anno di bimbi il cui apparato sessuale è incerto; la natura, la vita non ha definito il loro genere.

 Quando ero a scuola mi hanno insegnato  che non si possono confrontare generi diversi: per esempio kilometri e litri. Questo vale anche per gli esseri umani. Il rispetto e la dignità vanno alle persone, non ai generi. Il sesso è importante per la propria identità, ma ancora più importanti sono le fantasie, le emozioni, le sensazioni, la comprensione, l’empatia , la compassione.

Sono anche molto importanti le reazioni e il comportamento di chi si prende cura dei bimbi, di chi li ama, delle persone con cui entrano in relazione, che saranno consigliate da dei professionisti  e degli individui competenti. Decisivo è se i bimbi si sentono accettati per come sono e amati.

   Ci sono alcuni ospedali e centri a cui sono arrivate richieste di intervento chirurgico per definire il sesso in questi casi incerti. Ma bisogna fare attenzione che l’intervento chirurgico sul corpo può tranquillizzare in certi casi, ma non è risolutivo perché molto spesso una operazione non è sufficiente. Ma quello che bisogna sostenere è l’evoluzione e lo sviluppo dei bimbi e intervenire se questo corrisponde al loro mondo interiore, al loro desiderio, al loro sentire. Lo sviluppo e la crescita sono sempre personali, non ci sono interventi e azioni che vanno bene per tutti e in generale. Ma è lo sviluppo e l’evoluzione della vita  che porterà a orientarsi in un modo  o nell’altro, come per ciascuna persona. (ndr)

 

"Non è né maschio né femmina" E per i genitori diventa un dramma

 

Aumentano le segnalazioni di neonati con anomalie agli organi genitali. Succede quando la combinazione dei cromosomi XX e XY subisce delle varianti. Dalla terapia ormonale all'intervento chirurgico ecco tutte le soluzioni possibili e i loro risvolti psicologici. Per le mamme, i papà e i bambini

ROMA - Né maschio, né femmina. Un nastro rosa a tratti azzurro. Sono i neonati dal sesso incerto. Un tema delicato, che in Italia coinvolge un bambino su 5mila. E oggi aumentano le segnalazioni di nuovi nati con anomalie agli organi genitali. Lo rivelano gli ambulatori degli ospedali che negli ultimi 5 anni hanno registrato  un incremento del 5%, con picchi del 10%. Secondo gli esperti le richieste sono cresciute rispetto al passato per una maggior consapevolezza del problema da parte delle famiglie, che un tempo tendevano a 'nascondere' questi figli. I casi sono 5-6mila su tutto il territorio nazionale.

Combinazioni diverse di cromosomi. Nel centro del San Camillo di Roma, ma anche in quello del San Raffaele di Milano, del Policlinico Federico II di Napoli e del Sant'Orsola Malpighi di Bologna si contano sempre più pazienti che  vengono classificati come affetti da Dsd (Disordini della differenziazione sessuale), un termine che racchiude varie patologie e spesso coincide con un'anomalia  cromosomica o  anatomica o una disfunzione ormonale. Succede quando il bambino ha una combinazione di cromosomi diversa da XX e XY, femminile e maschile.  A volte è XXY, altre presenta combinazioni diverse in varie cellule del corpo. Fra i vari casi c'è la sindrome di Morris o delle Belle donne, bambini con patrimonio cromosomico XY in cui il testosterone non riesce a svolgere la sua funzione virilizzante.  "Recentemente è aumentata la consapevolezza dei genitori di fronte a situazioni di questo tipo e c'è la volontà di non nascondere il problema", spiega il professor Lima, direttore Chirurgia pediatrica dell'ospedale Sant'Orsola Malpighi di Bologna. "Ci arrivano ogni anno una decina di casi di neonati 'con genitali ambigui'. Seguiamo pazienti da tutta l'Italia".

Chirurgo non sempre necessario. In questi casi non sempre è necessario un intervento chirurgico, che in genere è consigliato entro l'anno. Non sono i genitori a scegliere che sesso dare al figlio, la decisione viene presa di volta in volta in base alla cartella clinica. "Il numero di casi di Dsd è effettivamente aumentato negli anni per una migliore conoscenza dell'argomento e quindi  una maggiore capacità degli operatori sanitari  a riconoscere i casi. Lo abbiamo verificato in Campania e all'ospedale Federico II", spiega Mariacarolina Salerno pediatra endocrinologa del Dipartimento di pediatria dell'università Federico II di Napoli "Dsd è un termine che racchiude varie patologie, tutte complesse e di difficile gestione.  La diagnosi di iperplasia surrenale congenita classica, ad esempio, è dovuta nel 90% dei casi dalla carenza  un enzima fondamentale nella sintesi del cortisolo, l'ormone salvavita, l'assenza di questo enzima determina una carenza di cortisolo con gravi problemi di sopravvivenza per il neonato, ma anche uno sbilanciamento dell'attività della ghiandola surrenalica che produce un eccesso di ormoni androgeni, mascolinizzanti. Se succede durante la vita intrauterina questi ormoni interferiscono con lo sviluppo dei genitali esterni di tipo femminile e il neonato avrà genitali esterni atipici talora indistinguibili da quelli di un maschietto.  In questo caso l'attribuzione del sesso è di tipo femminile e si consiglia un intervento chirurgico intorno all'anno.  Ma queste ragazze, una volta adolescenti, dovranno affrontare altri piccoli interventi chirurgici".

Primi mesi decisivi. L'importante è comunque intervenire nei primi mesi di vita. "In molte regioni italiane c'è uno screening della sindrome cortico-surreno-genitale, la causa più frequente di malformazioni genitali (uno su 10-15mila neonati)", spiega Giuseppe Chiumello, direttore del Centro di endocrinologia dell'infanzia e dell'adolescenza del San Raffaele di Milano "in questo modo si può subito curare il bambino. Esiste anche la possibilità di fare diagnosi durante la gravidanza, riservata però a casi considerati a rischio, come quando, ad esempio la madre ha già partorito un neonato con problemi di questo tipo".

L'ecografia che non rivela. A volte ai neogenitori vengono consegnate ecografie con risultati che cambiano con il passare dei mesi. Prima sono sicuri che arriverà "una bimba", poi "un bimbo" e infine i medici spiegano che esiste "una terza ipotesi". "Nel maschio, ad esempio, un'inadeguata produzione di androgeni o una insensibilità del recettore a normali livelli circolanti di testosterone del feto può determinare un aspetto dei genitali esterni da atipici a completamente femminili, nei casi di insensibilità completa agli androgeni o sindrome di Morris", spiega ancora Salerno "Nel primo caso è spesso possibile attribuire il sesso maschile, correggere chirurgicamente l'atipia dei genitali e seguire una terapia ormonale, nel secondo caso dovrà essere attribuito il sesso da femminile e in età adolescenziale si consiglierà l'asportazione delle gonadi. In molti di questi pazienti sarà necessario effettuare terapia ormonali per tutta la vita".

Una decisione difficile. In Italia non esiste una normativa specifica in materia, ma semplicemente delle raccomandazioni proposte da un gruppo di esperti internazionali. Difficile per gli operatori sanitari sostenere le neomamme e i neopapà in questa fase e aiutarli a capire che cosa fare. "In alcuni casi serve un approccio integrato", spiega Paolo Valerio, dell'Unità di psicologia clinica e psicoanalisi dell'Università degli studi di Napoli Federico II "per aiutare i medici e le famiglie. I genitori vanno sostenuti, si aspettavano un maschio e si ritrovano un bimbo dal sesso incerto. Va sostenuto anche il medico che deve comunicare la notizia. E poi in alcuni casi è importante prendere decisioni quasi subito come, ad esempio, quella di eseguire o meno un intervento chirurgico. Tenendo presente che talvolta è necessario per la sopravvivenza del neonato. Per fortuna questi casi sono rari. Il più delle volte, soprattutto nel caso della sindrome di Morris e dell'Iperplasia surrenale congenita, non è necessario intervenire subito chirurgicamente ed è bene evitare quelle che alcuni definiscono 'mutilazioni genitali'. Queste, infatti, sono finalizzate soprattutto a 'normalizzare' l'aspetto estetico dei genitali, per rendere più accettabile la bambina ai genitori o a prevenire future difficoltà nella vita relazionale  o sessuale". 

Le storie. A sostenere le famiglie non ci sono solo le strutture sanitarie, ma anche associazioni come l'Associazione sindrome di Morris, che offrono consigli e raccolgono storie. "Ci sono storie che testimoniano molto spesso la presenza di conseguenze negative al livello della salute psicofisica e sessuale delle persone che sono state sottoposte nella prima infanzia a interventi chirurgici 'normalizzanti'. La soluzione migliore è, quindi, quella di lasciare che la decisione se operarsi o meno venga presa dalla persona con genitali atipici quando sarà in grado di poter decidere autonomamente", aggiunge Valerio.

Decidono i medici. Ma come stabilire se il neonato sarà maschio o femmina? I medici, in base ai risultati di varie indagini mediche, prendono la decisione, collaborando con la famiglia del neonato. "La decisione sia dell'attribuzione del sesso che dell'età dell'intervento deve essere condivisa con i genitori se presa in età neonatale-pediatrica e anche con il paziente se la diagnosi è posta in età adolescenziale. Servono diversi colloqui in cui il team multidisciplinare, guidato dal pediatra endocrinologo e  costituito dal neonatologo, nei casi di diagnosi neonatale, dallo psicologo, dal chirurgo pediatra urologo e dal genetista spiega ai genitori la problematica con tutte le implicazioni mediche, chirurgiche e sociali", conclude Salerno.
 

Anna Ravenna: "È giusto accettare la diversità, occorre rispettare ogni individuo"

Di Silvia Bernasconi – La Repubblica

La psicologa commenta la legge entrata in vigore in Germania che consente ai genitori dei neonati di sesso dubbio di dichiararli all'anagrafe senza specificarne il genere: "Purtroppo in Italia non vedo spiragli in questa direzione"

Anna Ravenna ROMA  -  "La Germania ha fatto un passo avanti verso la libertà dell'individuo. Ho seguito una persona intrappolata dalla nascita in un'identità femminile che non gli corrispondeva, e solo all'università si è sentita libera di dare spazio a un'identità maschile". Anna Ravenna, psicologa, è direttore didattico dell'Istituto Gestalt Firenze e supervisore del Servizio per l'adeguamento tra identità fisica e psichica all'ospedale San Camillo di Roma.

Come giudica la legge tedesca?
"È un passo verso la libertà, perché non obbliga ma lascia la possibilità di non dichiarare il genere consentendo alla persona, man mano che cresce, di seguire un percorso conforme al suo vissuto. Ed è realistica, perché accetta la diversità (della quale la natura è piena) come un dato di fatto e rompe la dicotomia tra maschile e femminile. Non vedo inoltre problemi di ordine pubblico: avere il sesso sui documenti non è significativo per la sicurezza".

Può essere un esempio da seguire anche in Italia?
"Certo, ma purtroppo in Italia non c'è nulla e non ci sono spiragli progressisti. In caso di intersessualità, da noi si tende a dichiarare il neonato "femmina", perché è più facile dal punto di vista medico e chirurgico, con cure ormonali o operazioni, ricondurre l'anatomia di un essere umano al femminile. E spesso è più accettato socialmente".

Basta una "X" sulla carta d'identità?
"Non da sola. Il contesto in cui il bimbo cresce è fondamentale, deve esser in grado di accogliere la diversità, deve supportare e non reprimere".

Cosa si può fare?
"Le famiglie vanno rassicurate nei confronti di un'ambiguità che ha bisogno di tempo per definirsi. I genitori si sentono in colpa e vanno sostenuti. Il bimbo intersessuale deve potersi esprimere fin da piccolo: giocare con chi vuole, amiche o amici, vestirsi e comportarsi senza sentirsi giudicati

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22 ottobre 2013 2 22 /10 /ottobre /2013 14:34

Questioni di cuore

Io e la mia compagna siamo assieme da più di cinque anni e nostro figlio compirà due anni. Questa lettera è in primis una dichiarazione d’amore per loro. Ogni mattina pro gli occhi e lei è vicino a mee non è la mia anima gemella e la nostra relazione è imperfetta, però è la persona che voglio accanto a me  e di cui mi voglio prendere cura. . Ogni mattina lui ci sveglia e ci chiama e dice “cotto”  perché già vuole il biscotto. E non c’è nulla di paragonabile all’emozione che si prova.

  Non sono nessuno per la biologia, per la vita sono e mi sento genitore. Questa lettera è anche una dichiarazione di amore infinito per i miei genitori. Nulla lo ha scalfito, così come il loro affetto  e il loro sostegno non sono mai mancati a me. E ora fanno splendidamente i nonni. Questa lettera è un ringraziamento  speciale al ragazzo meraviglioso che ha reso possibile tutto questo.  Con entusiasmo e un po’ si incoscienza ha accettato di dare vita a qualcosa di  bellissimo e complicato che gli ha portato felicità, ma anche tanta instabilità- Il mio desiderio è continui ad  essere  stella fissa nel cielo della nostra famiglia, nei modi che dovremo scoprire insieme. Perché noi siamo una famiglia, per tanti aspetti molto tradizionale, per tanti altri molto lontana da ciò che la società definisce normale. Cerchiamo di dare a nostro figlio amore ed educazione, gioco e regole, come fa qualsiasi genitore.

   Non sappiamo ancora cosa diremo all’asilo o come lui reagirà quando capirà. Tutto quewto è fonti di dubbi e di paure, su tutte la paura che il contesto in cui è nato possa costituire per lui  motivo di sofferenza. Sono consapevole che ci aspettano difficili sfide educative, emotive e sociali, queste ultime proporzionali alla miopia di tanta parte dell’italia, alla stupidità dei nostri politicanti, alla crisi culturale  che vive il nostro paese e che è preoccupante quanto e forse più di quella economica. Per ora io vedo una famiglia felice che sta trascorrendo dei bei giorni assieme ai quattro nonni. Per ora non ho paura perchè l’amore è una forza immensa. MP

La risposta de NATALIA ASPESI

      Conosco altre famiglie come la sua, e con i figli ormai adolescenti e nonni affettuosi: se vogliamo usare una parola sbagliata,<<normale>>, questi ragazzini mi sono sembrati assolutamente <<normali>>. Non so come le loro madri (una ha due figli, l’altra uno, e crescono ovviamente tutti assieme) si siano comportate quando i bambini hanno cominciato a frequentare l’asilo e cosa abbiano detto loro. Non vorrei sminuire  il senso speciale della vostra famiglia, ma le posso dire che, essendo  nostro padre morto quando eravamo molto piccole, mia sorella ed io siamo  cresciute in un mondo di donne, nostra madre e le sue sorelle, e siamo state felici. Poi penso  che le cose cambieranno in politica, mentre per gente sono già cambiate.  Ciò che conta è l’amore che i genitori e i nonni  sanno dare ai loro bambini,  ed è quell’amore  a rendere tutto bello e naturale, con la vostra gioia e la capacità di educare. Mi perdoni, se ho capito bene, il vostro bambino è stato messo al mondo dalla sua compagna, con la partecipazione di un ragazzo, immagino solo in veste, cosciente, di donatore: cosa sarà per il bambino questa persona che lei chiama<< stella fissa nel cielo della nostra  famiglia>> che per voi è già completa? Non il padre, quindi: ma chi allora? Esce in questi giorni La vita di Adele di Kechiche. Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes: <<Adesso ho la responsabilità di una famiglia>> dice Emma della sua nuova vita  con un’altra donna e il di lei figlio.

Una bella intervista di Concita de Gregorio a Melania Mazzucco:

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-c8d3c6c7-7f3d-4296-9519-0374f125157a.html

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3 agosto 2013 6 03 /08 /agosto /2013 19:28

Scritto da VERA SCHIAVAZZI, la Repubblica

Quando una persona non desidera più  sorridere, giocare, cantare, relazionarsi con le persone  e non è più capace di  scoprire  ciò che la vita gli offre ogni giorno allora muore prima dentro e poi col corpo. Se si è disponibili allora la vita diventa generosa, ricca di sorprese e stupisce, ma se il  mondo interiore fa sentire   che la vita perde dignità e diventa faticosa, dolorosa, angosciante  nella quotidianità  allora una persona è libera di decidere cosa è meglio per lui. (ndr.)

L’ultimo anno di un anziano, troppo malato per voler restare in vita. E la scelta di sua figlia di aiutarlo. A percorrere la strada verso una fine volontaria

Un sentiero stretto, a tratti faticoso. Ma che consente a chi è determinato di cercare e trovare una morte dignitosa, anche se lontano da casa. Paul, musicista, tre figlie, ha raccontato sulle pagine di Le Monde l’eutanasia scelta dalla madre, ottantaquattrenne, in una “piccola casa blu” a Pfaffikon, vicino a Zurigo. Ma in quella stessa piccola casa blu sono morti anche alcuni italiani, come Roberto Gandolfi, 88 anni, un imprenditore e esponente del Partito liberale che non voleva aspettare di essere troppo malato per poter decidere liberamente. A raccontare la sua scelta, il suo ultimo anno di vita passato a pianificare meticolosamente la morte e le ultime ore è la figlia Donatella Turri Gandolfi, 68 anni, una vita che l’ha portata tra cinema e moda. Oggi Donatella è impegnata soprattutto a difendere animali abbandonati nella Sardegna dove suo padre si era trasferito da Roma. Il dolore è ancora forte, ma il ricordo è limpido, sereno.

Marzo 2009.

«Mia madre Aldina, 8 anni più vecchia di papà, si è spenta dopo un declino lungo e doloroso. Era stata colpita dal Parkinson e dall’Alzheimer, e un incidente circolatorio le aveva compromesso il cervello. Papà, che era del tutto laico, non aveva voglia di vivere senza di lei e cominciò a “sentire” la sua presenza nella grande casa di Roma dove avevano abitato sempre insieme. Come quel giorno in cui nel vaso accanto alla sua foto vennero messe per sbaglio dodici rose anziché undici. Mamma non voleva che i fiori fossero pari, mai, e misteriosamente una di quelle rose si seccò in poco tempo mentre le altre undici restavano bellissime. Papà ha chiuso la casa e si è trasferito in Svizzera, con in tasca l’iscrizione a Dignitas (una delle organizzazioni elvetiche che aiutano chi cerca la morte, ma che richiede un certo periodo di residenza nel paese, ndr)».

GIUGNO 2009

«Papà e io torniamo insieme in Val Badia, dove ha fatto per anni bellissime vacanze. Se fosse viva, la mamma avrebbe 95 anni e lui vuole vedere il prato dove sono state disperse le sue ceneri. Tutto è fiorito, lui è contento, mi spiega ancora una volta le ragioni della sua scelta: cammina col bastone, ha perso la vista da un occhio e fatica con l’altro, il pacemaker e il cuore fanno i capricci. “Non potrei sopportare di dover chiedere per favore un bicchiere d’acqua o di essere accompagnato in bagno”. Gli ripeto che io sarei sempre al suo fianco, e che comunque rispetterò la sua scelta».

 SETTEMBRE 2009

«Papà vive sul lago, vicino a Lugano,  e continua a incontrare i medici dell’organizzazione. Servono documenti, certificati, capisco che non è una cosa che si fa come una passeggiata. Ma lui non vacilla. Continua a viaggiare per quello che può, dipinge, conduce una vita normale. Ha messo tutto a posto, regalato tanti oggetti, non lascia nulla al caso. Certamente io sono più triste di lui».

 ESTATE 2010

«Papà si trasferisce ad Ascona. Fa amicizia con la gente del posto, fotografa le cose più belle, si diverte  a fare il turista. Cammina con fatica, ha lasciato giacche e cravatte per un abbigliamento più rilassato, è sempre elegante. Le sue pratiche mediche sono terminate, sento che il momento si  avvicina».

 15 SETTEMBRE 2010

«Ultimo volo estivo in partenza da Lugano per la Sardegna, papà non vuole perderlo. Viene a salutare la mia casa e l’isola che ha amato tanto, andiamo in un ristorante che ci piace, salutagli amici e a qualcuno fa una battuta, “arrivederci il più tardi possibile”. Ma pochissimi sanno, oltre a me».

 10 OTTOBRE 2010

«Il momento è arrivato. Papà ha prenotato un albergo a Zurigo, mi chiede ancora una volta se me la sento di accompagnarlo, mi ripete che devo farlo solo se sono sicura e che lui non lo pretende, che mi vorrà sempre bene in ogni caso. Io piango, ma non posso lasciarlo solo, e mi preparo a raggiungerlo  ».

 16 OTTOBRE 2010

«Lo raggiungo a Zurigo, ceniamo con amici ed è lui a tenerci allegri. Poco prima ha congedato il fratello minore e il nipote, venuti da Napoli per dissuaderlo. Mi spiega che parte per morire con lo spirito che avrebbe in un viaggio verso un luogo sconosciuto. Non è credente e non sa se e che cosa troverà, “sono curiosissimo”, mi dice sorridendo».

 17 OTTOBRE 2010

«Facciamo colazione in albergo: prendi questi dolci, sono i migliori — mi dice — e mangia, non   fare quella faccia, dai… Io ho paura, temo che finiremo in una clinica squallida e triste. Invece il posto dove arriviamo è una villetta bifamiliare, assomiglia a una casa per le vacanze».

 ORE 11

«L’équipe ci accoglie. Sono persone gentilissime, vestite come noi, senza camici, parlano un perfetto italiano, capisco che il più anziano dirige tutto, con lui ci sono un medico e un’altra volontaria. Ci offrono il caffè in una piccola cucina. Ci spiegano che ora daranno a papà un blando farmaco che serve per ciò che verrà dopo (è un antiemetico, ndr).  Siamo seduti vicino su un divano, papà sa già che le sue ultime volontà dovranno essere documentate con un video, per evitare ogni complicazione legale all’associazione. Docilmente, ripete quello che deve davanti alla telecamera: “Ho deciso volontariamente e in piena consapevolezza di prendere il medicinale che verrà lasciato in un bicchiere accanto a me…”. Non siamo gli unici in casa, c’è un’altra famiglia, sento qualcuno che parla spagnolo. Passiamo mezz’ora da soli, mi dà gli ultimi consigli, come se fossi ancora la sua bambina, e probabilmente per lui è proprio così. L’équipe ci ha precisato che loro non hanno alcuna fretta. Rientrano, chiedono a papà se è pronto, lui si accerta che sia pronta anch’io, mettono accanto a lui un bicchiere e del cioccolato: il farmaco che deve bere (pentobarbital, un potente anestetico utilizzato anche a questo scopo, ndr)  potrebbe essere molto amaro, ci avvisano. Lui scherza e butta giù tutto: “Gli amari che bevevo in montagna erano peggio”. Fa un grande sbadiglio e un sorriso, poi si assopisce, la testa un po’ di lato, nello stesso modo in cui dormiva sul divano di casa al terzo giro di Gran  premio, nell’ilarità di mia madre».

 ORE 11,30

«Sono uscita per camminare, non potevo resistere vicino a lui. Vedo il dottore affacciarsi e farmi un cenno, lo raggiungo, prendo i vestiti di papà, un maglione di cachemire che continuo a mettere, la coppola che portava, il suo bastone. Torno a casa, e pochi giorni dopo mi arrivano le ceneri».

 NOVEMBRE 2010

«Di nuovo in Val Badia. Questa volta i miei amici del posto devono portarmi col gatto delle nevi su quel prato. Liberano uno spazio, e le ceneri di papà vanno a raggiungere quelle della mamma. Vorrei pagarli per il trasporto, ma non ce n’è bisogno: papà lo aveva già fatto l’anno scorso».

L’eutanasia nel mondo

Belgio: dal 16 maggio 2002 in vigore una legge che regolamenta l’eutanasia

Danimarca: le “direttive anticipate”  hanno valore legale, i parenti del malato possono autorizzare l’interruzione delle cure

Germania: Il suicidio assistito non è reato, purchè il malato  sia capace di intendere e volere e ne faccia richiesta.

Paesi Bassi: il primo paese al mondo a dotarsi  nel 2000 di una legge che regolamenta l’eutanasia entrata in vigore nel 2002.

Svezia: l’eutanasia non è perseguita penalmente.

Svizzera: E’ previsto il suicidio assistito: praticato al di fuori delle istituzioni mediche statali da alcune associazioni.

Stati Uniti: La normativa varia a seconda degli stati. Le direttive anticipate hanno generalmente valore legale

Canada: Negli stati di Manitoba e Ontario le direttive anticipate hanno valore

"Pensai di aiutare mia nonna a farla finita
e di darle una fine dignitosa con l'eutanasia"

Lo scrittore, autore del romanzo 'A nome tuo' dal quale è stato tratto il film 'Miele' che affronta proprio questi temi, è a favore della libertà di decidere anche su come e quando terminare la propria esistenza e sostiene: "Basta medicine a oltranza, che il suicidio non sia più un tabù"

di CATERINA PASOLINI

Bata medicine ad oltranza

Mauro Covacich "Io sono per la libertà di scelta. Perché chi vuole possa continuare a curarsi a oltranza e chi invece subisce la malattia e si sente umiliato, offeso nella sua dignità, abbia il diritto di morire".
Mauro Covacich, scrittore triestino, è autore del romanzo A nome tuo (Einaudi) dal quale è stato tratto il filmMiele diretto da Valeria Golino. Un libro che segue la storia, gli incontri, i dubbi di una giovane che di mestiere fa proprio "l'angelo della dolce morte".

Lei è favorevole all'eutanasia?
"Adesso le dico che sono assolutamente favorevole, eppure capisco quelli che magari vivono dentro a un polmone di acciaio in condizioni che a me ora paiono avvilenti, inaccettabili davanti alle quali invece io proprio non ce la farei ad andare avanti. Ognuno ha il suo limite nella malattia, oltre il quale ritiene di non volere e potere più andare avanti e che magari si sposta e cambia col tempo. Vorrei solo che fosse rispettato nei suoi desideri, espressi lucidamente. Che si riuscisse a svincolare la fine della vita dalle medicalizzazioni a oltranza, che fosse risparmiato, a chi non la vuole, un percorso spesso sadicamente inutile"

Le è capitato di volere la morte?
"Non la mia, ma mia nonna, che è morta a 103 anni, ha vissuto gli ultimi tre come un pacco, spostata a peso dal letto alla sedia. Lei non avrebbe desiderato giorni così e io ho anche pensato molte volte che avrei voluto aiutarla a morire. Da quei giorni è nato il libro, da una profonda spinta affettiva, dai pensieri che mi attraversavano la testa in quelle ore, dai dubbi, da alcune certezze".

Quali certezze?
"La libertà di scelta in caso di malattia incurabile, mentre francamente non so se io darei il farmaco a chi mi dice di essere semplicemente stufo di vivere, anche se il termine ha decine di sfumature, di declinazioni".

Il suicidio è un tabù?
"Nella nostra società lo è sicuramente, non lo era. Lo è diventato dopo l'avvento del cristianesimo che ci ha trasmesso il senso di colpa mentre prima, in epoca greca e romana, il suicidio aveva un suo senso, un suo valore, un significato, era una possibilità onorevole".

Come Seneca?
"Sì, come gli stoici. Il concetto è che quando uno non si sente più in sintonia con il corso delle cose, con l'universo, sceglie di andarsene, di farla finita. Non è ribellarsi, né diminuire la sacralità della vita, non è una scelta blasfema, anzi ha una sua parte di religiosità". 

Ma la vita è sempre bella anche quando si sta male

PARLA come un fiume in piena Alessandro Bergonzoni, attore, commediografo, testimonial della Casa dei risvegli di Bologna che ospita persone in coma. Ogni parola apre parentesi all' insegna della profondità e complessità, del vivere. Perché lui di schieramenti non ne vuol proprio sentir parlare, soprattutto in tema di "buona morte". «Io non sono favorevole all' eutanasia per me, ma riconosco il bisogno che vada regolamentata e soprattutto non obbligherei mai nessuno a vivere. La questione però è ben più complessa, non si tratta di dividere il mondo in buoni e cattivi, tra chi vuol vivere e chi sceglie di morire». Qual è il vero problema? «Che prima di parlare di buona morte, questo significa eutanasia, dovremmo approfondire cosa ognuno di noi intende per buona vita e dignità, e poi guardare, capire l' altro. Insomma prima di parlare della fine, forse dovremmo ragionare di vita e morte quando stiamo ancora bene». Parlare di vita e di morte? «Sì, ognuno di noi dovrebbe guardarsi dentro, indagare su cosa abbiamo paura di perdere nella malattia. Analizzare cosa la malattia può cambiare e forse persino portare di nuovo e bello nella nostra esistenza». La malattia ha qualcosa di bello? «Ci sono troppi automatismi: io non parlo, non cammino e non faccio l' amore quindi la mia vita non vale la pena di essere vissuta. Certo, io forse non ce la farei a vivere così, non mangiando da solo, non sentendo, ma ho incontrato chi viveva intensamente quello che altri ritengono insopportabile». Morire è un diritto o vivere un dovere? «Io non obbligo nessuno a vivere, vivere non è un dovere. Quello che io penso è che prima delle decisioni ci sia bisogno di una ricerca interiore e sociale, vorrei che ognuno andasse a vedere ed ascoltare l' altro malato. E non per convincerli a cambiare idea, ma perché si perdono qualcosa». Cosa ci si perde? «La bellezza della ricerca, dell' osservazione di qualcosa di ignoto, della diversità, persino della perdita di controllo, di sicurezza. La perdita che ci fa pensare da malato sarà inguardabile, inavvicinabile, perché dietro a questi concetti c' è la cultura del corpo. Ecco, prima di pensare all' eutanasia devo vedere, sentire altre storie. Come quel mio amico che cercava di farmi capire la bellezza di essere sollevati di peso, abbracciati perché immobili». Troppi malati lasciati senza assistenza vogliono morire... «Basta trattarli come poveretti che si devono arrangiare, lo Stato dovrebbero assisterli tutti come se fossero Hawking».

 

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29 maggio 2013 3 29 /05 /maggio /2013 09:22

 

"Le mie parole sull'amore gay un sasso nella palude, ma temo non accadrà nulla"

Dopo la risposta di Laura Boldrini, presidente della Camera dei deputati, l'intervista all'autore della lettera a Repubblica che ha sollevato il caso

di DARIO CRESTO-DINA

DAVIDE, lo abbiamo chiamato così anche se non è il suo vero nome, frequenta il penultimo anno del liceo classico e non sa ancora che cosa farà da grande. Anche se a sentirlo parlare sembra molto più grande della sua età. È gay, ha scritto una lettera a Repubblica chiedendo di essere ascoltato. Non chiede altro. È la prima cosa che spiega: "La mia era solo la voglia di esprimere un sentimento, le parole mi scivolavano sulle dita perché era un argomento che mi toccava, ma adesso ho la sensazione che la cosa si stia facendo troppo grossa per poterla affrontare serenamente. Non ho mai avuto ambizioni di gloria: da piccolo gli altri bambini desideravano diventare attori belli e famosi, io sono sempre rimasto con i piedi per terra. Terra che adesso non vorrei mi franasse sotto i piedi. A 17 anni".

Centinaia di mail al giornale, migliaia di condivisioni su Facebook. Molti apprezzamenti e molte critiche. Sei pentito di averla scritta?
"Nessun pentimento, ma molta ansia, questo sì. Non mi aspettavo tutto questo. Volevo lanciare un sasso nello stagno, con la speranza che chi deve farlo lo andasse a recuperare e da me non si pretendesse altro. Non voglio diventare qualcuno da mostrare in televisione. Non sono il rappresentante di una categoria. Già mi sento molto esposto".

Lanci la pietra e ritiri la mano?
«Non la ritiro per codardia, ma perché provo a fidarmi delle istituzioni. È una fiducia mal riposta? Tocca a loro lavorare adesso. Se i parlamentari si svegliassero la mattina pensando che il luogo in cui vanno è costato la vita a molti, ci sarebbe ancora la speranza di un miglioramento».

Immagino che tu debba proteggere non soltanto te stesso.
«È vero. Ho vissuto la mia storia con altre persone».


Il coming out  Nessuno sa di me, solo i miei genitori. So che tutti mi vorrebbro con occhi diversi e io voglio essere giudicao solo per quello che valgo.
Quali?
«La mia famiglia. Una famiglia che sta facendo quadrato attorno a me e che io sento liberamente di dover rispettare».

Ti ha scritto una madre. Dice: «Mio figlio aveva 21 anni quando mi ha detto di essere gay. A dispetto del mio essere atea e lontana dai pregiudizi è stato un duro colpo. È difficile accettare l'idea che non sarai mai nonna, ci vuole tempo per capire che ci saranno nuovi motivi di orgoglio e complicità. Ricordati di essere orgoglioso di quello che sei».
«Parole molto belle. Mia madre e mio padre sono sempre stati molto presenti nella mia vita. Hanno notato i miei cambiamenti, qualche tempo fa mi hanno domandato se c'era qualcosa che dovevo dir loro. Gli ho detto sì, sono gay. Ci sono state conseguenze positive e negative, di cui non voglio parlare. Ora siamo assieme. I miei genitori sono cattolici, penso di poterli definire molto credenti, ma non religiosi, nel senso che non si curano dell'esteriorità della fede. Alcune cose sono diventate più facili».

Chi altri sa?
«Nessuno. Non tra gli amici, non a scuola».

È come se tu vivessi nascosto.
«In un certo senso è così. Diciamo che sono consapevole delle conseguenze a cui andrei incontro svelandomi. Preferisco restare al mio posto. La gente mi guarderebbe con occhi diversi. Credo invece di dover essere giudicato per ciò che valgo e per quanto posso dare agli altri».

I giornali, la Rete. Hai letto tutto?
«Quasi tutto. Un fiume che è diventato via via più impetuoso e a tratti oscuro. Accetto anche i dubbi di tanti e i commenti negativi, ma non quelli di chi mi accusa di vittimismo. Non ho pianto su me stesso. Perché ci sia una vittima deve esistere un carnefice. Nel caso dell'omosessualità non c'è. A meno che non si voglia tirare in ballo Dio. Qualcuno nasce con i capelli biondi, qualcuno con gli occhi neri, altri nascono gay».

La tua lettera ha diviso la trincea del centrodestra e riacceso qualche dubbio nei cattolici. Si affaccia l'ipotesi di una iniziativa di legge bipartisan per i diritti degli omosessuali. Te l'aspettavi questa risposta politica?
«Mi viene da ridere. Di politico io non ho nulla, non riesco neppure a leggere ad alta voce in classe. C'è chi in quella lettera ha voluto vedere anche cose alle quali neppure avevo pensato. Non sono molto ottimista, credo che tra un paio di giorni tutto tornerà come prima. I partiti hanno bisogno di tenere le questioni aperte per scopo elettoralistico. Il diritto alla normalità non ci è concesso. Temo che l'Italia non sia pronta a fare questo passo, pensi alle difficoltà che sta incontrando un paese liberale come la Francia, dove il cardinale di Parigi si è vantato di essere riuscito a portare nelle piazze anti-gay anche gli atei. Noi siamo un paese che si accoda, anche in guerra ci siamo sempre andati dopo, cercando di scegliere l'alleato vincente. Azzeccandone pochi. Prima di fare il passo aspetteremo il resto dell'Europa».

Torno alla Chiesa. È l'ostacolo principale?
«Una spina nel fianco. Il potere temporale della Chiesa ha soffocato il cristianesimo. Eppure la Chiesa dovrebbe essere madre di tutti quanti, anche dei figli di cui non è particolarmente orgogliosa. Credo che nelle alte gerarchie vaticane l'odio contro i gay sia forte, ma se poi vai a parlare con i preti delle parrocchie ritrovi la chiesa cristiana, quella che sta accanto alla nostra piccola vita quotidiana. Penso a don Gallo, per esempio. Ecco, sembra di essere tornati alla Francia del 1700, alla divisione tra alto e basso clero. Ripongo molte speranze in papa Francesco, nella sua volontà di affidarsi al Vangelo».

Laura Boldrini ti ha scritto per invitarti a un incontro alla Camera. Ci andrai?
«In questo momento non lo so. Le risponderò privatamente. È stata pacata e risoluta. Nelle sue parole ho colto anche una raccomandazione, come se volesse mettermi in guardia da qualche pericolo accostando la mia esperienza al dramma della ragazza di Novara. Mi ha parlato da madre, vorrei riuscire a risponderle da figlio».

Quanto frequenti il web?
«Non moltissimo, lo studio mi lascia poco tempo libero. So che per sottrarsi all'odio che scorre nel paese non basta staccare la spina del computer. Le parole possono uccidere, a volte sono peggio dei pugni perché ti colpiscono più in profondità e il livido non va via».

Perché c'è così tanto odio in giro, secondo te?
«La crisi, la rabbia, la disoccupazione, il futuro di noi ragazzi cancellato. Si vive nel proprio giardino, si tira su il filo spinato».

Tu pensi come un adulto, meglio di tanti di noi.
«Si sbaglia, sono un adolescente che fa i conti con qualcosa di più grande di lui. Forse è solo una questione di maggiore o minore sensibilità. È difficile tenersi tutto nel cuore, ci sono problemi che non si risolvono unicamente con le proprie forze. Allora cerchi qualcuno che ti accetti, che ascolti. La mia lettera non vuole dire altro, se non: siamo qui, esistiamo, fateci esistere. E vuole sapere una cosa: non mi aspetto nulla».

Il Coraggio  Ho scritto pensieri che mi scivolano sulle dita. Non ho mai avuto ambizioni, anzi: non vorrei che ora la terra mi franasse sotto i piedi

Quanto dolore c'è stato nella tua vita?
«Quello che prima o poi tocca a tutti quanti: eterosessuali, single, sposati, conviventi, donne e uomini. Ho letto da poco un bel libro di Peter Cameron sul rapporto tra un padre e il figlio omosessuale dal titolo “Un giorno questo dolore ti sarà utile”. È la sola risposta che le so dare e che mi auguro».
Un padre a un figlio e a Davide

Questo è quanto un padre di un ragazzo (in realtà un uomo, ma per un papà il figlio è sempre un ragazzo) che lavora all’estero in buon posto e che vive felice con un compagno, desidera comunicare a Davide , che sentendosi solo ha inviato una lettera a “Repubblica” che ha già avuto delle risposte umane da persone pubbliche. Volevo dirti che il tuo è un momento di sconforto, comprensibile, ma che in realtà non sei circondato dalla solitudine; ci sono molte altre persone che portano avanti con orgoglio e chiarezza il diritto a essere riconosciuti per come sono.

Se poi ci sono delle persone che ammantano i propri gesti malati e disperati di motivazioni “superiori” , queste persone sono all’interno della società dell’apparenza dove c’è confusione e si è perso il vero significato delle parole e dei gesti. Una persona che pone fine alla propria vita non può che essere un disperato e un malato; nasconde a se stesso l’incapacità di accettarsi come è o di accettare il suo fallimento (come persona non va giudicata, la compasione va data ha chi ha dentro un grande problema e un  dolore , ma deve essere chiaro che purtroppo la vita non ha prevalso) . Attribuisce la colpa del suo gesto violento contro la vita, e contro sè stesso, ad altri mascherandolo con un obiettivo più alto. Desidera essere ricordato per un gesto estetico da superuomo, ma in realtà si inserisce molto bene nel flusso di questa nostra società rancorosa e fomentatrice di odio in cui ognuno (talvolta si salva solo la famiglia) diventa nemico di tutti gli altri e in cui il più debole, sentendosi schiacciato, può rivolgere la violenza contro sé stesso.

 

Questo è quanto il padre  ha scritto al figlio quando costui ha dichiarato a lui e a sua madre di essere gay.

Caro….. …..

è stato bello ieri sera trovarti sveglio quando sono tornato a casa: ho ringraziato … (una sua amica)… e ti ho accarezzato sulla guancia. E’ stato uno di quei momenti che mi riempiono, mi toccano nel profondo, e diventano un punto solido, fermo a cui mi appoggio quando devo ricaricarmi.

Penso a tutte le persone (esempio la zia che vive sola) a cui la vita non riserva soddisfazioni e gioie di questo tipo.

Il mio rapporto con te è pieno di questi momenti. Fin da prima che tu nascessi. Ho ben presente quando la mamma ti aveva in pancia e ti ho visto alla prima ecografia ed il tuo cuore batteva, pulsava, si espandeva e si restringeva: eri tu che prepotentemente, con forza ti facevi avanti e ti affacciavi alla vita…. …. Come quando quella notte di capodanno che ho fatto l’amore con la mamy e ho sentito un’energia passare attraverso me e lei…………. mi ricordo, come fosse ora, quella volta che ti ho accompagnato alla scuola elementare il primo anno, e tu, giunto all’inizio della strada che conduceva all’edificio scolastico, mi dicesti: “papà posso andare da solo” …e io “ma certo” ..e ti mettesti a correre contento verso la scuola. Ne hai fatta di strada da allora ………….posso continuare…. fino alla tua decisione di passare al Diem (un indirizzo della laurea in economia e commercio in Bocconi) ad affrontare una nuova situazione nella quale ho capito che prendevi in mano la tua vita e decidevi come costruirla.

Vedi la tua sensibilità, il tuo modo di essere li ho sentiti in vari momenti. Quando mi hai comunicato di essere gay, non hai fatto altro che rendermi consapevole di una parte di te che non è che altro un aspetto, un arricchimento del tuo vissuto e della tua esperienza. Vedrai che non è l’ultima scoperta che farai su di te. Sono sicuro che ne farai molte anche in età avanzata. Io ne ho fatte alcune anche di recente; se non avessi avuto la testa un po’ dura me ne sarei accorto prima e avrei vissuto un po’ meglio.

E’ proprio la tua curiosità, la tua sensibilità che ti porterà a questo, a vedere la varietà della vita in te e nelle altre persone.

“ La vera moralità non sta nel seguire la via già tracciata, ma nel cercarla dentro di sé, senza paura” Ghandi

Poi ci sono le persone stupide, ignoranti, che hanno pregiudizi, che ti attaccheranno e ti offenderanno come attaccheranno e distruggeranno le cose belle e vitali. Sono persone che non hanno coraggio di guardarsi dentro o di accettarsi per come sono e quindi buttano la loro distruttività contro qualcosa, contro qualcuno e talvolta contro se stessi.. Capirai che sono persone che possono fare del male, ma come dicevo sono stupide, banali, piene di paura e di pregiudizi.

Tu continua per la tua strada con quell’atteggiamento e modo di fare che c’è nello scritto che hai appeso al frigorifero e che conosci già:

dance                                                                 balla

as though no one is watching you                     come se nessuno ti stesse guardando

love                                                                     ama

as though you have never been hurt before      come se prima tu non fossi mai stato

                                                                          ferito dall’amore

sing                                                                    canta

as though no one can hear you                        come se nessuno ti stesse ascoltando

live                                                                     vivi

as though heaven is on hearth                         come se il cielo fosse già qui in terra

L’errore, l’incapacità di capire delle persone dipende dal fatto che sono convinte che ci sia solo un determinato modo di sentire, essere, vivere e amare: il loro. Quello diverso dal proprio non lo vedono come una ricchezza, una realtà variegata, multiforme e con molti colori.

………………………………………………………………..…………

Un abbraccio

…………………………………………………………………………………………………………..

Si ricorda che due regioni meridionali hanno due presidenti di regione gay dichiarati.

Le lettere

Sei speciale proprio perchè diverso. Sono Roberto di Palermo, 32 anni a ottobre, il tuo grido di aiuto mi ha colpito..... Rivedo me stesso 17enne con le stesse sensazioni. Fai della tua omosessualità il punto di forza, non il tuo tallone d'Achille. Non sei diverso. Sei speciale.        Lettera firmata

Paese migliore di quanto appare. Caro davide non c'è nulla di sbagliato in te, sei stato fortunato a nascere gay. La nostra sfortuna sta semmai nel vivere in un paese che si rifiuta di capire la bellezza dell'amore quando è fra due uomini o due donne. Nonosatnte sacche di intolleranza , però, l' Italia è meglio di quanto appaia.    Fabio Ronmani, presidente di Arcigay.

Gioisci, non umiliarti. Caro Davide, la tua lettera mi ha sconvolto: "Non a tutti è data la fortuna di nascere eterosessuali". Mi è mancato il respiro. Quanto disamore per me stesso  in queste parole. Non permettere a nessuno di sminuire, umiliare schermire la forza del desiderio che senti, che è valore e gioia.  Eugenio Bolongaro

Non siamo fortunati.  La cosa più tragica nella lettera di Davide sta nella frase: "Non a tutti è data la fortuna di essere eterosessuali"  Lo vorrei abbracciare  e rassicurare e dirgli che non ha ragione per essere sfortunato. Vorrei che presto potesse sfilare con noi in un Pride e sentirsi orgoglioso.  Antonio Soggia

Come un figlio. Scrivo queste righe per dire che se fossi la madre di Davide sarei orgogliosa di lui.    Ornella Abbondio

Ma cambiare dipende da noi.  Caro Davide chi ti scrive è un 16enne gay che ha scelto di vivere la propria omosessualità apertamente, affontando molte difficolta e momenti di tristezza. o cosa si prova ad alzarsi alla mattina e non aver voglia di cominciare la giornata sapendo che sarai discriminato, offeso, picchiato per la tua stessa sessualità. Nonostante tutto  questo, un po' di tempo fa, ho deciso di dichiarare pubblicamente la mia omosessualità. Vorrei lasciarti un messagio di speranza: cambiare l'Italia si può.   Riccardo Olivieri

Basta piangersi addosso. Questa lettera non è un' alternativa al suicidio. Si suicidassero pure gli omofobi, i seminatori di odio. Ho vissuto le stesse paure del sig. Tancredi che mi hanno portato  ad andare via da casa a 21 anni. Ma la fase del piangersi addosso ora per me è finita, spero per tutto l'universo omosessuale italiano.    Raffaele Fabbrozzi

Che bello sfilare insieme.  Caro Davide, nella tua lettera non parli dei tuoi rapporti con i genitori, e il mio punto di vista è quello della madre di un ragazzo gay. Mio figlio aveva 21 anni quando mi ha detto (stavo per scrivere confessato, ma si confessano le colpe) di essere gay. A dispetto del mio essere area, lontana dai pregiudizi, nemica di tutte le discriminazioni eccetera, è stato un duro colpo. E' difficile scoprire che un aspetto  così importante della vita di una persona che più ami al mondo ti era totalmente sconosciuto, è difficile accettare che non sarai mai nonna, ci vuole tempo per capire che ci saranno nuovi motivi di orgoglio e complicità, e poi finalmente scopri che è facile e bello sfilare con lui al Gay Pride.    Felicita Angly

 

 

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29 maggio 2013 3 29 /05 /maggio /2013 09:17

Io, gay a 17 anni chiedo solo di esistere

di DAVIDE TANCREDI
CARO direttore, questa lettera è, forse, la mia unica alternativa al suicidio. Ciò che mi ha spinto a scrivere è la notizia di un gesto avvenuto nella cattedrale parigina. Un uomo, un esponente di destra, si è tolto la vita in modo eclatante sugli scalini della famosa chiesa per manifestare il proprio disappunto contro la legge per i matrimoni gay deliberata dall'Assemblea Nazionale francese.

Nonostante gli insegnamenti dalla morale cristiana, io ritengo che il suicidio sia un gesto rispettabile: una persona che arriva a privarsi del bene più prezioso in nome di una cosa in cui crede, merita molta stima e riguardo; ma neppure questa considerazione riesce a posizionare sotto una luce favorevole quello che mi appare come il gesto vano di un folle. La vita degli altri continua anche dopo la fine della nostra. Siamo destinati a scomparire, anche se abbiamo riscritto i libri di storia. Morire per opporsi all'evolversi di una società che tenta di diventare più civile è ottusità e evidente sopravvalutazione delle proprie forze.

Il Parlamento italiano riscontrando l'epico passo del suo omologo d'oltralpe ha subito dichiarato di mettersi in linea per i diritti di tutti. Una promessa ben più vana del gesto di un folle. Tutti sappiamo come il nostro Paese sia l'ultimo della classe e che non ci tenga ad apparire come il più progressista. Si accontenta di imitare o, peggio ancora, finge di farlo. La cultura italiana rabbrividisce al pensiero che

due persone dello stesso sesso possano amarsi: perché è contro natura, perché è contro i precetti religiosi o semplicemente perché è odio abbastanza stupido da poter essere italiano. Spesso ci si dimentica che il riconoscimento dei matrimoni omosessuali non significa necessariamente affidare a una coppia "anormale" dei bambini ma permettere a due individui che si vogliono bene di amarsi. In questo consiste il matrimonio, soprattutto nella mentalità cattolica. E allora perché quest'ostinata battaglia?

Io sono gay, ho 17 anni e questa lettera è la mia ultima alternativa al suicidio in una società troglodita, in un mondo che non mi accetta sebbene io sia nato così. Il vero coraggio non è suicidarsi alla soglia degli ottanta anni ma sopravvivere all'adolescenza con un peso del genere, con la consapevolezza di non aver fatto nulla di sbagliato se non seguire i propri sentimenti, senza vizi o depravazioni. Non a tutti è data la fortuna di nascere eterosessuali. Se ci fosse un po' meno discriminazione e un po' più di commiserazione o carità cristiana, tutti coloro che odiano smetterebbero di farlo perché loro, per qualche sconosciuta e ingiusta volontà divina, sono stati fortunati. Io non chiedo che il Parlamento si decida a redigere una legge per i matrimoni gay  -  non sono così sconsiderato  -  chiedo solo di essere ascoltato.

Un Paese che si dice civile non può abbandonare dei pezzi di sé. Non può permettersi di vivere senza una legge contro l'omofobia, un male che spinge molti ragazzi a togliersi la vita per ritrovare quella libertà che hanno perduto nel momento in cui hanno respirato per la prima volta. Non c'è nessun orrore ad essere quello che si è, il vero difetto è vivere fingendosi diversi. Noi non siamo demoni, né siamo stati toccati dal Demonio mentre eravamo in fasce, siamo solo sfortunati partecipi di un destino volubile. Ma orgogliosi di esserlo. Chiediamo solo di esistere.
 

   

Caro Davide, non ti lasceremo solo.
L'omofobia diventerà presto un reato

di LAURA BOLDRINI*
Caro Davide, questa lettera te l'avrei scritta comunque, anche se non fossi presidente della Camera. Ho una figlia poco più grande di te, e t'avrei scritto come madre, turbata nel profondo dal tuo grido d'allarme, dalla solitudine in cui vivi, dal peso schiacciante che devi sopportare perché "non a tutti è data la fortuna di nascere eterosessuali". Scrivo a te per stabilire un contatto, e sento il dolore di non poter più fare lo stesso con una ragazza di cui stanno parlando in queste ore i giornali. La storia di Carolina fa male al cuore e alla coscienza: ha deciso di farla finita, a 14 anni, per sottrarsi alle umiliazioni che un gruppo di piccoli maschi le aveva inflitto per settimane sui social media. E consola davvero troppo poco apprendere che ora questi ragazzini dovranno rispondere alla giustizia della loro ferocia.

Vi metto insieme, Davide, perché tu e Carolina parlate a noi genitori e ad un Paese che troppo spesso non sa ascoltare. Tu lo hai fatto, per fortuna, con le parole affilate della tua lettera. Lei lo ha fatto saltando giù dal terzo piano. Ma descrivete entrambi una società che non sa proteggere i suoi figli. Non sa proteggerli perché oppressa dal conformismo, incapace di concepire la diversità come una ricchezza per tutti e disorientata di fronte ai cambiamenti. Una società in cui - ancora nel 2013, incredibilmente - tu sei costretto a ricordare che "noi non siamo demoni, né siamo stati toccati dal Demonio mentre eravamo in fasce". A te sono bastati i tuoi pochi anni per capire che "non c'è nessun orrore ad essere quello che si è, il vero difetto è vivere fingendosi diversi". Una società che non sa proteggere i suoi ragazzi dalle violenze, vecchie e insieme nuove, come quella che ha piegato Carolina: lo squallido bullismo maschile antico di secoli, che oggi si ammanta di modernità tecnologica e con due semplici click può devastare la vita di una ragazza in modo cento volte più tremendo di quanto sapessero fare un tempo, quando io avevo la tua età, i più grevi pettegolezzi di paese.

Ti ringrazio, Davide, perché hai avuto il coraggio di chiamarci in causa, di mettere noi adulti di fronte alle nostre responsabilità. Le mie sono sì quelle di madre, ma ora soprattutto di rappresentante delle istituzioni. E ti assicuro che le tue parole ce le ricorderemo: non finiranno impastate nel tritacarne quotidiano, che ci fa sussultare di emozione per qualche minuto, e poi ci riconsegna all'indifferenza. Il compito del nostro Parlamento lo hai descritto bene tu, che pure hai molti anni in meno dell'età richiesta per entrarci: "Un Paese che si dice civile non può abbandonare dei pezzi di sé. Non può permettersi di vivere senza una legge contro l'omofobia, un male che spinge molti ragazzi a togliersi la vita". L'altro giorno, in un incontro pubblico contro la discriminazione sessuale, ho sentito ricordare il ragazzo che amava portare i pantaloni rosa, e che oggi non c'è più. A lui, a te, le nostre Camere devono questo atto di civiltà, e spero davvero che la legislatura appena iniziata possa presto sdebitarsi con voi.

Così come ritengo che sia urgente trovare il modo per crescere insieme nell'uso dei nuovi media. Le loro potenzialità sono straordinarie, possono essere e spesso sono poderosi strumenti di libertà, di emancipazione, di arricchimento culturale, di socializzazione. Ma se qualcuno li usa per far male, per sfregiare, per violentare, non possiamo chiudere gli occhi. Il problema, in questo caso, non è quello di varare nuove leggi: gli strumenti per perseguire i reati ci sono e vanno usati anche incrementando, se necessario, la cooperazione tra Stati. Ma sarebbe ipocrita non vedere la grande questione culturale che storie drammatiche come quella di Carolina ci pongono: i nostri ragazzi, al di là della loro invidiabile abilità tecnologica, fino a che punto sono consapevoli dei danni di un uso distorto dei social media? E noi adulti - le famiglie e la scuola - siamo in grado di portare dei contributi per una gestione più responsabile di questi strumenti? Vorrei che ne ragionassimo anche nei luoghi istituzionali della politica.

Hai chiesto di essere ascoltato, Davide. Se ti va, mi farebbe piacere incontrarti nei prossimi giorni alla Camera, per parlare di quello che stiamo cercando di fare. A Carolina non posso dirlo, purtroppo, ma vorrei egualmente conoscere i suoi familiari. Per condividere un po' della loro sofferenza, e perché altre famiglie la possano evitare.
(l'autrice è presidente della Camera)

 

Vendola: “La politica faccia la sua parte, senza guerre di religione sulla pelle delle persone”

ALESSANDRA LONGO
ROMA
— «Un ragazzino di 17 anni che dà una lezione a noi adulti. Un ragazzino omosessuale che chiede a questo Paese arretrato: “Devo aver paura di esistere?”». Nichi Vendola è turbato e ammirato dalla «libertà mentale» di Davide, autore di quella lettera a Repubblicache mette tutti all’angolo. Al punto che anche nel centrodestra si registra qualche smottamento emotivo. Sandro Bondi e Giancarlo Galan lanciano un appello interno al Pdl: «È ora di garantire i diritti civili». Mai troppo tardi. Su questo tema il leader di Sel, tiratosi fuori dalle larghe intese, ha un atteggiamento ecumenico: «Qualunque gesto di resipiscenza nel centrodestra è il benvenuto. Nessuno vuole scatenare il conflitto politico o la guerra di religione sulla pelle delle persone, sui loro sentimenti, sui loro vissuti». Un ragazzino che parla di «suicidio» come alternativa al buio dei diritti nel nostro Paese può avere forse la forza di smuovere le cose, aprendo dei varchi a destra: «Del resto per forze che si autodefiniscono liberali e riformiste — osserva Vendola — è davvero inconcepibile attardarsi in concezioni arretrate e in linguaggi ideologici così violenti».
Davide ha dovuto gridare ad un giornale la sua rabbia di giovane omosessuale. Una sconfitta della politica.
«È la conferma di come la vita reale cerchi sempre di ritagliarsi una finestra per farsi vedere dalla politica, dalla coscienza collettiva. Il termometro della febbre civile ce l’ha questo ragazzino! È lui che ci dice, con sincerità disarmante, quel che è questo Paese, il suo livello insopportabile di arretratezza su temi come modernità e laicità. Lo fa con una scrittura solenne. Davide mi sembra una bella persona che lancia un terribile messaggio: “Non mi private del sentimento di me stesso”».
Rivendica un diritto.
«Sì, è questo che fa».
Ma evoca anche una parola terribile: il suicidio.
«In questo caso la metafora del suicidio mi sembra fortunatamente un escamotage letterario per arrivare alla denuncia: “Tu, Italia, mi uccidi, instillandomi il senso di colpa, la vergogna, scatenando in me la paura. Tu stai cercando di indurmi al suicidio...”. Davide fa delle domande secche cui è doveroso rispondere. Davide chiede: “Devo aver paura di innamorarmi a 17 anni del mio compagno di banco, devo rassegnarmi a veder mutilata la mia identità?”».
La certificazione di quanto sia indietro l’Italia o meglio chi la governa.
«Io non sopporto personalmente, fisicamente, questo stato di costrizione. Non sopporto di vivere in un Paese dove non c’è ancora una legge contro l’omofobia e si è persino titubanti sul riconoscimento delle unioni civili. Tutto questo mentre il resto del mondo celebra i diritti del mondo gay».
Ha pensato, leggendo Davide, ai suoi 17 anni?
«Mi son rivisto alla sua età, travolto dall’oscuro sentimento di essere l’unico al mondo. Perlomeno Davide può assistere al Gay pride, vedere in televisione le fiction sulla cosiddetta “modern family”.
È già un salto».
Un salto che non è sufficiente a metterci in pareggio con gli altri.
«Infatti. Siamo il fanalino di coda, siamo arretrati sul piano della civiltà, non solo sul tema dei diritti gay. Penso alle carceri sovraffollate, alla gestione dei migranti. È venuta meno proprio la cultura dei diritti».
Davide si definisce «sfortunato », e inchioda tutti alle proprie responsabilità. Al punto che persino Bondi e Galan reagiscono con un appello per i diritti civili.
«Ben venga l’appello. Non si può fare conflitto politico su questi temi».
Ad un ragazzino gay di 17 anni cosa consiglia? Di andarsene dall’Italia?
«No, ora no. Non è più il tempo della diaspora, è il tempo dei diritti ».

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24 maggio 2013 5 24 /05 /maggio /2013 16:55

Il delirio finale della destra pagana - Quel cattolico senza Dio prigioniero dell' odio

«CI VORRANNO gesti nuovi, spettacolari e simbolici per scuotere le coscienze anestetizzate e risvegliare la memoria delle nostre origini». È con queste parole che Dominique Venner, storico francese di estrema destra, annuncia sul proprio blog il suicidio di ieri. Dopo essersi recato alla cattedrale di Notre-Dame, Venner si è tirato un colpo di pistola in bocca davanti all' altare. Un gesto estremo e scioccante. Il cui valore simbolico, però, è estremamente ambiguo, soprattutto quando si pensa che i destinatari del messaggio eversivo sarebbero dovuti essere i militanti cattolici che si sono schierati in questi ultimi mesi contro la legge sul matrimonio gay. Di cattolico, d' altronde, lo storico e saggista francese aveva molto poco. Radicale ed estremista lo era senz' ombra di dubbio. Ma non nel nome di Dio o della fede. Il suo estremismo aveva radici atee e si nutriva di quell' odio per gli "altri" che in questi ultimi tempi, in Francia, si coniuga spesso e volentieri con l' omofobia e il razzismo. Venner era soprattutto noto come esponente di punta di quella "destra pagana" che rivendica non tanto le origini Cristiane dell' Occidente, quanto quelle Greco-Romane iscrivendosi esplicitamente nella linea di pensiero di autori come Drieu La Rochelle e Henry de Montherlant. Ecco perché, per Dominque Venner, le proteste contro la possibilità per le coppie omosessuali di accedere al matrimonio rappresentavano in fondo solo un pretesto per ricordare ai suoi concittadini il vero problema della contemporaneità, ossia la perdita delle tradizioni. Quelle tradizioni della "France éternelle" che si sarebbero dovute rispolverare anche utilizzando la violenza, perché per coloro che rimpiangono il passato è sempre meglio morire da eroi che soccombere alla decadenza contemporanea. Noto per le sue posizioni radicali, Venner dirigeva dal 2002 la Nouvelle Revue d' Histoire, rivendicando in modo anche virulento la difesa del nazionalismo. La Francia, secondo quest' intellettuale, aveva il dovere morale di non capitolare di fronte allo strapotere dell' Islam, anche a costo di utilizzare la violenza. Prima di tutto quella forma di violenza che è il rifiuto: rifiuto dell' alterità e del multiculturalismo; rifiuto delle differenze e degli stranieri; rifiuto dell' omosessualità e della decadenza. La violenza delle azioni in secondo luogo, perché, prima o poi, arriva il momento in cui le parole devono essere autentificate dai fatti. Come non vedere allora nelle grandi manifestazioni contro il matrimonio gay uno spunto per ricordare a tutti la necessità della difesa dell' entre-nous, di un' identità monolitica che non accetta compromessi con l' alterità? Come non fare alleanza con quei cattolici di destra, nonostante il rifiuto personale della religione cattolica? Il gesto di Venner è stato sicuramente spettacolare e scioccante. Ma molto probabilmente anche inutile, come accade quando si agisce in modo estremo per difendere valori estremi. Nessun cattolico dovrebbe poter condividere un gesto come questo, non solo per la violenza estrema e distruttiva del suicidio in un luogo pubblico, ma anche per la scelta particolare del luogo dove compierlo. Che senso può avere il fatto di tirarsi un colpo di pistola in bocca davanti all' Altare di Notre-Dame se non quello di provocare in modo oltraggioso chi considera la Chiesa come la casa di Dio? Certo, quando si assolutizzano i propri valori si rischia poi di perdere di vista il fatto che i valori sono sempre e comunque al servizio dell' umano. Quando si pensa che la difesa delle tradizioni implica il rifiuto di ogni altra cultura si rischia poi di smarrire il senso stesso delle tradizioni. Ma per rendersene conto, forse, si dovrebbe essere capaci di accettare il dialogo e la differenza, aprirsi all' alterità che alimenta lo spirito critico - che è poi il cuore stesso del Cattolicesimo - e non ritrovarsi al fianco di chi eroicizza la violenza come unico mezzo per difendere le proprie idee.

 

MICHELA MARZANO

 

 

In Francia c’e’ un clima isterico; i reazionari cercano un martire

«E' un gesto eccezionale che non si era mai visto nella storia politica francese contemporanea».

Per uno studioso dell'estrema destra come Jean-Yves Camus, il nome di Dominique Venner non è certo nuovo. «Veniva considerato una figura mitica dentro a certi ambienti. E' diventato il riferimento ideologico di molti gruppi della 'nuova destra' negli anni Ottanta. Negli ultimi tempi aveva saputo anche costruirsi un seguito tra i giovani grazie al web» racconta Camus, che ha firmato diversi saggi sul Front National ed è tra gli autori del "Dizionario critico del razzismo" appena pubblicato in Francia.

La battaglia contro il matrimonio delle coppie gay è davvero la causa di questo gesto estremo? «Seguivo Venner sul suo blog, aveva anche una pagina Facebook molto frequentata. E' vero che nelle ultime settimane i suoi toni contro la riforma del governo erano diventati più virulenti.

Era favorevolmente colpito da questa 'primavera' di mobilitazione in difesa di valori che lui ovviamente condivideva».

Una Francia reazionaria che si è improvvisamente risvegliata? «Non credo che si possa dire con certezza che la riforma del governo sia stata l'unica motivazione di Venner. Bisognerebbe essere prudenti prima di trarre facili conclusioni perché, come dicevo, si tratta di un gesto eccezionale, qualcosa di mai visto prima nel nostro paese. Ogni paragone è fuorviante. Anche i suoi amici e il suo editore sono stati colti di sorpresa. Tutti quelli che gli erano vicini ora rilasciano dichiarazioni contraddittorie».

Ha letto il suo ultimo post? «Il matrimonio gay è uno dei suoi tanti bersagli. Ma non si limita a questo. Parla anche molto di immigrazione, della cosiddetta identità nazionale. Di sicuro, Venner si era convinto che la Francia era ormai entrata in una fase di decadenza irreversibile.

Una situazione che lui, avendo alle spalle un certo tipo di passato, considerava intollerabile. Ma era anche un uomo malato e molto orgoglioso, non escluderei che abbia compiuto il suicidio anche per ragioni personali».

Non era comunque un folle.

«Nella lettera che ha lasciato, avrebbe rivendicato di agire nel pieno delle sue facoltà. Su questo non possiamo speculare. I contenuti di una o più missive sono ancora segreti. Ci sarà un'inchiesta e ne sapremo di più nelle prossime ore. Intanto, però, molti gruppi dell'estrema destra cercano di farne un martire. Non mi stupisce: fa parte del clima di isteria dentro al quale la Francia è precipitata negli ultimi mesi».

Marine Le Pen ha subito elogiato Venner.

«E' una dichiarazione grave e tra l'altro inesatta. Venner disprezzava l'attuale Front National, dal quale si era da tempo allontanato. Non apparteneva a nessun partito. Era un tipico esponente della generazione formata politicamente negli anni Sessanta per la difesa dell'Algeria francese, e poi ha elaborato la 'nuova destra' che ha i suoi riferimenti culturali non solo in Francia, ma anche in Italia. Per come l'ho conosciuto e per quello che scriveva nei suoi libri, si riteneva intellettualmente superiore agli attuali dirigenti del Front National». I suoi appelli sono un tentativo di fomentare un clima d'odio? «Venner era un punto di riferimento per una vecchia guardia dell'estrema destra francese. Ma nonostante i suoi 78 anni era tutt'altro che marginale, come ora sostengono alcuni. Attraverso Internet, era riuscito a far circolare le sue idee anche tra i più giovani, che compravano persino i suoi libri».

La contestazione rischia di radicalizzarsi? «Purtroppo, durante le ultime manifestazioni contro i matrimoni gay abbiamo assistito a scontri sempre più frequenti con la polizia. Non è una buona immagine per una destra che, almeno a parole, dovrebbe essere 'legge e ordine'».

François Hollande non aveva previsto questa escalation? «Più che per la sinistra, ritengo sia scattata una trappola per la destra che ha irresponsabilmente lasciato campo libero ad alcuni gruppi radicali. Ora la situazione rischia di sfuggire di mano. Il segretario dell'Ump, JeanFrançois Copé, è stato costretto ad annullare la sua partecipazione alla nuova manifestazione contro i matrimoni gay, prevista domenica. E' quel che succede quando si innesca un ingranaggio, senza preoccuparsi di come sarà possibile poi fermarlo».

 ANAIS GINORI

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