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16 maggio 2013 4 16 /05 /maggio /2013 17:39

Una prima selezioni di articoli dopo il caso che ha aperto un serio dibattito su una malattia che colpisce molte donne.

 

LA LEZIONE DI MIA MADRE

LOS ANGELES

 MIA madre ha combattuto contro il cancro per quasi un decennio, ed è morta all' età di 56 anni. Ha resistito abbastanza a lungo da poter conoscere il primo dei suoi nipoti e stringerlo tra le braccia. LOS ANGELES IMIEI altri figli però non avranno l' opportunità di conoscerla e sapere quanto fosse affettuosa e gentile. Parliamo spesso della "mamma di mamma", e mi sono ritrovata a tentare di spiegar loro il male che ce l' ha portata via. Mi hanno chiesto se potrebbe accadere la stessa cosa a me. Ho sempre risposto loro di non preoccuparsi, ma in realtà sono portatrice di un gene "difettoso", il BRCA1, che aumenta considerevolmente le probabilità che io possa sviluppare un tumore al seno e alle ovaie. I miei medici ritenevano che avessi l' 87 percento di probabilità di sviluppare un tumore al seno e il 50 percento alle ovaie, sebbene i rischi varino da donna a donna. Solo una frazione dei casi di tumore al seno è causata a una mutazione genetica di tipo ereditario. In coloro che presentano un' anomalia nel BRCA1, il rischio di sviluppare un tumore al seno è pari in media al 65 percento. Venuta a conoscenza della mia situazione ho deciso di attivarmi e minimizzare quanto possibile i rischi. Ho quindi deciso di sottopormi a una mastectomia totale preventiva. Ho iniziato con il seno perché nel mio caso la probabilità di sviluppare un tumore al seno era superiore rispetto al rischio di tumore alle ovaie, e perché l' intervento è più complicato. Il 27 aprile ho completato i tre mesi di decorso post-operatorio. Durante quel periodo sono riuscita a non far trapelare nulla e a mandare avanti il mio lavoro. Se ne scrivo adesso è perché spero che altre donne possano trarre beneficio dalla mia esperienza. La parola cancro continuaa incutere terrore nei cuori delle persone, producendo un profondo senso di impotenza. Oggi però un' analisi del sangue permette di scoprire se si è ad alto rischio di sviluppare un tumore al seno e alle ovaie, e agire di conseguenza. La mia vicenda è iniziata il 2 febbraio con un intervento chiamato "nipple delay", che serve a scongiurare la possibilità che il male abbia colpito i dotti situati dietro il capezzolo e che permette di far confluire una maggiore quantità di sangue in quella area del corpo. È una procedura dolorosa, che causa molte ecchimosi, ma aumenta le possibilità di preservare il capezzolo. Due settimane dopo mi sono sottoposta alla mastectomia vera e propria, durante la quale il tessuto mammario è stato asportato e sostituito da alcuni filler temporanei. L' operazione può richiedere anche otto ore. Ci si sveglia con dei tubi di drenaggio e degli espansori inseriti nel seno. Sembra davvero la scena di un film di fantascienza. Ma a pochi giorni dall' intervento si può riprendere una vita normale. Nove settimane più tardi la procedura viene completata con la ricostruzione della mammella tramite l' inserimento di un impianto. Negli ultimi anni sono stati compiuti grandi progressi in questo campo, e i risultati possono essere ottimi. Ho voluto raccontare questo per far sapere alle altre donne che la decisione di sottoporsi a una mastectomia non è stata facile. Ma che sono molto felice di averla presa. Le mie probabilità di sviluppare un tumore al seno sono diminuite, passando dall' 87 percento a meno del 5 percento. Posso dire ai miei figli che non devono avere paura di perdermi per un tumore al seno. È rassicurante sapere che non hanno dovuto assistere a nulla che avrebbe potuto metterli a disagio. Vedono che ho delle piccole cicatrici, nulla di più. Per il resto sono sempre la Mamma, la stessa di sempre. E sanno che li amo e che farei qualsiasi cosa pur di restare accanto a loro il più a lungo possibile. Sul piano personale, non mi sento affatto meno donna di prima. Aver compiuto una scelta drastica, che non ha intaccato in alcun modo la mia femminilità, mi fa sentire forte. Ho la fortuna di avere un compagno, Brad Pitt, che mi dà molto amore e appoggia le mie scelte. Voglio che chiunque abbia una moglie o una compagna che sta attraversando una situazione simile sappia di avere un ruolo molto importante da svolgere. Bradè rimasto al Pink Lotus Breast Center, dove sono stata operata, per l' intera durata degli interventi. Siamo riusciti a trovare dei momenti per ridere insieme. Sapevamo che ciò che stavamo facendo era la cosa giusta per la nostra famiglia, e che ci avrebbe uniti ancora di più. E così è stato. Spero che ogni donna che leggerà queste righe trovi conforto nel sapere di avere delle alternative. Voglio incoraggiare tutte le donne, soprattutto quelle che hanno dei casi di tumore al seno in famiglia, a informarsi e cercare degli esperti capaci di aiutarle,ea compiere delle scelte consapevoli. So che esistono dei fantastici medici olistici che si dedicano alle alternative alla chirurgia. Il sito del Pink Lotus Breast Center pubblicheràa tempo debito il percorso che ho seguito, e spero che ciò possa essere d' aiuto ad altre donne. Stando all' Organizzazione mondiale per la Sanità, ogni anno il tumore al seno uccide, da solo, circa 458.000 persone. Soprattutto nei Paesi dove il reddito è basso o medio-basso. Quella di assicurarsi che un maggior numero di donne, a prescindere dai loro mezzi e dall' ambiente in cui vivono, possa avere accesso ai test genetici e al trattamento preventivo che può salvare la vita deve diventare una priorità. Negli Stati Uniti l' esame per il BRCA1 e il BRCA2 costa più di tremila dollari, e ciò rappresenta un ostacolo per molte donne. Ho scelto di non tacere perché molte donne vivono all' ombra del cancro, senza saperlo. Spero che anche loro possano sottoporsi al test, e che nel caso risultino ad alto rischio sappiano di disporre di alternative valide. La vita ci presenta molte sfide. Non dovremmo temere quelle che possiamo affrontare e sulle quali abbiamo la possibilità di intervenire. (©2013 The New York Times Distributed by The New York Times Syndicate Traduzione di Marzia Porta)

 LE COLPE DELLA SCIENZA

LA SCIENZA è brava nel trovare in un gene mutato una causa del tumore del seno, ma non è altrettanto brava a proporre soluzioni. Abbiamo gli strumenti per sapere se una donna ha un rischio superiore alla media di ammalarsi. Ma non abbiamo gli strumenti per evitare che si ammali. È il caso in cui il sapere ci aiuta a proteggerci da una malattia che spaventa, ma ci lascia il peso del dilemma sul come. La scelta di Angelina Jolie è una possibilità, ma non è né l' unica, né per certo la migliore. Una donna che si trova nella situazione della star ha davanti a sé sostanzialmente due opzioni. La prima è di togliere entrambe i seni, come ha fatto la Jolie, una strada percorsa oggi da molte donne e resa meno difficile dai progressi straordinari della chirurgia ricostruttiva degli ultimi anni. Questa scelta ha però i suoi svantaggi, oltre a quello di dover affrontare un intervento invasivoe mutilante: le protesi moderne sono molto avanzate, ma rimangono pur sempre un corpo estraneo al nostro organismo, con tutti i rischi di fibrosi e di reazioni varie che questo comporta, e in ogni caso vanno sostituite ogni 10/12 anni, sottoponendosi ad altri interventi chirurgici. Ma, soprattutto, anche con un' operazione radicale, il rischio di tumore non si annulla e rimane intorno al 5%, perché la ghiandola mammaria può avere piccole aree periferiche che si possono ammalare e se questo avviene, è più difficile da diagnosticare precocemente e da trattare. L' alternativa che propone la medicina è sottoporsi ad un programma di "sorveglianza speciale" che prevede di sottoporsi ogni sei mesi a ecografia e risonanza magnetica. Con questi esami è dimostrato che si possono scoprire tumori di dimensioni minime, addirittura impalpabili, che possono essere asportati con un intervento mini-invasivo che rispetta l' integrità del corpo femminile e può ottenere una percentuale di guaribilità fino al 98%. In questo caso lo svantaggio è essenzialmente psicologico: molte donne non se la sentono di affrontare per tutta la vita questa sorta di appuntamento con il proprio destino, che diventa una fonte di ansia permanente, e preferiscono fare qualcosa, qualsiasi cosa, che tolga loro questo tarlo dalla mente. Dobbiamo ricordare sempre che tutti i tumori, e quello del seno in particolare, hanno una dimensione soggettiva che segna il perimetro della loro gravità. La stessa malattia può apparire più o meno grave a seconda della mente che la vive. Nel seno c' è il simbolo della maternità e della sensualità, le due anime femminili, verso cui ogni donna ha un suo rapporto intimo e segreto e un suo vissuto irripetibile. Per questa complessità e profondità, non esiste una soluzione al 100% giusta per tutte le donne che scoprono di avere il gene BRCA mutato e dunque una predisposizione per il tumore del seno. Esiste però una soluzione che molti come me raccomandano a chi riesce a vivere senza eccessiva ansia la situazione di rischio. Io credo nel valore della prevenzione e della diagnosi precoce e per tutta la vita ho lottato contro la brutalità della chirurgia oncologica, che un tempo mutilava senza ritegno il corpo femminile, senza peraltro ottenere una maggiore efficacia. Mi sono ribellato al principio del massimo tollerabile (bisogna effettuare i trattamenti alle massime intensità che la persona può sopportare) a favore del principio del minimo efficace (bisogna trovare la misura della cura che assicuri la massima efficacia raggiungibile con il minimo di effetti collaterali) in nome della qualità della vita. Ed eccoci ancora alla dimensione psicologica della malattia, su cui tutto ruota. Al di là di alcuni parametri clinici oggettivi, solo la persona malata può valutare la qualità della sua vita. L' importante è che possa scegliere e la medicina oggi, con la possibilità dei test genetici, offre alle donne questa opportunità. Angelina Jolie ha preferito farsi asportare entrambe i seni piuttosto che convivere con un alto rischio perché questa è la sua idea personale di qualità. di vita ,Io la capisco, ma invito le altre donne ad informarsi sulla propria situazione di rischio individuale presso i centri specializzati, e poi, soprattutto, a scegliere per sé. Senza condizionamenti. ©

Il fatto è che non siamo sicuri che il suo sacrificio sia giusto e la rinuncia ad una nota distintiva della femminilità porti davvero ad una prevenzione. Già nel 2011 su Doctornews, Umberto Veronesi, a proposito di una nuova tecnica chirurgia video-assistita, che permette di eseguire una mastectomia bilaterale per via ascellare, tecnica nuova e messa a punto da un'equipe di chirurgi del Policlinico San Matteo di Pavia, ebbe modo di dirsi contrario, perché, disse, con la mutazione di Brca1 e 2 non si eredita la malattia, ma la predisposizione ad ammalarsi, e per circa la metà delle donne con mutazione genetica ci sono probabilità che il tumore non si sviluppi mai, anche in caso di test positivo.

E soprattutto, sottolineò lo studioso, va ricordato che oggi se il tumore viene individuato in fase molto iniziale la percentuale di guarigione è intorno al 98% dei casi, infatti l'ecografia e la mammografia annuali e la risonanza magnetica nei casi di incertezza sono capaci di trovare tumori così piccoli che possono anche essere trattati con terapie rispettose dell'integrità e della qualità della vita della donna.

Veronesi ha anche accennato alle strade che si stanno percorrendo: il controllo e la farmacoprevenzione, cioè la somministrazione di farmaci che hanno dimostrato di poter bloccare il processo cellulare prima che nasca il tumore.

Viene allora da concludere, nonostante la drastica decisione della Jolie e di molte altre donne, che in base a queste premesse la mastectomia preventiva, cioè l'intervento chirurgico per l'eliminazione delle mammelle, se anche riduce quasi a zero il rischio di ammalarsi, è una profilassi troppo aggressiva e rappresenta concettualmente un passo indietro rispetto alla filosofia della chirurgia oncologica moderna, che tende invece a conservare il più possibile.

UMBERTO VERONESI

 

Caso Angelina Jolie, “no certezze da test genetici su prevedibilità tumore seno”

"Prudenza, prudenza, prudenza". E l'invito che gli esperti fanno dopo il caso di mastectomia preventiva dell'attrice americana, a favore di controlli preventivi serrati, "che danno una possibilità di guarigione al 98%", nelle parole di Umberto Veronesi, in verità contestate da chi il cancro l'ha combattuto in prima persona sulla propria pelle- La moderna tecnologia e chirurgia ha fatto molti progressi, ma la protesi dura 10-12 anni . L’operazione va in seguito ripetuta. Questo non è secondario per chi sceglie questa stada.

di Elisabetta Ambrosi | 16 maggio 2013

Prudenza, prudenza, prudenza. E un invito fermo a non dimenticare l’efficacia di controlli preventivi serrati, “che danno una possibilità di guarigione al 98%”, nelle parole Umberto Veronesi in verità contestate da chi il cancro l’ha combattuto in prima persona sulla propria pelle (articolo di Stefania Prandi). Dopo l’articolo sul New York Times di Angelina Jolie sulla sua mastectomia preventiva, gli esperti italiani si schierano su una linea di cautela. “Oggi c’è la tendenza a proporre alle pazienti la mastectomia preventiva con troppa leggerezza, ma si tratta di una scelta delicatissima da ponderare con grande attenzione”, spiega Riccardo Masetti, direttore del centro di senologia del Policlinico Gemelli di Roma.

Gli fa eco Adriana Bonifacino, responsabilità dell’unità di senologia del Policlinico universitario Sant’Andrea di Roma. “Scelte come la mastectomia non vanno prese con la bacchetta magica, ma con l’aiuto di un team formato da oncologo, genetista e psicologo“. “Anche se il caso di Angelina Jolie ha il merito di aver sollevato un problema molto sentito in Italia”, continua, “su 46.000 tumori al seno all’anno nel nostro paese solo il 10-15% per cento, circa 5.000, ha un rischio molto alto di sviluppare la malattia. Ma anche chi è positivo al gene Brca1 può decidere di seguire uno stretto programma di controlli”.

Mentre negli Stati Uniti i casi di rimozione preventiva del seno aumentano – dall’1,8% del 1998 al 4,5% del 2003 per entrambi i seni e dal 4,2 al 11% per un solo seno, secondo il “Journal of Clinical Oncology” – in Italia la maggioranza della comunità scientifica mette l’accento sui rischi di un intervento preventivo e, insieme, sulla complessità di una malattia come il tumore, dove i fattori scatenanti possono essere molteplici. “Non do giudizi nel merito delle singole scelte, ma va ricordato che anche dopo l’asportazione di seni e magari di ovaie il tumore può comunque manifestarsi altrove, ad esempio nella sfera genitale”, spiega l’oncologo romano Corrado Nunziata. “Inoltre, i test genetici non danno ancora certezze, anche perché non esiste un solo gene che interferisce su un sistema. Autopalpazione, mammografia e risonanza magnetica sono invece strumenti efficaci. Ma soprattutto, prima di un intervento di questo tipo bisognerebbe porsi alcune domande. Ad esempio: che conseguenze può avere l’asportazione di seno e ovaie in una donna di trent’anni? Forse occorrerebbe anche un lavoro individuale per capire da dove nasce la paura“.

E proprio sui gravi contraccolpi psicologici dopo interventi di questo tipo mette l’accento chi lavora da anni sulle emozioni legate alla malattia, e in particolare proprio sul cancro al seno. “È un tema complesso, ed è ovvio che l’ultima parola resta sempre al malato, ma è possibile ragionevolmente affermare che la decisione di togliere il seno in via preventiva risponde al tentativo di placare l’ansia e alla speranza di poter controllare tutto”, spiega la psicoanalista Marta Tibaldi, autrice del libro “Oltre il cancro” (Moretti&Vitali). “Purtroppo, la chirurgia non risponde a nessuno dei due obiettivi perché mentre l’ansia che arrivi un tumore in altre zone resta viva, il pensiero di avere tutto sotto controllo si rivela illusorio. Sarebbe molto utile da questo punto di vista poter riflettere insieme a una persona che ha uno sguardo più neutro, per prendere distanza dalla paura”.

Da ex paziente oncologica, Tibaldi rivolge anche una critica verso i medici: “Quando avevo 18 anni, un medico mi propose, per una sola ciste al seno, di “togliere tutto”. Come se il seno fosse qualcosa che si può togliere senza conseguenze. Con un pizzico di provocazione, vorrei chiedere ai medici cosa proverebbero di fronte a chi li invita a eliminare i testicoli in via preventiva”. Un’ultima riflessione, infine, arriva anche sui bambini: “Da quello che risulta dalla lettera scritta sul New York Times, la Jolie motiva la sua scelta come difesa dei suoi figli”, conclude Tibaldi. “Ma io mi chiedo se un gesto simile non rischi, al contrario, di caricare i figli del peso emotivo della malattia, che richiederebbe invece un’elaborazione dell’angoscia e delle sue motivazioni profonde”.

 

 

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5 maggio 2013 7 05 /05 /maggio /2013 07:44

 

TUTTOSCIENZE - La Stampa

“Lasciate che i gay si sposino, anche la psicologia ha detto sì” “E i figli di coppie gay sono come tutti gli altri”

monica mazzotto

«Non esistono motivazioni scientifiche valide per proibire i matrimoni omosessuali». Più chiaro di così. È la dichiarazione resa dalla Apa, l’American psychological association, la più importante associazione di psicologi Usa, di fronte alla Corte Suprema, interpellata per giudicare, entro giugno, due casi fondamentali per i diritti omosessuali. Il primo riguarda il dubbio di incostituzionalità per il divieto dei matrimoni gay in California e il secondo sfida la legge federale, che definisce il matrimonio esclusivamente come l’unione tra un uomo e una donna.

Dottor Clinton Anderson, lei è a capo del dipartimento dell’Apa che si occupa di queste tematiche, noto come Lgbt, Lesbian, gay, bisexual and transgender concerns office: quali sono gli studi che vi hanno spinto a esprimervi così nettamente a favore dei matrimoni gay?

«La nostra affermazione si basa sull’analisi di molte ricerche condotte dagli Anni ’50 a oggi e che hanno confrontato coppie eterosessuali e coppie omosessuali. Ancora non possiamo paragonare coppie sposate omo ed eterosessuali, perché, negli Usa, il matrimonio gay è consentito solo in alcuni Stati (il primo è stato il Massachusetts, nove anni fa). Gli studi su cui ci siamo basati comparano coppie dello stesso sesso a coppie eterosessuali e non hanno trovato significative differenze sui motivi che rendono le coppie felici o infelici, di successo o insuccesso, soddisfatte o insoddisfatte».

Non ci sono davvero differenze?

«L’unica differenza emersa è che la longevità delle coppie omosessuali potrebbe essere leggermente più breve di quella eterosessuale. Ma dobbiamo cercare di capire le motivazioni: le coppie sposate ricevono un forte incoraggiamento sociale a rimanere unite e inoltre, per divorziare, devono affrontare barriere sia legali sia sociali. Al contrario le coppie omosessuali, ma anche le coppie eterosessuali non sposate, non sono supportate da questi sistemi legali e sociali. Il matrimonio quindi può influenzare la durata di un rapporto e può essere un incoraggiamento a rimanere insieme. Per questo, finché non ci saranno studi su coppie omosessuali sposate, i dati non possono essere paragonati e non abbiamo motivi per pensare che la longevità di una relazione sia correlata all’orientamento sessuale».

La longevità è l’unica differenza?

«Ovviamente ci sono differenze di genere. Gli uomini e le donne nelle loro relazioni sono diversi. Negli Usa gli uomini sono più inclini ad avere relazioni al di fuori del rapporto ufficiale e le donne sono più inclini a occuparsi della casa e dei figli. Queste differenze di genere vanno rapportate alla tipologia di rapporto: si è osservato che nelle coppie omosessuali c’è un maggiore equilibrio dei ruoli, per esempio nelle mansioni di casa o nel contributo alla vita di coppia».

Ma quali vantaggi, rispetto a una convivenza, derivano dal matrimonio di una coppia gay?

«Una vasta serie di ricerche su coppie sposate eterosessuali ha evidenziato come il matrimonio porti numerosi benefici non solo sociali, legali ed economici, ma anche psicologici. Crediamo che non vi siano motivi validi per non poter estrapolare gli stessi risultati per le coppie omo. Ed è verosimile che anche per loro e per i figli ci sarebbero gli stessi benefici».

Con la Francia, dove è passata al Senato la legge sui matrimoni omosex, sono 14 i Paesi, oltre ai nove Stati Usa, dove due persone dello stesso sesso possono sposarsi: quanto contribuisce la scienza a cancellare tabù e stereotipi?

«Ci sono molte ricerche psicologiche che spiegano quali siano i fattori nel cambiamento d’opinione rispetto a un problema. Ma, tra questi, la conoscenza del problema stesso non ha la maggiore influenza».

Quali sono, allora, gli elementi decisivi?

«L’interagire, il condividere le vite delle persone, il ridurre le proprie ansie grazie a questa vicinanza, il comprendere e l’empatia: sono queste le chiavi che consentono un reale cambiamento di giudizio. Penso, però, che il ruolo della conoscenza e della scienza sia importante, perché costringono le persone a confrontare le proprie convinzioni con dei dati di fatto. Così non ci si può più nascondere dietro l’idea che esistano delle differenze».

In Italia un sondaggio Istat ha evidenziato che il 43,9% degli intervistati si dice d’accordo sui matrimoni gay, mentre solo il 20% sull’adozione da parte di una coppia omosessuale. L’ Apa, invece, insieme con l’American academy of pediatrics, si è dichiarata favorevole anche all’adozione: su quali basi?

«Premetto che c’è grande differenza tra Usa ed Europa. Da noi è più facile per le coppie omosessuali reclamare i diritti relativi alla paternità o alla maternità. In molti Stati è possibile l’inseminazione artificiale per coppie lesbiche, l’utero in affitto per le coppie gay e anche l’adozione da parte del compagno omosessuale del figlio di uno dei due. In questo campo sono state fatte numerose ricerche, prendendo in considerazione diversi parametri, quali valutazioni psichiatriche, intelligenza, comportamenti problematici, autostima, e c’è sempre stata unanimità nei risultati: non esiste relazione tra l’orientamento sessuale dei genitori e alcun tipo di disagio emotivo, sociale e psicologico dei bambini».

Ma i bambini di coppie «non convenzionali» non rischiano qualche forma di emarginazione?

«Può essere un problema, ma avviene con minore frequenza di quanto si creda. L’importante è far parte di una comunità, perché la comunità non attacca mai se stessa. Avere un senso di appartenenza aiuta l’accettazione. Il vero problema è il bullismo nei confronti di tutti i bambini, non solo dei figli di genitori gay. Se si riuscisse a ridurlo, tutte le altre questioni scomparirebbero».

 

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24 aprile 2013 3 24 /04 /aprile /2013 20:15

  

Parigi-copia-1.jpglink Se clicchi con il tasto destro del mouse su LINK e con il sinistro su "apri in una nuova scheda" ascolterai la musica e leggerai l'articolo                           LA CIVILTÀ DI PARIGI (Michela Marzano).

24/04/2013

Quattordicesimo paese al mondo.La Francia dice sì ai matrimoni gay.

SONO state centinaia di migliaia i francesi scesi in piazza in questi ultimi mesi per manifestare contro la proposta di legge sul matrimonio e sull’adozione delle coppie omosessuali.

Famiglie intere che si sono ritrovate in strada per denunciare in tutti i modi quella che, per loro, non era altro che la distruzione definitiva di un’istituzione secolare. Giovani e meno giovani, cattolici praticanti e militanti dell’Ump, musulmani e simpatizzanti del Front National, tutti insieme contro il “matrimonio per tutti”. Ma il governo socialista non si è lasciato influenzare e, nonostante le proteste fossero aumentate in questi ultimi giorni, è riuscito a tenere la promessa fatta in campagna elettorale da François Hollande.
Nonostante il ritorno fragoroso della morale religiosa, è prevalso ancora una volta il principio di laicità secondo il quale, in uno Stato democratico e liberale, esiste una netta separazione tra la sfera pubblica e la sfera privata, i poteri politici e le istituzioni religiose. Lo Stato deve lasciare i cittadini liberi di autodeterminarsi, dando loro la possibilità di usufruire degli stessi diritti indipendentemente dal proprio credo religioso, dal proprio genere e dal proprio orientamento sessuale. Certo, i dibattiti sono stati molto accesi, talvolta feroci. Non perché coloro che si oppongono al matrimonio e all’adozione da parte delle coppie gay giudichino “immorale” l’omosessualità – come ancora si sente dire in Italia – ma perché la tolleranza proclamata nei confronti dei “diversi”, anche in Francia, sembra avere dei limiti: tutto va bene finché questi “diversi” si limitano a non chiedere gli stessi diritti accettando pazientemente le conseguenze della propria “differenza”. Due omosessuali si amano? Benissimo, ma che lo facciano in silenzio, altrove, senza troppe pretese. Perché volersi anche sposare? Perché voler addirittura adottare dei figli?
L’ipocrisia non ha nazionalità. Anche in Francia, sono numerosi i donneurs de leçons
che pensano che l’uguaglianza sia uno dei cardini della democrazia e della civiltà e che poi, in nome della dignità, della natura, della fede religiosa o della tradizione si oppongono alla realizzazione concreta di questa stessa uguaglianza. Anche in Francia, sono molti coloro che hanno voluto strumentalizzare la questione della differenza sessuale cercando di mostrare che il matrimonio e l’adozione da parte dei gay avrebbero significato la cancellazione delle differenze e la mercificazione dei figli. Ma in Francia, a differenza dell’Italia, ha prevalso la volontà di attribuire agli omosessuali gli stessi diritti e gli stessi doveri degli eterosessuali: non più cittadini di serie B, ma cittadini come tutti gli altri. In Francia, le manifestazioni nelle piazze non hanno fatto fare un passo indietro a François Hollande. Quando saremo capaci, anche in Italia, di superare le opposizioni ideologiche e di smetterla di utilizzare la fede come un alibi per discriminare coloro che non corrispondono ad un modello ben determinato di uomo, di donna, o di famiglia?
Il messaggio d’amore del Vangelo è un messaggio inclusivo e non esclusivo. Non esiste una differenza tra un “noi” degno di rispetto e di stima e un “voi” da condannare, emarginare e correggere. Esistono solo tante persone diverse da rispettare nonostante le loro differenze – anzi, da rispettare forse soprattutto grazie alle loro differenze. È questo che ci sta insegnando e ricordando anche il nuovo Pontefice da quando nella prima udienza con i giornalisti, per rispettare i non credenti, decise di non intonare la classica e solenne benedizione apostolica e di limitarsi ad una benedizione silenziosa. Speriamo che questo segno di grande umiltà insegni anche a chi pensa di essere il portavoce della verità che non c’è amore più grande di chi permette a tutti, indipendentemente dal proprio credo, dal proprio genere e dal proprio orientamento sessuale, di godere degli stessi diritti. L’uguaglianza nella diversità, anche nella cattolicissima Italia.

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8 aprile 2013 1 08 /04 /aprile /2013 20:42

costituzione-3.jpg   link  Mozart: Trio for Clarinet, Viola and Piano, K.498   Se clicchi con il tasto destro del mouse su link e con il sinistro su "apri in una nuova scheda" ascolterai la musica e leggerai l'articolo                                           La Costituzione è l’insieme dei principi fondamentali che sono alla base dell’ordinamento giuridico di uno Stato, è quindi la legge fondamentale dello Stato.

Negli stati contemporanei si presenta sotto forma di documento scritto in quanto costituisce l’ordinamento giuridico, il cui scopo è quello di proclamare i diritti inviolabili dei cittadini e di porre un limite ai poteri dello Stato. Fa eccezione la Gran Bretagna che non ha una Costituzione scritta, ma le norme costituzionali rappresentano norme consuetudinarie in quanto sono leggi emanate in periodi storici diversi.

LA COSTITUZIONE ITALIANA

Il 2 giugno 1946 i cittadini furono chiamati a votare contemporaneamente per il referendum tra monarchia e repubblica e per l’Assemblea Costituente. Queste furono le prime elezioni della storia dell’Italia svolte a suffragio effettivamente universale. Il decreto del 1° febbraio 1946 aveva infatti esteso finalmente il diritto di voto anche alle donne.

Fra i 556 delegati dell’ assemblea sedevano i cosiddetti padri della Costituzione che dopo un anno e mezzo circa (1° gennaio 1948) elaborarono la Costituzione.

CARATTERI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

1. E’ la legge fondamentale da cui discendono e a cui si ispirano tutte le leggi ordinarie. Nessuna legge può mai essere in contrasto con quanto dice la Costituzione e, nel caso ciò avvenga, è sempre quest’ultima a prevalere. Si parla quindi di una Costituzione rigida, ciò significa che le norme costituzionali non possono essere cambiate da leggi ordinarie. Per modificare la Costituzione sono necessarie leggi particolari, le leggi di revisione costituzionale, per l’approvazione delle quali è

prevista una procedura complessa che mira ad allontanare il rischio di facili cambiamenti (art.138 della Costituzione), rigida quindi, non significa immodificabile; la procedura di revisione prevede però regole più complesse rispetto a quelle necessarie per approvare le leggi ordinarie, proprio perché i cambiamenti da apportare al testo costituzionale devono essere frutto di un accordo che coinvolga

tutte le forze politiche, non un’imposizione della volontà della maggioranza. Inoltre l’articolo 139 della Costituzione specifica che “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.

2. La nostra Costituzione è lunga perché non si limita a sancire i principi fondamentali, ma riconosce  una pluralità di diritti anche riguardo ai rapporti etici, sociali ed economici. E’ infatti formata da 139 articoli, essa si apre con una parte introduttiva “i principi fondamentali” (art.1-12), poi seguono:

- la prima parte (artt.13-54) intitolata “diritti e doveri dei cittadini”, tratta del rapporto tra lo Stato e i cittadini;

- la seconda parte (artt.55-139), intitolata “ordinamento della repubblica”, tratta dell’organizzazione dei pubblici poteri;

- seguono le “disposizioni transitorie e finali” (18 articoli) contenenti in prevalenza norme transitorie per il passaggio al nuovo ordinamento.

3. E’ frutto di un compromesso tra tutte le forze politiche che siedevano in Assemblea Costituente.

4. E’ deliberata dal basso perché scritta dai rappresentanti del popolo italiano al contrario dello Statuto Albertino che era stato concesso dal re.

5. E’ scritta.

 

I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA NOSTRA COSTITUZIONE

I principi fondamentali (artt.1-12) sono una specie di “preambolo”, nel quale sono delineate le linee portanti della Carta costituzionale: il principio democratico, lavorista, solidarista, di uguaglianza, di libertà. Questi principi rappresentano i presupposti della società e gli obiettivi verso i quali essa deve tendere. In questi primi articoli della Carta costituzionale si ritrovano gli ideali della rivoluzione francese, sintetizzati egregiamente nell’articolo 1 (la libertà), nell’articolo 2 (la fraternità, o la solidarietà sociale) e nell’articolo 3 (l’uguaglianza).

Più in particolare, in questa “premessa” si delineano:

-la forma di Stato (art.1)

-i rapporti tra lo Stato, i cittadini e i diversi soggetti di diritto (artt. 2, 3 , 4, 6)

-i rapporti tra lo Stato e le autonomie locali (art. 5)

-i rapporti tra lo Stato, la chiesa cattolica e le altre confessioni religiose (artt. 7 e 8)

-la promozione della cultura e la tutela del paesaggio (art. 9)

-i rapporti tra o Stato e l’ordinamento internazionale (artt. 10 e11)

-il simbolo dello Stato stesso (art. 12)

ART.1- IL PRINCIPIO DEMOCRATICO E LAVORISTA

“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione.”

Il comma 1 sancisce il concetto di "Repubblica democratica" (sono l’una il rafforzativo dell’altra) cioè la forma di governo nella quale tutte le cariche pubbliche si riconducono direttamente o indirettamente al consenso del popolo. Viene inoltre sancito il principio del lavoro.

Il comma 2 sancisce il concetto di "Sovranità", si intende il potere supremo di governo, che appartiene esclusivamente al popolo nella sua globalità, ma esercitabile solamente nei modi e nelle forme previste dalla Costituzione (art. 48 e seguenti).

ART. 2- I DIRITTI INVIOLABILI DELL’UOMO

« La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. »

Quest’articolo enuncia che lo Stato italiano, comprese le regioni, province, comuni e tutti coloro che si trovano nel territorio italiano, riconosce quei diritti inviolabili (elencati nella parte prima dei Diritti e Doveri dei cittadini), vale a dire quei diritti riconosciuti a tutti che nessuna legge può infrangere, cioè sopprimere e

che nessuna persona può violare; lo Stato non solo deve rispettarli ma deve anche proteggerli dalle violazioni provenienti dai soggetti privati. Con la parola “riconosce” si intende che i diritti inviolabili fanno parte del patrimonio d’ogni individuo, sia come singolo (diritto al nome, alla libertà d’espressione, ecc), sia come membro d’organizzazioni sociali (famiglia, partiti politici, ecc). Inoltre è introdotto il principio di solidarietà politica, economica e sociale. I doveri di solidarietà politica si riferiscono a situazioni in cui la persona è chiamata a partecipare alla vita della comunità di cui fa parte (diritto di voto). Adempiere ai doveri di solidarietà economica significa agire non pensando solo al nostro tornaconto, ma considerare anche gli altri (pagare le tasse). Adempiere ai doveri di solidarietà sociale significa mettersi a disposizione gratuita di chi ha bisogno (volontariato).

Il riconoscimento dei diritti inviolabili o universali si ha con l’affermazione dello stato democratico, che nel nostro paese avviene con il 2° dopoguerra. E’ un processo storico che è il risultato delle iniziative e battaglie  delle forze sociali e politiche che si sono battute per l’affermazione del suffragio universale, della democrazia e dell’uguaglianza sostanziale dei cittadini. Le forze che hanno portato  avanti questi valori fondamentali sono legate alle organizzazioni del movimento operaio: strutture sindacali, varie forme di cooperative, partiti politici che hanno superato le basi del liberalismo, al di la di una concezione formale dell’uguaglianza di fronte alla legge. In molti casi storici questo è avvenuto con il contributo, le lotte  e il sangue di molte persone. Adesso prende consistenza una concezione molto individualista, frammentata  e parcellizzata della società come se in essa le strutture e organizzazioni economiche e finanziarie che dispongono di capitali immensi,  di grandi mezzi e strutture produttive, di forme di comunicazione potenti fossero sullo stesso piano e livello dei singoli cittadini. C’è chi parla di abolire i sindacati, non per difendere la tradizione e la storia – il modo si organizzarsi di chi partecipa alla produzione e alla distribuzione  della ricchezza conviene si adegui  alla situazione dei tempi -, ma perché si ha un concetto molto singolare dell’attività lavorativa come se il cittadino e le grandi strutture economiche, commerciali e  finanziarie fossero sullo stesso piano e avessero lo stesso potere e capacità  di contrattazione dei singoli cittadini.

ART. 3 – L’UGUAGLIANZA

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di  sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Nel c. 1 viene sancito il principio di uguaglianza formale di tutti davanti alla legge, questa espressione ha due significati:

a) la legge è uguale per tutti (sia governanti che governati),

b) tutti hanno gli stessi diritti, quindi non ci possono essere delle leggi che discriminano il sesso, la religione, la razza, la lingua, l’opinione politica, le condizioni personali e sociali.

Nel c. 2 viene sancito il principio di uguaglianza sostanziale di tutti davanti alla legge proprio perché si riconosce che nella realtà sono presenti delle discriminazioni, quindi la Repubblica deve essere in grado di offrire pari opportunità a tutti affinché essi abbiano gli stessi diritti, rimuovendo qualsiasi tipo di ostacolo che impedisca ai cittadini di partecipare alla vita politica, economica e sociale del Paese (abbattere barriere architettoniche, aiuti economici per le famiglie bisognose, pensione sociale per tutti gli inabili al lavoro …).

ART-4 IL PRINCIPIO LAVORISTA

“la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una

funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”

Nel comma 1 viene sancito il principio del diritto al lavoro ma con tale espressione non si intende che lo stato è obbligato a trovare un lavoro a tutti. Si intende invece che lo stato deve favorire l’economia e l’ingresso nel mondo del lavoro.

Nel comma 2 Il lavoro oltre che un diritto è anche un dovere morale. Si ribadisce che il lavoro deve essere onesto.

ART. 5 - UNITÀ NAZIONALE E AUTONOMIE LOCALI

“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento” .

Ciò significa che l’Italia non è una composizione di Stati indipendenti che manifestano la volontà di federarsi,  il che esclude già da qui la possibilità che il nostro Stato possa – tramite una normale legge del parlamento – diventare uno Stato federale. E’ piuttosto uno Stato Unitario regionale che riconosce il principio del

decentramento amministrativo. Il decentramento amministrativo è il principio secondo cui lo Stato non agisce soltanto con organi centrali, ma si articola in enti autonomi locali (come i Comuni, le Province, le Città metropolitane e, in particolare le Regioni) ed esercita le sue funzioni amministrative attraverso organi e uffici

periferici (per esempio, l’ex provveditorato agli studi, con competenza provinciale, rispetto al Ministero della Pubblica istruzione). Nei maggiori Comuni, il   decentramento è stato attuato con l'istituzione dei consiglio circoscrizionali o di quartiere.

ART. 6 - LA TUTELA DELLE MINORANZE LINGUISTICHE

<<La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche>>

L’articolo 6 è uno dei tanti casi in cui il testo costituzionale ribadisce l’impegno ad eliminare tutti gli ostacoli che limitino l’uguaglianza de cittadini: attraverso questo articolo in particolare, la Costituzione prescrive l’obbligo di tutelare le minoranze linguistiche.

I costituenti hanno così reagito alle discriminazioni che in passato, e soprattutto durante il regime fascista, furono attuate contro coloro che parlavano una lingua diversa. In Alto Adige e in Valle d’Aosta è stato riconosciuto il bilinguismo (tedesco – italiano, francese – italiano): qui il cittadino ha il diritto di usare ufficialmente la propria lingua e la Pubblica amministrazione è tenuta a rispettare tale diritto, dotando i propri uffici (pubblici, giustizia e scuola) di personale bilingue.

In seguito alla recente riforma del titolo V della Costituzione (L.cost.n.3/2001) il bilinguismo è entrato anche nella Costituzione in quanto, proprio la Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige sono citati con il nome bilingue.

L’articolo 6 è stato attuato di recente riguardo ai gruppi minori come i greci, albanesi, sloveni, croati, friulani, franco provenzali ecc. che vivono in piccole comunità in diverse zone d’Italia, così la cultura e la lingua di queste popolazioni sono state finalmente tutelate.

ART. 7 – I RAPPORTI TRA LO STATO E LA CHIESA CATTOLICA

“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.”

Ai tempi dello Statuto Albertino l’Italia era uno stato confessionale cioè aveva un’unica religione di Stato che era la religione cattolica. I Padri costituenti vollero invece che l’Italia fosse uno stato laico riconoscendo alla Chiesa il potere religioso.

Comunque il fatto che abbiano riservato alla Chiesa cattolica un articolo, ci fa capire che essa aveva un ruolo di grande importanza perché la stragrande maggioranza degli italiani erano cattolici e perché Roma è sede del Papato.

Nel c.2 viene stabilito che i rapporti tra lo stato e la Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi. Questi furono stipulati nel 1929 tra Mussolini e il Papa Pio XI per superare i conflitti che erano nati in seguito alla Breccia di Porta Pia del 1870 quando l’esercito piemontese invase Roma. Essi stabilivano:

- l’indipendenza del Papato al quale veniva attribuito un territorio (la Città del Vaticano), proprie guardie, una propria legislazione;

- obbligo insegnamento della religione cattolica in tutte le scuola;

- effetti civili del matrimonio religioso.

Per superare le contraddizioni tra art.7 e patti Lateranensi, nel 1984 venne stipulato un nuovo Concordato che prevedeva:

- insegnamento della religione cattolica facoltativo;

- matrimonio civile, religioso e concordatario.

diritti-civili-e-umani-copia-1.jpgART. 8 – I RAPPORTI TRA LO STATO E LE ALTRE CONFESSIONI RELIGIOSE

“Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge.

Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”.

Nel c.1 viene sancito il principio del pluralismo religioso cioè il riconoscimento della libertà religiosa di ciascuno.

Ma già nel c.2 viene sancito un primo limite all’esercizio delle religioni diverse dalla cattolica e cioè che non devono andare contro le leggi dello Stato italiano (ad. Es. in Italia è proibita ogni forma di menomazione fisica per cui non può essere praticata l’infibulazione).

Nel c.3 si stabilisce che se una religione diversa dalla cattolica vuole vedersi riconosciuti dei diritti, deve stipulare degli accordi con lo Stato italiano e l’iniziativa degli stessi deve partire dai rappresentanti delle religioni. Esempi di intese: Tavola valdese (1984), Avventisti del Settimo Giorno (1986), Comunità ebraica (1987).

ART. 9 - TUTELA DELLA CULTURA, DELLA RICERCA E DEL PAESAGGIO.

“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

La Costituzione garantisce la massima libertà nella formazione e diffusione della cultura e nello svolgimento dell’attività di ricerca, in contrapposizione alla politica seguita dal fascismo che aveva imposto la cultura di regime. Non dà però una definizione di cultura che va quindi rintracciata nell’art.33.

Il c.2 è di estrema importanza perché contiene un concetto, quello di paesaggio, che ha subito nel corso del tempo una profonda evoluzione. In assemblea costituente con tale termine si indicava unicamente la conservazione delle bellezze naturali secondo quanto stabilito da una legge del 1938.

Oggi invece si intende un concetto molto più ampio di tutela del paesaggio che oggi prende il nome di tutela dell’ambiente. Secondo un principio dello sviluppo economico-sociale la rigenerazione delle risorse non deve compromettere l’ambiente delle generazioni future; comunque la legislazione riguardante la tutela dell’ambiente si è avuta solo in tempi recenti.  Nel 1966 è stata emanata la prima legge antismog che detta le norme dell’inquinamento e solo nel 1986 è stato istituito il Ministero dell’ambiente; soprattutto a partire dal 2000 che sono stati recepiti nel nostro

ordinamento importanti provvedimenti comunitari per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico.

ARTICOLO 10: L’ITALIA E LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

“L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.”

Nel primo comma con la dicitura “L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” i padri costituenti vollero intendere che le norme internazionali che hanno una portata generale (norme consuetudinarie) valgono automaticamente all’interno dell’ordinamento giuridico italiano. Con questa norma costituzionale, inoltre, lo stato italiano si impegna a non adottare leggi di contrasto con le norme del diritto internazionale, a considerare incostituzionali quelle leggi che non rispettassero tale principio e a ratificare i trattati internazionali.

Nel secondo comma viene determinata la condizione giuridica dello straniero che è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

Nel nostro ordinamento esistono attualmente due categorie di stranieri: i cittadini dell'Unione europea che godono di una tutela e di garanzie simili a quelle del cittadino italiano; i cittadini extracomunitari, non appartenenti all'Unione europea, che possono essere soggetti a restrizioni per quanto riguarda l'ingresso e la permanenza nel nostro paese.

Non esiste una legge specifica per la questione degli stranieri ma l’unica che stabilisce diritti e doveri dello straniero è la Legge Bossi-Fini del 2002. Essa prevede che l'espulsione, emessa in via amministrativa dal Prefetto della Provincia dove viene rintracciato lo straniero clandestino, sia immediatamente eseguita con l'accompagnamento alla frontiera da parte della forza pubblica. Gli immigrati clandestini, privi di validi documenti di identità, vengono portati in centri di permanenza temporanea, istituiti dalla Legge Turco- Napolitano, al fine di essere identificati. La legge prevede il rilascio del permesso di soggiorno, della residenza e cittadinanza italiana alle persone che dimostrino di avere un lavoro o un reddito sufficienti per il loro mantenimento economico. A questa regola generale si aggiungono i permessi di soggiorno speciali e quelli in applicazione del diritto di asilo. La norma ammette i respingimenti al Paese di origine in acque

extraterritoriali, in base ad accordi bilaterali fra Italia e Paesi limitrofi, che impegnano le polizie dei rispettivi Paesi a cooperare per la prevenzione dell'immigrazione clandestina.

Nel terzo e nel quarto comma, la Repubblica italiana garantisce a tutti i cittadini stranieri, ai quali siano stati negati i diritti e le libertà democratiche nei loro paesi, di poter esercitare tali diritti nel territorio dello stato italiano, grazie al diritto di asilo.

L'ultimo comma prevede che nel nostro paese non sia ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici. Lo Stato italiano rifiuta l'estradizione, cioè il rimandare la persona al paese d’origine, di un cittadino straniero che sia ricercato per reati politici commessi in opposizione a regimi antidemocratici, nei quali vengono attuate politiche persecutorie nei confronti dei diritti umani. Viene escluso dal novero dei reati politici il delitto di genocidio, per il quale è prevista l'estradizione sia per lo straniero che per il cittadino. (v.L. cost. del 21 giugno 1967, n.1 - Estradizione per i delitti di genocidio).

ARTICOLO 11: IL RIPUDIO DELLA GUERRA

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione  delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

L’articolo 11 oppone un netto rifiuto alla guerra e soprattutto apre un nuovo capitolo, quello di una cultura di pace da diffondere e costruire anche attraverso organismi internazionali. Proprio nel periodo in cui è stato elaborato il testo costituzionale, l’Organizzazione delle nazioni unite (Onu) stava muovendo i suoi primi passi: l’essenza dell’articolo 11 riflette proprio la speranza che l’Italia potesse

essere inclusa tra i paesi “amanti della pace”, così come previsto dallo statuto dell’Onu, e potesse essere ammessa a far parte dell’Organizzazione stessa, obiettivo che è stato raggiunto nel 1955.

L’Italia, pertanto, in base all’articolo 11 e come membro dell’Onu, non ricorrerà alle armi per risolvere eventuali contrasti con gli altri stati e non invaderà mai il territorio altrui, violando la libertà di altri popoli.

Sempre in base a tale articolo, viene anche sancito il divieto di intervenire ilitarmente in aiuto di un altro stato che lotti, nel proprio territorio, contro un movimento di liberazione nazionale (ad esempio: il movimento separatista basco in Spagna).

Quindi l’unico tipo di guerra ammesso è la legittima difesa per respingere un attacco armato che minacci l’esistenza e l’indipendenza dell’Italia (vedi art. 52 della Costituzione).

ARTICOLO 12: LA BANDIERA ITALIANA

“La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali

dimensioni.”

IL TRICOLORE ITALIANO

Il tricolore italiano venne decretato il 7 gennaio del 1797 a Reggio Emilia come bandiera della Repubblica Cispadana. Durante il regno d’Italia fu aggiunto al tricolore lo stemma sabaudo poi eliminato con l’istituzione della repubblica.

Viene ripresa perché era la bandiera del regno d’Italia e venne ammainata definitivamente il 25 aprile 1945, con lo scioglimento dal giuramento per militari e civili, quale ultimo atto del governo di Benito Mussolini.

Il tricolore rappresenta l’Italia in qualsiasi manifestazione e anche all’estero.

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6 aprile 2013 6 06 /04 /aprile /2013 16:44
costituzione.jpg
link Concerto di Varsavia – Chopin
Se clicchi con il tasto destro del mouse su LINK e con il sinistro su "apri in una nuova scheda" ascolti la musica  e leggerai l'artivolo                               La Costituzione italiana tutela la libertà dell`arte e della scienza. Ma oggi tecnologie e mercato mettono in crisi l`autonomia dell'intellettuale - Ecco perchè leggere un libro è la base della democrazia.
LA SOCIETÀ non è la mera somma di molti rapporti bilaterali concreti, di persone che si conoscono reciprocamente. È un insieme di rapporti astratti di persone che si riconoscono come facenti parte d`una medesima cerchia umana, senza che gli uni nemmeno sappiano chi gli altri siano. Come può esserci vita comune, cioè società, tra perfetti sconosciuti? Qui entra in gioco la cultura. Consideriamo l`espressione: io mi riconosco in... Quando sono numerosi coloro che non si conoscono reciprocamente, ma si riconoscono nella stessa cosa, quale che- sia, ecco formata una società. Questo "qualche cosa" di comune è "un terzo" che sta al disopra di ogni uno e di ogni altro e questo "terzo" è condizione sine qua non d`ogni tipo di società, non necessariamente società politica. Il terzo è ciò che consente una "triangolazione": tutti e ciascuno siriconoscono in un punto che li sovrasta e, da questo riconoscimento, discende il senso di un`appartenenza e di esistenza che va aldilà della semplice vita biologica individuale e dei rapporti interindividuali. Quando parliamo di fraternità (nella tradizione illuminista) o di solidarietà (nella tradizione cattolica e socialista) implicitamente ci riferiamo a qualcosa che "sta più su" dei singoli fratelli o sodali: fratelli o sodali in qualcosa, in una comunanza, in una missione, in un destino comune.
Noi siamo immersi in una visione orizzontale dei rapporti sociali. Ma, ciò significa forse che non abbiamo più bisogno di un "terzo unificatore", nel senso sopra detto? Per niente. Anzi, il bisogno si pone con impellenza, precisamente a causa dei suoi presupposti costituzionali: la libertà e l`uguaglianza, i due pilastri delle concezioni politiche del nostro tempo, che se lasciati liberi di operare fuori di un contesto societario, mettono in moto forze egoistiche produttive di effetti distruttivi della convivenza. Non si può convivere stabilmente in grandi aggregati di esseri umani che nemmeno si conoscono facendo conto solo sup atti degli uni con gli altri, come pensano i contrattualisti. A parte ogni considerazione realistica, unavolta stabilita una regolazione contrattuale degli interessi in campo, a chi o a che cosa ci si potrebbe richiamare per richiedere l`adempimento degli obblighi assunti, ogni volta che l`interesse mutato spingesse qualcuna delle parti a violarli? Ogni contratto, senza una garanzia terza, sarebbe flatus vocis. Per molti secoli, questa garanzia era riposta nella religione; oggi, nell`età della secolarizzazione, non può che essere la cultura. «L`arte e la scienza sono libere e libero ne è l`insegnamento», dice l`art. 33, primo comma, della Costituzione. Questa norma di principio è da considerare la base della "costituzione culturale", così come esiste una "costituzione politica" e una " costituzione economica", ciascuna delle quali contribuisce, perla sua parte, alla costru- zione della "tri-funzionalità" su cui si regge la società, secondo quanto già detto. La Costituzione, senza aggettivi, è la sintesi di queste costituzioni particolari. Innanzitutto, dicendosi che l`arte e la scienza sono libere e che libero ne è l`insegnamento si dà una definizione. L` attività intellettuale non libera, cioè asservita a interessi d`altra natura non è arte, né scienza: è prosecuzione con altri mezzi di politica ed economia. Si dirà, tuttavia: non è arte la scultura di Fidia, perché al servizio della gloria di Pericle? Non è arte la poesia di Virgilio, perché celebrativa della Roma di Cesare Augusto? E non è arte quella di Michelangelo, commissionata da Giulio II e Paolo III? La loro non è arte p erché voluta, comandata, perfino imposta da altri, che non l`artista? Naturalmente no. Ma non è arte perla componente priva di libertà, esecutiva del volere del committente; è arte, per la parte che l`artista riserva alla sua libera creazione.
Cose analoghe si possono dire per le opere dell`ingegno al servizio dell`economia, cioè della pubblicità di prodotti commerciali. Anche a questo proposito, l`impasto di attività esecutiva e di attività creativa è `evidente. Il rapporto tra l`una e l`altra è variabile. Normalmente, prevale 1` aspetto strumentale: far nascere bisogni, orientare il consumo, combattere la concorrenza, promuovere le vendite: tutte cose che riguardano gli stili di vita, le aspettative, i sogni, ecc. In certo senso, formano cultura, e nel modo più efficace possibile. Ma, per questo aspetto, non sono esse stesse espressione della libertà della cultura; sono invece funzione dell`economia. Non entrano nella definizione costituzionale. Vale anche qui, però, la forza purificatrice del tempo. A distanza d`anni, quando s`è persa la nozione dell`interesse originario, anche le opere di pubblicità possono depurarsi dal loro aspetto strumentale ed essere rivalutate e apprezzate nel loro valore artistico.
Non si tratta, comunque, di teorizzare una "cultura per la cultura", senza contenuto, come pura evasione. La cultura Some cultura ha una sua funzione e una sua responsabilità sociale, come s`è detto: una funzione che esige libertà. Sotto questo aspetto, il verbo "essere" che troviamo nella norma costituzionale assume il significato non d`una definizione, ma d`una prescrizione: "la cultura deve essere libera". La difficoltà nasce dal fatto che deve essere libera, ma non può vivere isolata.
La prima insidia, qui, sta nella tentazione della consulenza. Il nostro mondo è sempre più ricco di consiglieri e consulenti e sempre meno d`intellettuali. Questa - del consulente - è la versione odierna dell`Intellettuale organico" gramsciano, una figura tragica che si collegava alle grandi forze storiche della società per la conquista della "egemonia": un compito certo ambiguo, ma indubbiamente grandioso. I consiglieri di oggi sono gli imboscati i nell` inesauribile miniera di ministeri, enti, istituti, fondazioni, aziende, ecc., che si legano al piccolo o grande potere, offrendo i propri servigi intellettuali e ricevendo in cambio protezione, favori, emolumenti.
La stessa cosa può ripetersi per i consulenti che vendono le proprie conoscenze alle imprese, per testarne, certificarne, magnificarne e pubblicizzarne i prodotti. Naturalmente, consiglieri e consulenti non sono affatto cosa cattiva in sé, ma lo sono quando sono essi stessi che si offrono e accettano di entrare "nell`organico" di questo o quel potentato. L`uomo di cultura diventa uomo di compiacenza.
La seconda insidia all`autonomia della funzione intellettuale è la tentazione di cercare il successo in questa, per poi spenderlo nelle altre funzioni. Ciò che è giusto in una sfera, può diventare corruzione delle altre sfere. Così, l`affermazione nella sfera dell`economia non deve essere usata strumentalmente per affermarsi nel campo della politica o in quello della cultura; l`affermazione nella sfera politica non deve essere il ponte per conquistare posizioni di potere nella sfera economica o in quella culturale; l`attività nella sfera culturale non deve corrompersi cercando approvazione e consenso, invista di candidature, carriere e benefici che possono provenire dalla politica o dall`economia. Merita qualche parola anche ìl binomio "libertà della cultura" e "democrazia". La società del nostro tempo, dove le conoscenze sono sempre più approfondite e settorializzate; dove, quindi, è inevitabile delegare ad altri la conoscenza che ciascuno di noi, da solo, non può avere: in questa società dove pressoché tutte le decisioni politiche hanno una decisiva componente scientifica e tecnica, massimo è il bisogno di fiducia reciproca. Per prendere decisioni democraticamente e consapevolmente in campi specialistici, chi non sa nulla deve potersi fidare di chi detiene le conoscenze necessarie. Non in nome della Verità, che non sta da nessuna parte, ma in nome almeno dell`onestà, che può stare presso di noi. Se non ci si potesse fidare gli uni degli altri e, in primo luogo, di coloro che p er profe ssione si dedicano a professioni intellettuali, la cultura come indispensabile luogo "terzo" di convergenza e convivenza sarebbe un corpo morto
Di quali mezzi si avvale oggi la cultura? Semplificando: chat o book? Dov`è la radice della differenza? È nel fattore tempo, un fattore determinante nella qualità di tutte le relazioni sociali. La chat e i suoi fratelli blog, twitter, social forum, newsgroup, mailing list, facebook, messaggi immediati d`ogni tipo - appartengono al mondo dell`istantaneità; i libri al mondo della durata. I messaggi immediati appartengono alla comunicazione; i libri, alla formazione. La comunicazione vive dell`istante, la formazione si alimenta nel tempo. La comunicazione non ha onere d`argomentazione e non attende risposte. Il suo fine è dire e ridire su ciò che è stato detto, per aderire o dissentire, senza passi in avanti. Il libro - saggio, romanzo, poesia; cartaceo o elettronico - appartiene a un altro mondo. Nasce e vive in un tempo disteso, di studio e riflessione. Se sul bancone d`una libreria incontri L`uomo senza qualità o Moby Dick, innanzitutto è come se ti chiedessero: sai quanto tempo ho impiegato a essere pensato e scritto? E tu, quanto tempo e quanta concentrazione pensi di potermi dedicare? L`invasione degli instant books è la conseguenza della medesima risposta a entrambe le domande, rivolte agli autori e ai lettori: poco, molto poco, forse sempre meno tempo e meno concentrazione.
Ma, allora, è chiaro che la sopravvivenza del libro non è una rivendicazione a favore d`una élite di pochi fortunati lettori. La diffusione della lettura non appartiene al superfluo d`una società non solo, com`è ovvio, perché ha a che vedere con la diffusione dell`istruzione. Siamo, infatti, pienamente nel campo della cittadinanza, cioè della condizione di partecipazione attiva, consapevole e responsabile a quanto c`è di più decisivo per la tenuta della compagine sociale, cioè la partecipazione a una delle tre "funzioni sociali": la funzione politica di fondo, meno visibile ma, in realtà, nel formare mentalità, più determinante della stessa azione politica in senso stretto, la quale, nella prima trova i suoi limiti e i suoi fini. Si tratta, per l`appunto, della cultura.
I capolavori della letteratura ci interrogano: quanto tempo e quanta concentrazione possiamo dedicare loro?
Sempre meno La società non è una somma di individualità, ma una comunità che si riconosce in un insieme di valori condivisi
Gustavo Zagrebelsky - La Repubblica pubblicato il 5 aprile 2013
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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2 marzo 2013 6 02 /03 /marzo /2013 09:30
diritti-civili-1.pnglink   SCHUBERT INCOMPIUTA - BERLINER ABBADO - Se clicchi con il tasto destro del mouse su LINK e con il sinistro su "apri in una nuova scheda". Leggerai gli articoli e ascolterai la musica. 
Ai cattolici italiani non far sapere quello che succede in Germania (vedi ultimo articolo sul testamento biologico, molto lungo ma ben documentato) . Consiglio di leggere l'articolo del blog: "legge 40 procreazione assistita l'ultima bocciatura dell'Europa" del 16/2/2013- Quando una minoranza viene privata dei suoi diritti succede che anche  alla maggioranza dei cittadini non verranno riconosciuti i loro diritti. La democrazia è una questione di qualità non di quantità, così è la civiltà e l'umanità.
Il partito della Merkel apre alle unioni omosessuali
PARI DIRITTI A TUTTE LE FAMIGLIE  E  SVOLTA IN GERMANIA
BERLINO - — Svolta del centrodestra tedesco al potere con Angela Merkel. La Cdu – cioè la Dc tedesca, il partito della Cancelliera – vuole abbandonare le sue antiche obiezioni contro la pari dignità delle unioni omosessuali con il matrimonio eterosessuale, e conferire alle unioni gay registrate gli stessi diritti riservati finora all’unione ufficiale tra donna e uomo. Quando la svolta, annunciata alla
Sueddeutsche Zeitung dal responsabile amministrativo del gruppo parlamentare cdu, Michael Grosse-Bromer, si tradurrà in proposte di legge, la prima potenza europea e quindi con essa l’Europa intera compiranno un enorme passo avanti a favore dei diritti degli omosessuali.                                                                                                      Bisogna cambiare posizione sul tema e introdurre i principi affermati dai magistrati.
«Dobbiamo muoverci, cambiare posizioni sul tema della parità di diritti, le chiare tendenze indicate dai verdetti della Corte costituzionale devono spingerci a tradurre in pratica, nella legislazione, la parità di diritti affermata dai giudici supremi », ha detto Grosse-Bromer al quotidiano liberal di Monaco. Una recente sentenza della Consulta tedesca ha definito incostituzionali gli svantaggi che le coppie gay, registrate o di fatto affrontano sul tema delle adozioni.
Immediata e positiva la reazione della ministro della Giustizia, la liberale Sabine Leutheusser-Schnarrenberger all’annuncio dell’apertura della Cdu: un progetto di legge che equipara totalmente matrimonio e “partnership registrata” (omosessuale o eterosessuale) sulle adozioni è già pronto. L’annuncio del partito della cancelliera apre forti speranze che Berlino si decida alla piena parità di diritti anche sul piano fiscale, un ambito molto importante. Le leggi tributarie tedesche infatti avvantaggiano sostanzialmente le coppie eterosessuali rispetto a single o a coppie di fatto gay o etero, in pratica con uno
sconto sull’aliquota Irpef volto a favorire la costituzione delle famiglie.
diritti-civili-2.pngObama alla Corte Suprema:
«La California permetta il matrimonio gay»
 Il presidente Usa con un documento ufficiale chiede di dichiarare incostituzionale il bando californiano sul matrimonio egualitario
Obama alla Corte Suprema:
«La California permetta il matrimonio gay»
Il presidente Usa con un documento ufficiale chiede di dichiarare incostituzionale il bando californiano sul matrimonio egualitario
 
Il presidente Usa Barack Obama
 
Barack Obama chiede alla Corte Suprema di dichiarare incostituzionale il divieto delle nozze gay in California. È quanto sostiene un documento ufficiale di 40 pagine depositato dall'amministrazione Usa. Obama, a maggio scorso, era stato il primo presidente americano a sostenere pubblicamente il matrimonio gay, anche se a titolo «personale»: «Penso che le coppie dello stesso sesso dovrebbero potersi sposare», aveva detto in un'intervista tv. Adesso arriva il passaggio istituzionale, con la richiesta di abolire la «proposition 8», ovvero il bando delle nozze omosessuali in California, approvato da un referendum popolare e promosso da gruppi conservatori e cristiani. «Vogliamo cercare di rivendicare l'uguaglianza di trattamento dal punto di vista legale» ha detto il ministro della Giustizia, Eric Holder, e ha aggiunto che la decisione della Corte Suprema «non è importante solo per le decine di migliaia di americani ai quali sono negati gli stessi diritti e benefici, ma è importante per tutto il nostro Paese».
 
LA BATTAGLIA LEGALE - La «proposition 8» ha creato una strana situazione giuridica: votata nel novembre 2008 ha infatti vietato alle persone dello stesso sesso di sposarsi in California, ma non ha annullato le nozze gay lì celebrate tra il giugno di quell'anno, quando una sentenza della Corte suprema locale le aveva legalizzate, e l'entrata in vigore del bando (il matrimonio tra persone dello stesso sesso è riconosciuto da nove Stati Usa, ma non a livello federale). Il 26 marzo la «proposition 8» verrà impugnata di fronte alla Corte suprema federale, la più alta nell'ordinamento americano. «La propostion 8 viola le tutela di uguaglianza. Il pregiudizio non può essere alla base per un trattamento diverso nell'ambito della legge» afferma il Dipartimento di Giustizia in una lettera ufficiale alla Corte. Lettere simili - che non sono legalmente vincolanti ma forniscono pareri autorevoli presi in considerazione dai giudici - sono state depositate da 13 Stati e anche da 100 politici Repubblicani che a sorpresa si sono espressi a favore delle nozze gay. Se la Corte farà propri questi pareri, il matrimonio tra persone dello stesso sesso (il «matrimionio egualitario») diventerà legale in California, e - di conseguenza - in altri 7 Stati: Delaware, Hawaii, Illinois, Nevada, New Jersey, Oregon and Rhode Island.
 
GLI ALTRI STATI - La presa di posizione dell'amministrazione Obama ha però deluso almeno in parte le aspettative dei gruppi per i diritti civili: non chiede infatti alla Corte di dichiarare nulli i bandi a livello nazionale. E l'amministrazione non esplicita il proprio appoggio al diritto costituzionale alle nozze gay che si applicherebbe immediatamente in tutti e 50 gli stati.
 
IL «DOMA» - Il caso verrà affrontato il 27 marzo, un giorno dopo la discussione della «Proposition 8», quando la Corte Suprema si pronuncerà sul «Defense of Marriage Act» (l'«atto per la difesa del matrimonio, o «DOMA»), cioè la legge federale approvata nel 1996 che definisce il matrimonio come sola unione di un uomo e una donna. I giudici dovranno esaminare il ricorso di una caparbia vedova 83enne, Edith «Edie» Windsor, programmatrice in pensione dell'Ibm. La signora si era sposata in Canada con Thea Spyer nel 2007, dopo 40 anni di fidanzamento. Il matrimonio è durato solo 20 mesi: Thea - malata di sclerosi multipla - è morta nel 2009 ed Edie ha dovuto pagare 363 mila dollari di tasse di successione. Non sarebbe successo se Thea si fosse chiamata Theo. «I soldi contano, ma questa è una causa sul matrimonio: il mio matrimonio con lei e il suo con me - ha spiegato la signora a Usa Today - Thea ne sarebbe contentissima, mi direbbe: vai ragazza, vai!».

Altrachiesa

Il nuovo Testamento biologico “cristiano” dei tedeschi: L’eutanasia “passiva” e l’eutanasia “indiretta” sono “eticamente ammissibili”

 

 

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“Stato vegetativo persistente”: sì dei vescovi cattolici tedeschi alla possibilità di disporre la rinuncia a tutti i trattamenti salvavita, compresa la nutrizione artificiale, e la riduzione graduale dell’idratazione artificiale al sopraggiungere di una malattia intercorrente acuta potenzialmente letale.

di Marlis Ingenmey

Ci hanno messo –
la Conferenza episcopale tedesca (DBK), il Consiglio della Chiesa evangelica tedesca e la Comunità delle Chiese cristiane in Germania –, invece dei due previsti, ben diciannove mesi da quando, il 18.06.2009, fu varata dal Bundestag la legge che regola le Disposizioni del paziente, per rivedere, tenendo conto della nuova normativa, il loro opuscolo di stimolo ad affrontare anticipatamente il tema del “fine vita” con allegato un modulo, in parte prestampato, per Disposizioni del paziente cristiano, elaborato nel 1999, aggiornato nel 2003 e utilizzato nel frattempo da quasi tre milioni di cittadini.

Quel documento ufficiale – premesso che “la volontà del paziente sta alla base di ogni trattamento sanitario” (come vuole la Costituzione) per cui “nessuno può essere costretto a sottoporsi a trattamenti diagnostici o terapeutici per quanto promettenti essi siano”, e ribadito che (come vuole la Dottrina) per il credente la vita è un “dono di Dio”, “non disponibile” – permetteva già anche al testatore “cristiano” di richiedere, limitatamente alla fase terminale di una malattia con prognosi comunque infausta (“quando ogni terapia prolungherebbe soltanto il processo del mio morire”), il non inizio o l’interruzione di trattamenti salvavita (“come la nutrizione artificiale, la respirazione assistita, la dialisi, o l’impiego, per esempio, di antibiotici”) e l’uso di potenti analgesici (“anche se dovessero avere come effetto secondario, non voluto, l’anticipazione del momento del mio decesso”), atti definiti, senza tante ambagi, di “eutanasia passiva” e di “eutanasia indiretta”, considerati, in quanto aiuto nel morire, “ammissibili” non soltanto “giuridicamente” (in base a pronunce, fin dal 1994, della Corte di Cassazione, instauratrici di una tradizione) ma anche “eticamente” (come ebbe a confermare indirettamente ancora, in una breve nota del 17.03.2009 al “Servizio di Informazione Religiosa Online”, il portavoce della DBK, Matthias Kopp: “I concetti di ‘eutanasia passiva’ ed ‘eutanasia indiretta’ …” “che abbiamo adottato nelle nostre Disposizioni” “… non contrastano in alcun modo con le affermazioni del Catechismo della Chiesa cattolica, cfr. paragrafi 2278 e 2279”, “La Chiesa cattolica tedesca è in linea con il Vaticano sul tema dell’eutanasia”).

Il nuovo opuscolo è un “prontuario” di 46 pagine (compreso un nuovo modulo) che ha anche, a sorpresa, un nuovo titolo, Iniziative che il paziente cristiano può prendere a sua tutela (illustra, infatti, anche forme di tutela delle ragionevoli volontà e degli interessi legittimi del paziente diventato “incapace” alternative alle Disposizioni del paziente ora disciplinate dal legislatore), è stato presentato il 26 gennaio scorso in una conferenza stampa ed è scaricabile per esempio dal sito della DBK (http://www.dbk.de/Christliche Patientenvorsorge).

L’intento principale della pubblicazione – di “impostazione” cristiana, ma non per questo rivolta solo al paziente “cristiano” – era, ed è anche nella nuova versione, quello di indicare “una via di mezzo tra un prolungamento della vita a oltranza”, giudicato “improponibile” (dal divieto, per il credente, di disporre liberamente della propria vita, non deriva un suo “obbligo” di ricorrere a tutti i ritrovati della scienza medica per prolungarne la durata), “e un suo deliberato abbreviamento che non può trovare giustificazione”, in quanto aiuto a morire, “eutanasia attiva”, praticata con la somministrazione di un farmaco o altra sostanza letale, “moralmente inaccettabile” e comunque reato in Germania come “uccisione su richiesta”. Gli autori consideravano e considerano alla stessa stregua anche l’assistenza del medico al suicidio di un suo paziente, non contemplata invece dal Codice penale tedesco e giudicata nelle ultime Direttive della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, del 18 febbraio scorso, anziché, come finora, “non conciliabile con la deontologia medica”, “non facente parte dei doveri del medico”.

Una pastorale della DBK del 1975


Bisogna sapere che la DBK ha cominciato presto a inserirsi nel dibattito sul diritto all’autodeterminazione in materia di salute e sulle prime rivendicazioni di un diritto all’eutanasia. Già nel 1975, cinque anni prima che il Vaticano affrontasse il tema nella Dichiarazione sull’eutanasia, il suo Consiglio permanente pubblicò una pastorale intitolata Il diritto alla vita e l’eutanasia, con cui condannava fermamente l’“eutanasia”, ossia ogni porre “di proposito”, “sia pure su richiesta” e “per pietà”, anticipatamente fine a una vita umana (“significa uccidere”), ma riconosceva nel contempo a “ogni persona” “il diritto a una morte dignitosa”, “umana”, a “essere assistita e accompagnata” “nella tremenda prova che è il morire”, non ultimo con l’accettazione, “ove risultasse vana ogni speranza in un miglioramento”, della sua “rinuncia”, “eticamente ammissibile”, a interventi chirurgici gravosi che potrebbero forse tenerla in vita per qualche giorno o settimana in più, ma a costo di ulteriori sofferenze fisiche o psichiche, oppure a trattamenti sanitari straordinari, “atti ancora soltanto a differire artificialmente il momento della sua dipartita”. Da notare che la decisione in merito era lasciata dai vescovi tedeschi già allora al paziente stesso.

La traduzione tedesca del paragrafo 2278 del Catechismo


A facilitare la lettura data dalla DBK dei paragrafi citati del capitolo dedicato a “L’eutanasia” del nuovo Catechismo postconciliare, firmato nel 1992 dall’allora cardinale Ratzinger, concorre senz’altro il fatto che i tedeschi non avevano – né hanno voluto coniarla quando, nel 1993, si trattava di tradurre l’opera – una parola che rendesse il termine “accanimento terapeutico” (che nell’edizione “tipica”, cioè definitiva, in latino, del 1997, sarebbe diventato addirittura “saevitia therapeutica”), giudicato puro nonsenso (da terapie che manifestamente non producono un beneficio per il malato il medico si deve astenere di suo). Così hanno optato – difficilmente all’insaputa dell’illustre “autore”, all’epoca anche prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che avrà pur seguito il loro lavoro – per una traduzione non letterale ma a senso dei primi due periodi del paragrafo 2278: “La morale non richiede terapie a ogni costo. L’interruzione di procedure mediche straordinarie oppure sproporzionate rispetto ai risultati attesi, onerose e pericolose può essere legittima”. (Il testo italiano recita: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’‘accanimento terapeutico’”; nessuna discordanza tra le due versioni per il seguito del paragrafo: “Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”).

Con l’introduzione della parola “morale” nella traduzione tedesca è ben marcata la differenza tra, da un lato, “l’interruzione di procedure mediche” (che va decisa, anche qui, dalla “volontà”, attuale o presunta, “del paziente”) prevista da questo paragrafo, “eutanasia passiva”, “moralmente” accettabile, e, dall’altro, una “azione” od “omissione”, “qualunque ne siano i motivi e i mezzi”, di cui al paragrafo 2277, “eutanasia diretta”, che costituisce un “atto omicida”, “moralmente inaccettabile”. Quanto al paragrafo 2279, vi si trova, anche nel testo italiano, già la “scriminante”: “L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile”, “eutanasia indiretta”.

La legge sul Testamento biologico in vigore in Germania dal 1° settembre 2009

Prima di entrare nel merito del nuovo documento dei vescovi tedeschi, ricapitoliamo i punti salienti della nuova normativa che recepisce nella sua massima estensione il diritto all’autodeterminazione del cittadino – garantito da una Costituzione che mette fin dal primo comma del primo articolo in risalto la “dignità” dell’uomo come individuo, definita “intangibile. E’ dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla” – dando per scontato che il suo titolare possa disporre liberamente anche del proprio corpo e della propria vita fino alle conseguenze estreme (tanto è vero che in Germania, come del resto da noi, il tentativo di suicidio non è punibile), visto che il suo “diritto alla vita” è appunto un “diritto”, non un “dovere”, mentre lo Stato ha il “dovere” di difendere la sua vita unicamente se minacciata da parte di terzi, non se messa a rischio da lui stesso: l’intervento di un potere statale in tal caso violerebbe la “dignità” dell’individuo nell’esercizio di un altro suo diritto, parimenti “fondamentale”, ma personalissimo.

In Germania un maggiorenne capace di intendere e di volere, può (non è un obbligo) preventivamente, non necessariamente per iscritto, dare, negare o limitare nel tempo il suo consenso a determinati trattamenti medici (nessuno escluso) che dovessero un giorno risultare indicati in ogni stadio di una sua malattia, infermità o disabilità di qualsiasi tipo e grado. Chi lo desidera, può chiedere che venga fatto ricorso, ove medicalmente sostenibile, a ogni ritrovato della scienza e della tecnica per tenerlo il più a lungo possibile in vita, ma la maggior parte dei testatori avrà chiesto e chiederà la non attivazione o la limitazione nel tempo di trattamenti salvavita, tra cui anzitutto la nutrizione e l’idratazione artificiali.

Le Disposizioni del paziente – in qualsiasi momento revocabili senza formalità, modificabili per sopravvenuto ripensamento o attualizzabili secondo la parabola della sua salute – saranno vincolanti se all’avverarsi dell’evento prefigurato giudicate dal tutore, sentiti anche parenti e altre persone di fiducia dell’interessato, “aderenti alla situazione (quadro clinico e trattamenti possibili) venutasi a creare”; vincolante sarà anche – in mancanza di “disposizioni” scritte o qualora quelle non risultassero “calzanti” – la volontà “presunta” del paziente se accertata dal tutore in base a elementi concreti.

E’ inoltre d’obbligo un colloquio tra il medico curante che, individuato il trattamento eventualmente indicato, lo illustra, e il tutore che deve rendere nota e far valere la volontà del suo assistito, della quale sarà tenuto conto come base della decisione da prendersi congiuntamente; solo nel caso di divergenze d’opinione va consultato il Giudice tutelare la cui eventuale autorizzazione a procedere come proposto dal tutore deve essere effettivamente sorretta dalla volontà dell’interessato. I compiti del tutore possono essere svolti anche dal titolare di una procura sanitaria.

Le critiche fondamentali delle Chiese cristiane prima e dopo il varo della legge

I punti specifici più criticati dalle Chiese cristiane nel corso dei lavori – a cui hanno partecipato con dettagliati, spesso congiunti, statement – erano l’attribuzione dello stesso valore a decisioni basate sul solo immaginarsi di una data situazione e a decisioni prese contestualmente al suo verificarsi (“non è detto che il paziente, se fosse in grado di farlo, non potrebbe arrivare a conclusioni diverse”) nonché la mancata limitazione della possibilità di rifiutare o interrompere trattamenti salvavita a determinati quadri clinici (“una cosa sono patologie dal decorso irreversibilmente letale, altra cosa malattie potenzialmente curabili”), rimostranze che, se avessero trovato ascolto, avrebbero comportato la manomissione di diritti riconosciuti e garantiti dalla Costituzione.

Il giorno stesso del varo della legge – pur ribadendo che “le Disposizioni del paziente sono un istituto giuridico molto sensato perché nella logica stessa del diritto all’autodeterminazione” – si sono invece dette soprattutto “dispiaciute”, la Chiesa evangelica perché “nel testo approvato non vi è equilibrio tra autodeterminazione e presa in carico del paziente”, la Chiesa cattolica perché “questa legge enfatizza unilateralmente l’autodeterminazione della persona” mentre trascura “l’assistenza a lei dovuta onde perfezionarne davvero l’autonomia”, considerazioni che le hanno poi portate, per salvare il salvabile – e prima ancora di procedere, dove conciliabile con l’etica cristiana, all’adeguamento della loro pubblicazione alla nuova normativa –, a rivoluzionarne lo stesso impianto.

Iniziative che il paziente cristiano può prendere a sua tutela
, ora, in Germania
Le eventuali “alternative” alle Disposizioni del paziente regolate dalla legge


Il lungo sottotitolo del nuovo “prontuario” – che dà “risposte” a ipotetiche domande del lettore in quattro capitoli con tanto di paragrafi e commi – elenca di fila quattro strumenti di cui ogni paziente si può servire per autodeterminarsi oggi per domani, optando anche per uno solo di essi, combinandone a piacimento due o tre, o adottando tutto il pacchetto come suggerisce il modulo che è unico (7 pagine) e rispetta in due sezioni l’ordine delle quattro operazioni previste (una nota avverte che possono essere lasciate in bianco le parti che non interessano). Il compilatore può conferire (con una semplice scrittura privata, datata, firmata e controfirmata per accettazione) una “procura sanitaria” standard a una persona di sua fiducia, può designare (con le stesse modalità) la medesima o altra persona della propria cerchia per l’ipotesi che un giorno dovesse essere nominato per lui un “tutore”, può enunciare per iscritto o a voce “desideri riguardo ai trattamenti” e può in merito redigere vere e proprie “disposizioni”, ormai vincolanti se “calzanti”.

Mentre l’opuscolo del 2003 era imperniato, fin dal titolo, sulle Disposizioni del paziente cristiano (che ospitavano anche suoi “desideri”) e prospettava soltanto in sottordine al testatore l’opportunità di integrarle con la nomina e la designazione di “fiduciari”, il nuovo documento organizza tutta la materia, pur mantenendo inalterati numerosi passi del vecchio testo, proprio intorno a queste due figure, giudicate più importanti delle stesse “disposizioni” perché alla fine tocca a loro rendere noti e far rispettare, anche in situazioni non previste da quelle, i desiderata del loro assistito, di cui conoscono la storia, i problemi, la concezione della vita e i più intimi convincimenti. La proposta completa di “iniziative” lanciata col nuovo prontuario – che, però, “riscrive” soltanto, spostando gli accenti, quanto già previsto dalla legge, la quale presuppone l’esistenza del titolare di una procura sanitaria o di un tutore e considera, in mancanza di “disposizioni” del paziente, per ricostruirne la volontà “presunta”, anche i suoi “desideri” riguardo ai trattamenti – è, limitatamente alla forma, un suggerimento utile per chiunque voglia lasciare le sue “penultime” volontà che richiedono un leale esecutore.

Quanto alle “alternative cristiane”: i vescovi, affezionati all’idea di una sinergia tra autodeterminazione del paziente e sua presa in carico da parte della collettività, vedono di buon occhio soprattutto la combinazione delle prime tre operazioni, protagonisti i “fiduciari”, coadiuvati nelle loro decisioni “attuali” più dai “desideri” del loro assistito, in quanto “linee guida”, che da inemendabili “disposizioni”, perché “nel singolo caso la decisione deve scaturire dalla situazione concreta della persona morente, da quello che più le giova, e deve essere presa in sintonia con le sue preferenze e aspettative”; apprezzata anche la scelta della “procura sanitaria” standard in cui il paziente delega ogni decisione alla discrezione del suo portavoce, e ventilata addirittura l’opzione “zero” di un paziente che, avvalendosi del diritto all’autodeterminazione, si “autodetermina” rimettendosi, anima e corpo, alla scienza e alla coscienza degli stessi medici.

Le “disposizioni” prestampate che può ora far proprie il paziente “cristiano” tedesco


Mentre l’ordinamento giuridico tedesco non prevede ormai nessuna limitazione quanto a tipo e stadio di una malattia per la quale può essere negato o revocato il consenso a un determinato trattamento medico anche salvavita (e non si parla in proposito più di “eutanasia passiva” bensì di “rifiuto o interruzione di un trattamento medico” legittimati dal diritto all’autodeterminazione anche in materia di salute), le Chiese cristiane tedesche (giacché al credente “si pone il problema etico se usufruire indistintamente delle possibilità offerte dalla nuova normativa o fare le proprie scelte a ragione quanto mai veduta”) mantengono (li avevano già posti nel 1999 e nel 2003) i paletti dettati dalla Dottrina che circoscrivono tali possibilità – come recita il cappello nella Sezione B del modulo (“Direttive per chi mi avrà in cura”) alla voce “Desideri riguardo ai trattamenti medici e all’assistenza nonché Disposizioni del paziente”, comma primo – a quando “con ogni probabilità è imminente l’ineluttabile processo del mio morire o mi trovo comunque nello stadio terminale di una malattia incurabile dal decorso letale”.

Le “disposizioni” passate al vaglio dei vescovi (in sostanza le stesse del documento del 2003 che parlava nel modulo genericamente di “trattamenti salvavita” dopo averli menzionati singolarmente nell’Introduzione), definite ancora, come allora, richieste, a seconda del tipo, di “eutanasia passiva” o di “eutanasia indiretta”, otto di numero con a fianco altrettante caselle da barrare in caso affermativo, formulate “nel modo più concreto possibile” per risultare all’occorrenza “calzanti”, riguardano: la richiesta di “alleviare dolori e disturbi come irrequietezza, ansia, nausea e fame d’aria” anche con farmaci il cui uso può comportare il rischio di abbreviare la vita del moribondo; la rinuncia alla “nutrizione artificiale”; la richiesta di “ridurre l’idratazione artificiale secondo le indicazioni del medico”; il rifiuto di “pratiche di rianimazione”; la rinuncia alla “respirazione assistita”; la rinuncia alla “dialisi”; la rinuncia alla somministrazione di “antibiotici” e il rifiuto di “trasfusioni di sangue o suoi componenti” (per “rinuncia” si intende insieme “non inizio e interruzione”).

Un apposito paragrafo del prontuario precisa che “dal punto di vista giuridico, per la letteratura scientifica e nella prassi quotidiana la nutrizione artificiale … e l’idratazione … sono trattamenti terapeutici che richiedono il consenso del paziente”; esse non fanno parte delle “cure di base” che prevedono solo “l’appagamento, per via naturale, di fame e sete se manifestate come sensazione soggettiva”.

Seguono nel modulo, sempre alla voce “Desideri riguardo ai trattamenti medici e all’assistenza nonché Disposizioni del paziente”, comma primo, e col sistema di barrare la casella relativa se del caso, alcuni “desideri” del paziente, per esempio di essere accudito, compresa la prestazione di cure palliative, possibilmente in casa propria, o di essere sottoposto a esami diagnostici o ricoverato in ospedale solo se tali misure mirano a lenire le sue sofferenze, mentre altri commi concernono l’autorizzazione all’eventuale espianto di organi e tessuti, e la richiesta di assistenza religiosa. Infine (comma quarto) è lasciato al compilatore, come già nel modulo del 2003, spazio – e libertà di coscienza – per “Disposizioni integrative”, tra le quali può figurare questa volta una clamorosa “novità”.

“Disposizioni integrative” che può ora redigere il paziente “cristiano” tedesco

Le “disposizioni” individuali possono riguardare sia integrazioni relative alle otto richieste prestampate al comma primo, sia ogni tipo di malattia – anche senza prognosi infausta e al di fuori dello stadio terminale – di cui il compilatore già soffra; ma molti vorranno tutelarsi, come gli permettono la giurisprudenza da anni e ora anche la legge, con scelte anticipate per l’ipotesi che possano un giorno, per esempio, restare vittime di rovinosi incidenti, essere colpiti da forme gravi di demenza o venire a trovarsi in stato vegetativo persistente. Il nuovo prontuario si sofferma in particolare su quest’ultima condizione patologica, già annoverata nella prima edizione delle Disposizioni del paziente cristiano, del 1999, tra le situazioni per le quali si poteva “prendere in considerazione una limitazione delle terapie”, ma tolta nel 2003 dalla parte prestampata del modulo e spostata tra le “integrazioni” lasciate alla responsabilità morale del singolo testatore: i vescovi cattolici avevano infatti la necessità di tenere in qualche modo conto del documento della Pontificia Accademia per la Vita, Il rispetto della dignità del morente, uscito nel 2000, che riconosce tale facoltà solo a malati terminali quando la morte “appare ormai inevitabile ed imminente” (restrizione, fra l’altro, non prevista dal paragrafo 2278 del Catechismo).

Da allora si sono diversificate le posizioni in merito delle due Chiese, il presidente della DBK era ancora fermo sul no il giorno stesso del varo della nuova legge (“Ribadiamo che persone in stato vegetativo persistente … non sono sul punto di morire”, mentre l’allora presidente del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca era già possibilista quando, il 29 marzo del 2007, ebbe inizio il dibattito in Aula al Bundestag, e inviò il 22 giugno di quell’anno ai deputati un documento in cui si legge: “Limitare le Disposizioni del paziente alla sola fase terminale di malattie incurabili dal decorso irreversibilmente letale è una restrizione problematica … perché così esse non possono riguardare infermità come lo stato vegetativo persistente”. Per pazienti in quelle condizioni “si potrebbero accettare come vincolanti Disposizioni che prevedano terapie salvavita solo per un determinato periodo di tempo …”, ovvero, “se, chi si trova in stato vegetativo stabile già da molti mesi, venisse colpito da un’altra malattia potenzialmente mortale, per esempio da una polmonite, dovrebbe essere possibile, in presenza di Disposizioni dell’interessato in tal senso, non ricorrere all’uso di antibiotici”, e “sarebbe anche concepibile la richiesta, da lui avanzata, di cessazione, per esempio dopo sei mesi, della nutrizione artificiale che non fa parte delle ‘cure di base’ dovute al malato non autosufficiente”.

Si intuisce a questo punto perché l’elaborazione del nuovo prontuario si sia protratta – non certo per la sua ristrutturazione – tanto nel tempo. Lo stato vegetativo persistente, per il quale i vescovi hanno comunque alla fine trovato un compromesso, non era poi l’unico oggetto di controversia. Ci saranno state anche interminabili discussioni sulla posizione da prendere, per fare un solo esempio, di fronte a forme gravissime di demenza, discussioni che si sono concluse evidentemente con un nulla di fatto: il testo “ignora” questo problema che, con l’aumentare dell’aspettativa di vita, angoscia un numero sempre crescente di persone anche di fede cristiana.

Il “compromesso” dei vescovi riguardo allo stato vegetativo persistente

Al cristiano che voglia, sotto la propria responsabilità morale, dare indicazioni per l’ipotesi di trovarsi un giorno in stato vegetativo persistente, i vescovi propongono, pronte per essere riportate tra le “Disposizioni integrative”, due formulazioni quasi identiche. In calce viene precisato che, “dal suo punto di vista, la Chiesa cattolica” (che ha dovuto rivedere nei limiti del possibile la propria posizione in merito per evitare la rottura con le altre Chiese cristiane e il fallimento della comune iniziativa) “raccomanda fortemente di optare per la prima alternativa”. Per convincere se stessi (e, immagino, soprattutto il Vaticano), i vescovi cattolici – partendo dal principio che, per poter rinunciare a trattamenti salvavita, bisogna essere “morente” – si sono domandati se, chi da tempo versa in stato vegetativo, non venga proiettato “naturalmente” in “fin di vita” al sopraggiungere di una malattia intercorrente potenzialmente letale, e hanno convenuto che allora si possa rinunciare a ogni terapia passando a cure “di base” e di medicina palliativa, non per provocare attivamente la morte, ma per permettere che essa si compia.

La formulazione destinata al cristiano cattolico recita: “Le disposizioni impartite al comma primo valgano, al di là delle situazioni ivi precisate” – cioè quando “con ogni probabilità è imminente l’ineluttabile processo del mio morire o mi trovo comunque nello stadio terminale di una malattia incurabile dal decorso letale” –, “anche per il caso che, in seguito a gravi danni cerebrali, la mia capacità di intendere e di volere, a giudizio di due medici competenti, risultasse con ogni probabilità irrecuperabilmente perduta e sopraggiungesse una malattia intercorrente acuta, potenzialmente letale. Questo vale tanto per danni cerebrali diretti, causati da incidente, ictus o encefalite, quanto per danni indiretti, dopo rianimazione, arresto cardiocircolatorio o insufficienza respiratoria”. La variante evangelica ha un piccolo inserimento: “Le disposizioni … valgano … anche per il caso che … la mia capacità di intendere e di volere … risultasse con ogni probabilità irrecuperabilmente perduta e questa situazione perdurasse già da …… (per esempio un anno) o che sopraggiungesse una malattia intercorrente acuta …”.

In altre parole, il cristiano cattolico può chiedere la cessazione di tutti i trattamenti salvavita elencati al comma primo, nutrizione artificiale compresa, solo per quando, alla sua accertata incapacità di intendere e di volere si aggiunga una malattia intercorrente acuta gravissima, mentre l’evangelico può disporre che essa avvenga anche semplicemente dopo un lasso di tempo da lui stesso stabilito in mesi o anni. Inutile dire che sulla scia di questo esempio possono entrare fra le “Disposizioni integrative” del paziente cristiano, se la sua coscienza glielo permette, malattie, infermità e disabilità di qualsiasi tipo e grado, a cominciare da forme di demenza, e le sue volontà, se “calzanti”, saranno vincolanti per chi lo avrà in cura.

Ecco come è stata affrontata, in un Paese a noi culturalmente e giuridicamente vicino, da uno Stato laico e, in separata sede, dalle Chiese cristiane che ne rispettano le scelte, questa materia eticamente sensibile che richiede un diritto “mite” – come già auspicavano, quando nell’estate del 2009 la Commissione Affari Sociali della Camera cominciò l’esame del testo delle Dichiarazioni anticipate di trattamento approvato dal Senato, i presidenti degli Ordini provinciali dei Medici Chirurghi e Odontoiatri – “che si limiti a definire la cornice di legittimità giuridica sulla base dei diritti della persona costituzionalmente protetti, senza invadere l’autonomia del paziente e quella del medico prefigurando tipologie di trattamenti disponibili e non disponibili nella relazione di cura”.

(7 marzo 2011)

   
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21 febbraio 2013 4 21 /02 /febbraio /2013 09:04

unioni-civili.jpg      link  Chopin  notturno op 9 n 1. Se clicchi con il tasto destro del mouse su LINK e con il sinistro su "apri in una nuova scheda" sentirai la musica e leggerai l'articolo

 Se a riconoscere le coppie di fatto è solo il fisco

Gentile Augias, per professione studio le sentenze delle commissioni tributarie. Un accertamento in base  al redditometro ha attirato la mia attenzione. La commissione ha annullato il ricorso perché “ in caso di maggior  reddito in sede di accertamento la prova contraria del contribuente può essere fornita evidenziando il contributo finanziario  del coniuge o dei figli”. Dov’è la particolarità? Nel caso non si trattasse di una famiglia non canonica bensì  di fatto. La commissione tributaria  ha cioè riconosciuto un diritto  che è ancora oggetto di pretestuose analisi e prese di posizione dei cantori della sacralità della famiglia (la prima causa di morte per le donne avviene dai mariti, compagni o fidanzati) “legittima”  nel timore del riconoscimento d’una coppia gay. Notevole che la sentenza faccia riferimento ai principi di solidarietà propri della famiglia formalmente  costituita estendendoli anche ai rapporti non formalizzati. Quale scoramento che ai fini tributari venga riconosciuta una valenza alle coppie di fatto mentre, se uno viene ricoverato in ospedale il medico non può dare informazioni al compagno e alla compagna  perché non sposati. Strani i legislatori incapaci di affrontare una situazione   che ha risvolti spesso dolorosi, ma che soprattutto urla contro il concetto di civiltà. Ma dove viviamo?

   Sebastiano Sanguigni

La risposta di Corrado  Augias

Dove viviamo? In Italia gentile Sanguigni, ovvero in una nazione nominalmente europea che non si è mai  realmente affrancata dalla circostanza storica di essere stata per secoli  dominio di una teocrazia per la sua parte centrale (non è un caso che gli altri stati europei sono laici o tendono alla laicità).  E’ perenne dilemma che ha angustiato sommi  intelletti, da Dante a Francesco d’Assisi, da Leopardi a Manzoni, da Gramsci a Bobbio – dunque cattolici e non cattolici – circa il potere temporale esercitato da una gerarchia di anziani celibi non sempre capaci, per la specialità della loro condizione, di capire le esigenze e gli affanni delle persone diciamo così normali. Quando scrivo di questi problemi capita che arrivino lettere di   cattolici ultrà che mi rimproverano di occuparmi troppo di evanescenti e marginali diritti di una minoranza. A qualche insulto che  di tanto in tanto scivola dalla penna, l’argomento usato è in genere che ci sono problemi ben più gravi di cui prendersi cura. Lo so anch’io che ci sono problemi più gravi, ci sono sempre problemi più gravi, di qualunque cosa si tratti. Ci sono però anche questioni che segnano il livello di civiltà di un popolo e di chi ne fa le leggi.  Come si misuri questo livello lo dice per esempio  la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti che tra i diritti  inalienabili degli individui elenca: “La libertà, la vita, il perseguimento della felicità”. Se non  ricercare  la felicità quanto meno alleviare il dolore resta un buon obiettivo civile. Tanto più quando non costa nulla.

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20 febbraio 2013 3 20 /02 /febbraio /2013 20:51

 

 

 

   Bimbi-adottati-copia-1.jpg    link - Beethoven - Potere e passione.Se clicchi con il tasto destro del mouse su LINK e con il sinistro su "apri in una nuova scheda" ascolterai la musica e leggerai gli articoli

  Ma il principio non vale in Italia: un diritto solo per chi è sposato

Prima di vedere il caso esaminiamo la questione:

ADOTTARE UN FIGLIO è una decisione non facile o meglio molto impegnativa per le coppie che vogliono ricorrere a questa strada per avere un ruolo di genitori. Si sa che gli adottati avranno dei problemi nel loro sviluppo in quanto persone. Problemi che sia per i genitori , che per i bambini adottati  richiederanno molto impegno di accudimento, affettivo e spesso l’intervento di un analista, per essere superati. Non parliamo poi dell’affido che talvolta vede questi bambini passare da una famiglia all’altra con il ripetersi del trauma dell’abbandono. Quando i bimbi sono grandicelli nessuno li vuole ne per essere adottati ne per l’affido e poi ci sono i casi di fratelli che vengono separati. Questa la realtà al di la delle questioni educative. A parte il fatto che si pone la questione di come avere i figli per i maschi gay, mentre per le donne lesbiche questo avviene  pure in Italia.

Mi sembra utile la testimonianza di Ignazio Marino, specialista medico cattolico e deputato al  parlamento, che avendo abitato per anni negli USA ha affermato: Anch’io ero contrario a pensare all’adozione di figli da parte di omosessuali, mi sono ricreduto dopo aver visto che a scuola i miei figli avevano simili compagni che vivevano ne più e ne meno come loro, con le gioie e  i problemi della vita quotidiana.

Negli USA ci sono molti studi su questo su argomento che non rilevano differenze tra i bambini figli di vari tipi di famiglie.

La sentenza su un Ricorso presentato da una coppia di donne austriache

Corte Strasburgo apre a adozioni per coppie gay

La decisione della corte dei diritti umani: se uno dei due ha figli, il partner deve poterli adottare, come avviene nelle coppie etero

La sentenza su un icorso presentato da una coppia di donne austriacCorte Strasburgo apre a adozioni per copLa decisione della corte dei diritti umani: se uno dei due ha figli, il partner deve poterli adottare, come avviene nelle coppie eteroNelle coppie omosessuali i partner devono avere il diritto ad adottare i figli dei compagni, cosi come avviene per le coppie eterosessuali non sposate. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani in una sentenza emessa su un ricorso presentato da una coppia di donne austriache e dal figlio di una di loro.
La sentenza, definitiva perchè emessa dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo, riguarda l'Austria, ma i principi valgono per tutti gli altri 46 Stati membri del Consiglio d'Europa.

LA SENTENZA - Nella sentenza la Corte afferma che l'Austria ha violato i diritti dei ricorrenti perchè li ha discriminati sulla base dell'orientamento sessuale dei partner, visto che in Austria l'adozione dei figli dei compagni è possibile per le coppie eterosessuali non sposate. Il caso in questione è nato da un paradosso: la concessione dell'adozione alla partner avrebbe fatto perdere i diritti alla madre naturale, sua compagna. I giudici di Strasburgo hanno affermato che il governo austriaco non è riuscito a dimostrare che la differenza di trattamento tra coppie gay ed eterosessuali è necessaria per proteggere la famiglia o gli interessi dei minori. Tuttavia la Corte ha nel contempo sottolineato che gli Stati non sono tenuti a riconoscere il diritto all'adozione dei figli dei partner alle coppie non sposate.

IL CASO - Il caso su cui la Corte ha stabilito la violazione dell'articolo 14 e 8 della convenzione europea dei diritti umani, che sanciscono la non discriminazione e il diritto al rispetto della vita familiare, riguarda due donne che vivono da anni in una relazione stabile e il figlio che una di esse ha avuto da un uomo con cui non era sposata. Nel 2005 le donne hanno concluso un accordo di adozione per creare un legame legale tra il minore e la compagna della madre. Ma quando si sono rivolte al tribunale per far riconoscere l'accordo, questo ha opposto un rifiuto. In base l'articolo 182.2 del codice civile austriaco la persona che adotta «rimpiazza» il genitore naturale dello stesso sesso, interrompendo quindi il legame con quel genitore. Nel caso in questione, quindi, l'adozione non avrebbe creato un nuovo legame o rimpiazzato quello con il padre, ma avrebbe reciso quello con la madre naturale del bambino.

IN GERMANIA - Anche in Germania una sentenza è intervenuta a rafforzare i diritti delle coppie omosessuali nelle adozioni: la Corte costituzionale tedesca intervenuta sul caso di una coppia nella quale uno dei due partner aveva adottato un bambino, e l'altro voleva poter a sua volta diventarne genitore adottivo, ha disposto che «l'adozione successiva» sia resa possibile a partire dal giugno 2014. La legge tedesca attualmente non prevede questa possibilità, circostanza contestata dai giudici, che vedono in questa limitazione una lesione delle pari opportunità. L'Alta Corte di Karlsruhe era chiamata a decidere sul ricorso di una donna medico di Muenster, che chiedeva di adottare una bambina bulgara già adottata nel 2004 dalla sua partner.

Un precedente anche per noi, impossibile ignorarlo

Intervista alla giurista Marilisa D’Amico

Un precedente, non immediato, ma spendibile per nuovi ricorsi, da parte di coppie gay, alla corte di Strasburgo .E’ il pensiero di Marilisa  D‘Amico, costituzionalista impegnata a sempre sui diritti civili, all’interno del pool  di giuristi che due anni fa hanno portato davanti alla consulta la richiesta (respinta) di legittimazione italiana dei matrimoni  gay.

In che modo questa sentenza può cambiare il diritto anche in Italia? Una sentenza europea non può essere ignorata, anche se non agisce immediatamente sulle norme di uno stato membro. Però è un precedente. Sia giuridico che culturale.

Nel senso che anche in Italia le coppie gay potrebbero sperare di adottare un bambino? Vista la rigidità delle nostre leggi, è un precedente non tanto sul tema specifico, ma su quanto la corte europea ribadisce. E cioè il diritto per le coppie omosessuali a una vita familiare. E a tutto ciò che ne consegue. Questa sentenza potrà essere molto utile

In quali ambiti? Al concetto di famiglia per le coppie gay, ai figli nati in queste unioni, al riconoscimento dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero.

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16 febbraio 2013 6 16 /02 /febbraio /2013 15:31
 
 
procreazione-ass.jpglink    Beethoven – Primavera - Se clicchi con il tasto destro del mouse su LINK e con il sinistro su "apri in una nuova scheda" ascolterai la musica e leggerai l'articolo     Ecco cosa ha combinato l'ideologia dei governanti proni alla gerarchia del vaticano: un mostro umano oltre che giuridico. questi governanti si fanno forti poichè la legge riguardava una minoranza della popolazione e in caso di referendum (come già avvenuto) contano della scarsa consapevolezza civica e democratica della maggioranza dei cittadini. Si conferma che la democrazia non é questione di maggioranza: c'è quando tutela anche le minoranze.  
Chi ha una malattia genetica potrà finalmente accedere alla procreazione.
Per saperne di più: www.echr.coe.it
                               www.camera.it/parlam/leggi/040401.htm
 
Agosto 2012 - Strasburgo definisce incoerente la legge 40, che viola inoltre  il diritto alla vita privata e familiare
Novembre 2012 - Il governo italiano presenta ricorso contro la sentenza della corte europea per i diritti dell'uomo
Febbraio 2013 - Repinto il ricorso, la sentenza diventa esecutiva. Apre la fecondazione anche a tutte le coppie fertili malate 
STRASBURGO - L'Europa boccia ancora una volta la legge sulla fecondazione assistita, e anche il governo italiano che aveva provato a cambiare le carte in tavola. La Corte europea dei diritti umani ha infatti deciso di non accettare il ricorso, presentato l'ultimo giorno utile in gran segreto a novembre (dal governo Monti), con il quale l'Italia ha chiesto il riesame della sentenza con cui la stessa Corte ad agosto aveva cassato la legge 40. Definendola senza mezzi termini «incoerente col sistema legislativo e che viola il diritto alla la vita privata e familiare».
Col nuovo no dei giudici, la sentenza è diventata esecutiva e quindi la legge italiana dovrà adeguarsi alla carta europea e prevedere l'accesso alle tecniche di fecondazione assistita a tutte le coppie fertili che possono trasmettere malattie genetiche ai loro figli. E che fino ad oggi erano escluse dalle tecniche e dall'assistenza a meno di non appellarsi ogni volta ai tribunali.
Come Anna e Marco, portatori di fibrosi cistica che si erano rivolti alla Corte di Strasburgo chiedendo giustizia, sentendosi discriminati da un paese dove «con la mia malattia mi lasciano abortire ma non mi fanno fare la diagnosi pre impianto che potrebbe far nascere un bambino sano ed impedire il dramma di un aborto» aveva raccontato la donna. Proprio per questo motivo la Corte ad agosto aveva sancito «l'incoerenza del sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto «visto che con una legge, la 194 consente l'aborto per la patologia, e con un'altra, la 40, vieta accertamenti che potrebbero evitarlo».
Un sistema legislativo, aveva aggiunto, «che viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare», condannando l'Italia a pagare 15mila euro di danni morali agli aspiranti genitori.
La decisione della Corte ha provocato immediate reazioni in Italia, soprattutto contando che più di 80 parlamentari avevano scritto al ministro della Salute Balduzzi per invitarlo a non presentare ricorso. «Sono stati risolti i dubbi del ministro, Strasburgo boccia il suo ricorso, la legge 40 è da riscrivere» twitta il senatore Marino del Pd mentre Palagiano dell'Idv si augura che «il nuovo parlamento abbia il coraggio di riscrivere la legge garantendo alle donne italiane gli stessi diritti che nel resto del mondo». Questa è una vittoria importante per le donne ma il governo ha perso un'altra occasione per far bella figura, rinunciando a proporre il vergognoso ricorso». Conosce bene le donne che lottano per avere un figlio Filomena Gallo, presidente dell'Associazione Coscioni, legale di tante coppie come l'avvocato Niccolo Paoletti, difensore della coppia che ha vinto a Strasburgo. «Questa è una vittoria della cultura laica, oggi è stata eliminata una dolorosa discriminazione nell'accesso alle cure ed è un motivo di gioia per tutti quelli che dopo anni di sofferenze sognano di avere un bambino che possa avere un vita possibile, nonostante le malattie di cui sono portatori sani. È un passo avanti nell'uguaglianza: sino ad oggi la legge 40 valeva solo per le coppie sterili o i portatori di patologie virali, come hiv ed epatite. Adesso quello che resta da fare è la battaglia perché la diagnosi pre-impianto sia possibile nelle strutture pubbliche, come prevede la sentenza di Cagliari di novembre, o al massimo su convenzione. Perché la tutela della salute, il sogno di un figlio non malato non deve essere un lusso da ricchi».  
 
CATERINA PASOLINI12 febbraio 20
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11 febbraio 2013 1 11 /02 /febbraio /2013 17:55

Si commenta da sola questa  bella storia i cui protagonisti saranno al festival di San Remo:

 

http://video.repubblica.it/edizione/torino/stefano-e-federico-presto-sposi-a-new-ork/118458/116927?ref=HREC1-4

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