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25 luglio 2015 6 25 /07 /luglio /2015 17:50

PIERO IGNAZI – La Repubblica

LA PROPOSTA del segretario del Partito democratico di ridurre il carico fiscale incontra due ostacoli politici: la convinzione che sia possibile sottrarre alla destra la sua identificazione con il tema antitasse e la sudditanza ideologica al neoliberismo.

L'abbattimento del carico fiscale a fronte di una imposizione giudicata eccessiva e giugulatoria ha sempre e dovunque connotato la proposta politica dei partiti di destra, dal neo-conservatorismo reaganiano e thatcheriano al populismo continentale, persino in Scandinavia: celebre il caso del fondatore dell'attuale partito Popolare danese (di estrema destra) che nel 1971 dichiarò pubblicamente di non aver mai pagato una corona all'erario e di considerare gli evasori eroi, come i sabotatori delle ferrovie durante l'occupazione tedesca. In Italia, Berlusconi e Bossi, e in parte anche Fini, hanno variamente cavalcato la retorica antitasse, arrivando persino a promuovere iniziative, peraltro fallite, di sciopero fiscale. Ma non sono stati in grado di incidere sull'imposizione fiscale, ad eccezione della tassa sulla casa. La loro incapacità rende allora la strada di Matteo Renzi in discesa? Forse il segretario del Pd ne è convinto, però trascura una legge fondamentale del comportamento elettorale: la resistenza nel tempo dell'immagine di un partito.

Ogni formazione politica "possiede" un tema che la identifica immediatamente presso l'opinione pubblica. È proprietaria di quella questione. Per questo è difficile sottrarre ai verdi il brand dell'ecologismo, ai populisti xenofobi il contenimento/rigetto dell'immigrazione, ai cattolici la difesa della famiglia e della morale tradizionale, e alla destra la retorica antifisco. Per quanti salti e mutamenti possa fare un partito "storico", uno di quelli che si identificano in una delle grandi famiglie politico-ideologiche, si porta sempre con sè la propria connotazione originaria. Può cambiare, anche radicalmente, ma non può vestire panni di altri, pena il suo snaturamento. Con conseguenze elettorali drammatiche. Inseguire i conservatori sul loro terreno d'elezione, adottando il loro argomentario, rischia il disconoscimento da parte del proprio elettorato tradizionale senza poi conquistare quello altrui. Come la natura non fa salti, nemmeno il sistema partitico ne fa. Questo non significa che non sia buona pratica insidiare gli avversari sul loro terreno mettendo in luce le loro manchevolezze e contraddizioni. In fondo è quello che ha sempre fatto, con un certo successo, la destra nostrana accusando sinistra e sindacati di non difendere i "veri" interessi dell'elettorato popolare. Ma nessuno ha pensato che la destra fosse diventata il partito della classe operaia… Oltre al problema di sottrarre agli avversari una loro tipica bandiera e di intestarsela, la proposta del capo del governo evidenzia un appiattimento ideologico nei confronti della visione neoliberista. La sinistra in tutta Europa è in affanno, da decenni, perché non sa rispondere all'impostazione economica promossa dal neoliberismo in base alla quale l'individuo e il suo potenziale di intrapresa creano ricchezza; e quindi va tolto di mezzo ogni impaccio e limitazione, a incominciare da una tassazione troppo alta che impedisce un utilizzo produttivo della ricchezza. In sostanza la maggiore disponibilità economica in mano alla fasce più alte inserirebbe nel sistema economico risorse che, a seguire, produrrebbero un beneficio per tutti. La celebre teoria dello "sgocciolamento" per cui chi sta in alto fa scendere qualcosa, magari le briciole, a chi sta in basso. A parte che non c'è uno straccio di prova che ciò accada visto che i ricchi sono diventati più ricchi e la classe media, per non dire di quella operaia, hanno guadagnato poco o nulla, questa non è una impostazione propria della sinistra. Rappresenta piuttosto un adeguamento tardivo e passivo alle politiche degli avversari.

La proposta del segretario del Pd si muove quindi su un crinale difficile: accodandosi alle ricette politiche della destra rischia di annebbiare ulteriormente il profilo del partito — che già non è chiarissimo…. — e quindi di perdere anima e consensi. Soprattutto rinuncia a proporre una visione alternativa che caratterizzi il Pd e il governo: certo non basta riproporre la classica visione per cui è la condivisione del carico fiscale tra tutti che pone le premesse per una sua rimodulazione; e forse nemmeno invocare legalità e senso dello Stato, presupposti etico-politici per condividere gli oneri della tassazione e il suo utilizzo per tutta la comunità. Ma da un leader innovatore, o almeno che si offre come tale, ci si aspetta un colpo d'ala su questo tema in linea con i principi cardine di ogni partito di sinistra di progressività e redistribuzione: non un adeguamento agli stereotipi corrivi della destra.

Accodandosi alle ricette della destra Renzi rischia di annebbiare il profilo del partito

 

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11 luglio 2015 6 11 /07 /luglio /2015 16:23

Joseph Stiglitz: "America in prima linea, bisogna evitare Grexit e quel referendum non è stato inutile"

Per il Nobel dell'Economia, l'accordo sarebbe una vittoria del buon senso: "Washington aiuti la Grecia visto che Bruxelles non fa la sua parte e Angela Merkel smetta di fare propaganda perché Atene non sta per fallire"

 EUGENIO OCCORSIO – La Repubblica

Joseph Stiglitz "Avete visto? Anche il Fondo Monetario ha detto che il debito greco va ristrutturato ". Veramente ha detto che va ristrutturato quello degli altri, per la sua porzione vuole la restituzione per intero. E Joseph Stiglitz scoppia in una risata: "Ma insomma, ve lo devo spiegare io che quando ci sono più creditori, il gioco è sempre quello di scaricare sugli altri l'onere?". Poi torna serio: "Sono sicuro che come è stato in altri casi come l'Argentina, alla fine ristrutturerà anche il suo credito ". Comincia così una lunga conversazione telefonica con l'economista, premio Nobel 2001, che più si è speso a favore di un aiuto concreto alla Grecia. Stiglitz è appena tornato a New York dal Lago di Como, dove è rimasto un mese a limare il libro "Creating a learning society" che sta per uscire. "Oggi si studia troppo poco, ma i Paesi dove si studia di più domineranno la gara per lo sviluppo".

Professore, sulla Grecia tira una forte aria di accordo. Ci crede?
"Tutto sommato sì. Sarebbe una vittoria del buon senso. Non sarà facile, certo. Ancora mancano tanti dettagli, a quanto ne so. Però penso che l'esito sarà positivo. Sarà una vittoria della giustizia della storia".

In che senso?
"La propaganda tedesca è riuscita a imporre l'immagine di una Grecia in disfacimento, un Paese talmente mal governato che merita solo di essere messo sotto tutela, anzi non riesce neanche a cavarsela nonostante sia stato generosamente aiutato. È tutto il contrario: la Grecia è in queste condizioni a causa, non nonostante l'intervento europeo. E poi non è vero che è semi-fallita: dalla metà degli anni '90 all'inizio della crisi la Grecia è cresciuta più della media dell'Ue, il 3,9% contro il 2,4% annuo ".

Ma non avverte una certa atmosfera di ravvedimento presso la Germania, di inedita volontà di andare incontro alla Grecia?
"Mah, è così difficile interpretare l'anima di una nazione. L'establishment tedesco è quanto mai diviso. Per una Merkel che ammette che tutto sommato la Germania non è la depositaria dell'unica ricetta economica possibile, e che sono stati imposti tempi pazzeschi per il rigore in Grecia, è sempre pronto uno Schaeuble o un Weidmann a ricordare che i cattivi sono i greci".

Cattivi no, ma ne hanno fatti anche loro di errori. O non è vero?
"Ma certo, nessuno è perfetto. Chi non ne fa? Di errori ne hanno fatti tanti i greci, più però i precedenti governi conservatori che quello attuale, per inciso anche con la complicità di istituzioni come la Goldman Sachs.( E' lei che ha aiutato a falsificare i bilanci per entrrenell'euro  ndr.) Ma il referendum non è stato un errore. Al contrario, ha dato più forza a Tsipras, è stato il fattore che ha sbloccato il negoziato. È partito un segnale forte e chiaro: il popolo greco non può andare avanti con l'austerity perché rischia di essere strangolato per sempre. Sono sicuro che le cancellerie l'hanno recepito".

Veramente sembra che Tsipras stia accettando un documento che è né più né meno quello contro il quale il suo popolo si è espresso una settimana fa... 
"Non è così. Vedrete che qualche miglioramento ci sarà. Innanzitutto sarà evitato, e non è poco, l'ulteriore taglio su stipendi e pensioni. Poi ci si avvicinerà alle posizioni greche sullo spinoso nodo dell'avanzo primario. E poi ci sarà la famosa ristrutturazione di cui parlavo, magari non prevedendo dei tagli secchi al debito ma allungando ancora le scadenze, concedendo periodi di grazia sugli interessi, abbassandone insomma il peso. Non si andrà lontano dalla richiesta iniziale dei greci: non legare la restituzione solo a delle date, ma alla crescita del Paese. Che è impossibile che torni ad esserci nelle condizioni attuali".

Su "Time" lei ha invocato il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. A quali modalità pensa?
"La premessa è che è mancata la solidarietà europea. 
 La generosità di cui parlano i tedeschi non è servita altro che a pagare gli interessi alle banche (tedesche).Ben altro serviva. È una questione di gratitudine: la Germania ha distrutto la Grecia per la seconda volta in un secolo, stavolta con la complicità della troika. La prima volta, nell'ultima guerra mondiale, ha avuto il condono quasi totale dei suoi debiti. Quella sì che era generosità: un perdono incondizionato da parte dell'America che aveva mandato a morire centinaia di migliaia di suoi giovani in una guerra causata dalla Germania. E con l'aggiunta dei finanziamenti a pioggia del piano Marshall. Ora, visto che di gratitudine non c'è traccia da parte tedesca, l'America deve farsi avanti per evitare la Grexit e i suoi contraccolpi che colpirebbero anch'essa. Così come era stata generosa con la Germania, deve esserlo con la Grecia. E visto la Bce non vuole adempiere alle sue responsabilità, la Federal Reserve deve creare una linea di credito speciale per la Grecia. Ho invitato poi gli americani ad andare in vacanza in Grecia, a comprare prodotti greci, a dimostrare una volontà di aiuto incondizionato e un'umanità che agli europei sono mancate ".


Visto che ancora non c'è niente di sicuro, è ancora buona la proposta in caso di nuova rottura?
"Sì, ma poi sa cosa le dico? Che se la Grecia uscirà dall'euro non sarà la fine del mondo. Sarà un shock per tutti, ma alla fine Atene si riprenderà, come l'Argentina che fra i 2003 e il 2008 ha avuto uno dei più alti tassi di crescita del mondo. Sarà però la definitiva sconfitta dell'esperimento della valuta unica, disegnato e programmato malissimo. Oggi il Pil dei Paesi dell'euro sarebbe del 17% superiore nel complesso a quello che è. Per colpa della moneta unica ".

 

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10 luglio 2015 5 10 /07 /luglio /2015 20:20

BANCHE: DALLA BCE 94 MILIARDI, MA I PRESTITI ALLE IMPRESE SONO SCESI DI OLTRE 13

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Grazie all’operazione TLTRO, fa sapere la CGIA, dal settembre dell’anno scorso al marzo di quest’anno la Bce ha erogato ben 94 miliardi di euro agli istituti di credito italiani, a loro volta obbligati a “riversare” questi soldi all’economia reale entro la fine del 2016. Ad oggi, purtroppo, gli effetti sono stati molto modesti. Se le famiglie hanno visto aumentare gli impieghi di 3,4 miliardi, le imprese, invece, hanno registrato una contrazione degli impieghi di 13,2 miliardi di euro: in termini complessivi gli italiani hanno visto ulteriormente scendere l’ammontare dei prestiti erogati dalle banche di ben 9,8 miliardi.

“In buona sostanza – afferma il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi – nonostante le iniezioni di liquidità messe sul mercato dalla Bce i soldi arrivano alle famiglie con il contagocce, mentre il rubinetto del credito alle imprese continua a rimanere chiuso.”

Come affermato a Bruxelles : l'Europa é la prosecuzione della politica con altre banche.

 

D’Alema  su crisi Greca

http://video.repubblica.it/economia-e-finanza/d-alema-gli-aiuti-alla-grecia-sono-andati-alle-banche-tedesche-e-il-video-diventa-virale/206213/205319?ref=tbl

 

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8 luglio 2015 3 08 /07 /luglio /2015 18:41

Per Atene cercasi piano Brady, disperatamente

Tommaso Monacelli –LaVoce Info

Per affrontare la crisi greca si dovrebbe guardare a quanto accaduto in America Latina negli anni Ottanta. Lì la storia ci ha insegnato che la soluzione passa attraverso una riduzione del debito. Che alla fine potrebbe essere vantaggiosa anche per i creditori. Decennio perduto per tutta l’Eurozona?

Questa volta (non) è diverso

Nel loro celebrato libro This Time is Different, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff tracciano una dettagliata analisi delle regolarità che si osservano storicamente nei paesi soggetti a crisi bancarie o del debito sovrano. L’ironia del titolo si riferisce alla tipica miopia delle classi dirigenti che, in paesi e tempi differenti, osservano l’eccessiva accumulazione di debito nel settore privato senza pesarne adeguatamente i rischi, come se la storia delle crisi finanziarie precedenti in altre nazioni non avesse insegnato alcunché.
Di fronte alla crisi greca, le autorità dell’Eurozona sembrano inesorabilmente preda di un nuovo abbaglio a la “this time is different”. La lezione della storia che viene ignorata è quella del cosiddetto decennio perduto dei paesi dell’America Latina, diversi dei quali (a partire dal Messico nel 1982) furono costretti a dichiarare default.
La gestione dei default sovrani dopo Messico 1982 seguì tre fasi, molto diverse fra loro. La prima, dal 1982 al 1985, potremmo definirla della “crisi di solvibilità scambiata per crisi di liquidità”. In questo periodo il Fondo monetario e altre agenzie governative multilaterali continuarono a fornire nuovi prestiti ai paesi secondo la logica del “vi diamo risorse per mettere le vostre finanze in ordine e poter ripagare i vostri debiti”. In cambio, i paesi attuavano misure di austerità sponsorizzate dal Fondo (aumentare le tasse, tagliare le spese, aumentare le tariffe, svalutare la moneta).
Fu chiaro nel 1985 che la strategia non funzionava. La crescita non ripartiva, il debito aumentava e la necessità di ulteriore assistenza diventava cronica. Una situazione che suona molto familiare.
La seconda fase, dopo il 1985, fu quella del cosiddetto piano Baker (dal nome dell’allora sottosegretario di Stato americano). Consisteva in nuovi prestiti, ma condizionati a cosiddette riforme strutturali, soprattutto liberalizzazioni e privatizzazioni (anche questa una situazione molto familiare).
Intorno alla fine del 1988 fu chiaro che anche il piano Baker era un fallimento: non forniva incentivi sufficienti ai paesi a realizzare le riforme necessarie a far ripartire la crescita. E il debito aumentava.
Una svolta si verificò con la terza fase, quella guidata da Nicholas Brady, nominato segretario al Tesoro americano nel 1989. Il punto focale dell’approccio Brady era uno solo: far firmare a banche creditrici e stati sovrani accordi di riduzione del debito. La chiave erano strumenti di “swap” dei titoli di debito. Alle banche si offriva la possibilità di scambiare i loro titoli con altri (i cosiddetti “Brady bonds”), essenzialmente di due tipi: i) titoli a scadenza più lunga e con capitale scontato (ripagare 70 invece di 100), ma con tassi leggermente più alti; ii) titoli alla pari, ma a tassi scontati. Nel caso pilota, quello del Messico, il 49 per cento delle banche scelse la prima soluzione, il 41 per cento la seconda (le rimanenti altre soluzioni miste). Seguirono poi, tra il 1989 e il 1992, Costa Rica, Venezuela, Uruguay, Argentina e Brasile. Alla fine del 1994, diciotto paesi avevano raggiunto un accordo di riduzione del debito secondo lo schema Brady, con una cancellazione del debito di circa il 30-35 per cento per un paese tipico. Molto secondo alcuni, ancora troppo poco secondo altri.
In retrospettiva la soluzione dei Brady bond presentò un elemento diverso e dirompente: semplicemente funzionò. Dal 1989 in poi (anno dei sanguinosi scontri nelle strade di Caracas) diversi paesi dell’America Latina fecero passi significativi verso la liberalizzazione dell’economia, con tassi di crescita mai sperimentati in tutti gli anni Ottanta, attraendo ingenti flussi di capitale privato. L’eredità forse più positiva del piano Brady fu l’emergere di un mercato dei bond dell’America Latina.

Un decennio perduto per l’Eurozona?

Nel caso della Grecia, non siamo ancora al decennio perduto, ma quasi. L’analogia con il fallimento delle prime due fasi della saga dei debiti sovrani in America Latina è esemplare. Eppure i governanti dell’Eurozona continuano a trattare il caso Grecia come un ennesimo “this time is different”. Ad esempio, perché la Grecia fa parte dell’Eurozona, che prevede determinate regole (austerità e rimborso dei debiti), senza le quali l’esistenza stessa della zona euro sarebbe messa in discussione
La realtà invece è inesorabilmente la stessa. Il default sovrano della Grecia non è diverso dagli altri osservati nella storia; così come, tristemente, il lungo e costoso gioco di negoziazione tra debitori e creditori. Perciò qualsiasi prospettiva di soluzione della crisi greca non può che soddisfare una condizione necessaria (anche se non sufficiente): una parziale cancellazione del debito.
L’amministrazione Bush allora ne fece un punto di stabilità geopolitica. Ma esistono incentivi sufficienti per i creditori per accettare uno “schema Brady” anche nel caso del default greco. Ad esempio, il fatto che sulla porzione rimanente di debito, eventualmente riattivato il merito di credito della Grecia sui mercati, i creditori potrebbero anche ottenere un profitto netto. Dal lato greco, una cancellazione parziale del debito dovrebbe essere condizionata alla realizzazione di riforme credibili e in un’ottica di periodo ben più lungo rispetto a quella, ad esempio, di maggiore Iva sugli alberghi: riforme innanzitutto del sistema giudiziario, di liberalizzazione dei mercati dei beni e del lavoro e privatizzazioni. Con l’obiettivo di ridurre il drammatico gap di competitività della Grecia con la media della zona euro. Fino a quando non vedremo cancellazione del debito comparire come parola chiave di un possibile nuovo accordo, prepariamoci a un nuovo decennio perduto. Non sono per la Grecia, ma forse per l’Eurozona intera.

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5 luglio 2015 7 05 /07 /luglio /2015 08:04

ll piano Brady per i paesi dell'America Latina alla fine degli anni '80

Brady bond sono delle obbligazioni denominate in dollari emesse per lo più dai paesi latino americani sul finire degli anni 1980. Le obbligazioni sono state chiamate così in nome di Nicholas Brady, allora Segretario al Tesoro degli Stati Uniti d'America, che propose un accordo di riduzione del debito per i paesi in via di sviluppo dell’America Latina. (Messico, Argentina, Brasile, Perù)

Le singole emissioni di obbligazioni raramente erano al di sotto di 125 milioni di dollari e i creditori dovettero accettare spesso perdite nell'ordine del 30-50% in termini di riduzione del valore nominale o tramite tassi di interesse al di sotto dei valori di mercato. I problemi furono risolti e  i  risultati furono all’altezza delle aspettative.

Per saperne di più   https://it.wikipedia.org/wiki/Brady_bond

L'opinione di un ex presidente della Commissione Europea - Romano Prodi

Non possiamo dimostrare di essere incapaci di risolvere un piccolo problema come quello ellenico (il PIL della Grecia é il 2%del PIL europeo, non c'é volontà politica di risolverlo o peggio si é incapaci ndr.)

- Atene non uscirà dall'euro ma senza autorità federale sarà proprio l'Unione a fallire.

- Voglio sperare che Atene non sia la nostra Sarajevo. Bisogna preparare le istituzioni comunitarie a fronteggiare  gli eventi futuri e renderle credibili

- Debito da tagliare:Mia madre diceva  "dai cattivi debitori si prende quello che viene" (altrimenti si perde tutto). All'inizio si poteva tagliare il debito con meno sacrifici e un costo inferiore per l'Unione Europea.

- Prodi lo dice anche nel  suo iibro appena uscito: per l'intervento iniziale sarebbero stati sufficienti 5 milioni di €, ma c'era l'elezione di un land della Germania e si aspettò. La  finanzia e le banche  non stettero fermi e  dopo le elezioni furono necessari  da parte dell'Unione Europea100 milioni di €.

 

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1 luglio 2015 3 01 /07 /luglio /2015 09:28
Grecia, quando l'errore è nella diagnosi

 IL MOTIVO per cui non si è riusciti a raggiungere un accordo con la Grecia è che la diagnosi era sbagliata fin dal principio: questo ha finito per far ammalare il paziente ancora di più, e oggi il paziente vuole interrompere la cura. Questa triste storia rappresenta un fallimento di immani proporzioni per la Ue.

Come Yanis Varoufakis ripete fin dall'inizio, la Grecia non aveva una crisi di liquidità, ma una crisi di solvibilità, originata a sua volta da una crisi di "competitività", aggravata dalla crisi finanziaria. E una crisi di questo tipo non può essere risolta con tagli e ancora tagli, ma solo con una strategia di investimento seria accompagnata da riforme serie e non pro forma per ripristinare la competitività. La vera cura.

Invece, fingendo che la Grecia avesse solo una crisi di liquidità ci si è concentrati troppo su pagamenti del debito a breve termine e condizioni di austerity sfiancanti imposte per poter ricevere altri prestiti, che sarà impossibile rimborsare in futuro se non torneranno crescita e competitività. E non torneranno se la Grecia non potrà investire. Un circolo vizioso senza fine.

La realtà è che è impossibile avere un'unione monetaria con competitività tanto differenti. E finora non c'è stata una comprensione chiara di come e perché queste differenze di competitività siano nate. Se da un lato è corretto mettere l'accento sulle riforme fiscali e sulle modifiche all'età pensionabile per riportarle in linea con il resto d'Europa, dall'altro lato si è parlato molto di quello che bisognava buttare non si è parlato per nulla di quello che bisognava costruire. Come in Italia, si è puntato solo a ridurre le pensioni, gli stipendi dei dipendenti pubblici, le rigidità del mercato del lavoro ( eufemismo che sta per diritti dei lavoratori!), partendo dal presupposto che sbarazzandosi delle inefficienze sarebbe arrivata la crescita. Ma nulla è più lontano dalla verità. C'è molto da costruire, non solo da eliminare, e fin quando non si farà questo la Grecia non arriverà a nulla. E il rapporto debito/Pil aumenterà perché il denominatore (il Pil) rimarrà al palo, anche se il numeratore (il deficit) resterà basso.

La Grecia deve fare quello che la Germania fa (investire), non quello che la Germania dice (tagliare)! Molti criticano la Germania perché investe poco, ma la verità è che negli ultimi decenni la Germania ha investito in tutte le aree decisive non solo per aumentare la produttività, ma anche per creare una crescita trainata dall'innovazione. Aziende come la Siemens, che vince appalti pubblici nel Regno Unito, sono il risultato del dinamismo dell'ecosistema pubblico/privato in Germania, con forti investimenti pubblici sui collegamenti fra scienza e industria; la presenza di una banca pubblica grossa e strategica (la KfW), che offre alle imprese tedesche capitali "pazienti", impegnati sul lungo termine; un modello di governo d'impresa incentrato sugli stakeholders (i portatori di interesse) e focalizzato sul lungo periodo, invece del modello anglosassone incentrato sugli shareholders (gli azionisti) e focalizzato sul breve periodo, che l'Europa meridionale ha copiato; un rapporto ricerca e sviluppo/Pil superiore alla media; investimenti sulla formazione professionale e il capitale umano; una strategia mission- oriented che punta a rendere "verde" l'intera economia.

Immaginate che risultato diverso ("compromesso") avremmo avuto se le trattative avessero puntato a far digerire alla Grecia una strategia di investimenti, invece che altri tagli: va bene, noi vi salviamo, ma voi riformate il vostro Paese e mettete in moto investimenti pubblici (del tipo su elencato) per essere pronti per la sfida dell'innovazione del 2020!

Invece, insistere sul proseguimento dello status quo, con abbondanza di altre misure di austerity, ha prodotto una Grecia sempre più debole, più disoccupazione e più perdita di competitività. Alla Grecia bisognava sì somministrare la medicina tedesca, ma quella vera, non quella ideologica. E non dimentichiamo ciò che tanti hanno ripetuto: dopo la seconda guerra mondiale il 60 per cento dei debiti tedeschi fu cancellato. È un altro esempio di come la Germania abbia beneficiato di una medicina, ma ne prescriva una diversa per tutti gli altri.
Tra l'altro è anche vero che questa medicina la Grecia l'ha ingoiata in questi ultimi, dolorosi mesi, ma pochissimi glielo hanno riconosciuto: ha ridotto il disavanzo, tagliato il numero di dipendenti pubblici e alzato l'età pensionabile. Se gli avessero dato maggior respiro, avrebbe potuto fare di più.
Se la Grecia dovesse uscire, l'unica speranza è che l'insistenza di Varoufakis per un programma di investimenti a livello europeo possa almeno trovare una soluzione nazionale. Forse si potrebbe partire dalla creazione di una banca per lo sviluppo come la KfW e usarla per mettere in moto una strategia di investimenti a lungo termine.

L'Italia deve trarre gli insegnamenti giusti da questa tragedia greca. La competitività dell'Italia è scadente quasi quanto quella della Grecia, e fino a questo momento la strategia di investimenti è stata alquanto deficitaria: qualche misura pro forma sull'istruzione, tagli al settore pubblico e tanta attenzione a quello a cui i lavoratori devono rinunciare. Perciò, se ci sarà la Grexit  -  e l'Europa non si deciderà a portare nella stanza un vero dottore  -  preparatevi per l'exItalia il prossimo anno.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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22 giugno 2015 1 22 /06 /giugno /2015 20:45

 

De Grauwe: "Da Tsipras importanti concessioni, ora tocca alla Merkel zittire i falchi"

L'economista belga già consulente della Bce e dell'Fmi, oggi direttore del dipartimento Europa della London School of Economics, è preoccupato per quelli che chiama "i vincoli oggettivi" che Grecia e Ue hanno e che causano il protrarsi dell'incertezza

di EUGENIO OCCORSIO – La Repubblica

I creditori taglino il debito greco altrimenti perderanno tutto. Pazzesco pensare ad altre punizioni

 Paul de Grauwe ROMA - "È davvero difficile dire come andrà a finire ma non sono ottimista. L'accordo non è escluso ma non vedo troppe chance. Tsipras ha fatto importanti concessioni dell'ultima ora, ma purtroppo non ha soddisfatto tutte le richieste dei creditori. Ed è diventato politicamente complicato in tanti mesi di stallo, in cui si è diffusa nelle opinioni pubbliche nordeuropeo l'idea che i greci giochino sporco, far passare la benché minima concessione". Paul de Grauwe, economista belga già consulente della Bce e dell'Fmi, oggi direttore del dipartimento Europa della London School of Economics, è preoccupato per quelli che chiama " i vincoli oggettivi" che entrambe le parti hanno, Grecia ed Europa, e che causano il protrarsi oltre ogni aspettativa dell'incertezza.

Per vincere i vincoli oggettivi è stato convocato un vertice straordinario al massimo livello. Non è sufficiente?
"Parliamoci chiaro. Perché tutto si risolva serve solo che Angela Merkel dica: firmiamo l'accordo. Lei personalmente non vede l'ora di poterlo dire, senoché non sa se potrà dirlo perché ha dei fieri e tenaci oppositori sia fra le forze politiche del suo Paese, non solo Schaeuble ma una lunga lista di maggiorenti, sia nella finanza a partire da Weidmann. Per non parlare del corollario dei Paesi nordici, diventati più tedeschi della Germania. Tutta questa gente non vuole concedere nulla alla Grecia. L'unica speranza è che la Merkel faccia la voce grossa e imponga la sua volontà. Ha avallato per anni una politica di austerità sbagliata e disastrosa, ma ora si è resa conto che rischia di passare alla storia come la persona che ha affondato la Grecia. Ma persino lei ha difficoltà ad imporsi".

Qual è il nodo maggiore?
"Il debito pregresso e la prospettiva di una ristrutturazione, cioè il "perdono" di una parte. Ma è l'unico modo per recuperare almeno una certa quota dei crediti, in massima parte detenuti dagli Stati. È teoria economica pura: si chiama "Debt Laffer curve", l'ha elaborata lo stesso economista americano che dimostrò che se la tassazione supera un certo livello le imposte riscosse scendono. Così i debiti: non ha senso pretenderne la restituzione in toto, significa che non si recupererà nulla. Meglio un ragionevole haircut, anche se non è il primo. Ma lo schieramento dei falchi insiste che i greci vanno puniti ancora. Pazzesco".

Ma i greci non hanno fatto errori?
"Forse Varoufakis e Tsipras potevano essere più diplomatici, ma il popolo ha sofferto di un'ingiustizia chiamata austerity al di là di qualsiasi decenza. E ora si insiste con una medicina che si è dimostrata letale".

E la Bce? Il governo greco l'accusa di voler giocare un ruolo politico.
"Bisogna prevenire che vada a finire così. La banca dev'essere funzionale al sistema, non il contrario. Non c'è nessun vincolo statutario che le impedisca di accettare i bond greci

o altri asset come collaterale, di estendere le linee di credito, di ammettere Atene al quantitative easing. La Bce lasci ai governi la responsabilità di dichiarare eventualmente il fallimento del Paese. Finché ciò non avviene ha il dovere di sostenere le banche greche ".

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22 giugno 2015 1 22 /06 /giugno /2015 20:18

 

“La casta dei burocrati non ci vuole ascoltare così l’Eurogruppo sta perdendo potere

LE PROPOSTE: Ho presentato una serie di proposte concrete, ma purtroppo sono state accolte da un silenzio assordante

LE ATTESE: ciò ci cui abbiamo bisognomom sono altri tagli ma un corpo di riforme sane ed equilibrate

IL GIUDIZIO: le riunioni di Bruxelles sono assolutamente bizzarre e inadeguate a pendere decisioni

L’accusa del ministro greco: ai vertici europei le nostre proposte sono boicottate da funzionari e tecnici

Il meeting di giovedì scorso dell’Eurogruppo è scivolato via e passerà alla storia come un’occasione perduta di dar vita a un accordo tra la Grecia e i suoi creditori, per altro già tardivo. Forse, l’osservazione più significativa proferita da un ministro delle Finanze tra i partecipanti è stata quella dell’irlandese Micheal Noonan, che ha protestato perché i ministri delle Finanze non erano stati messi al corrente della proposta avanzata dalle istituzioni al mio governo.
La zona euro si muove in modo misterioso. Decisioni di importanza preminente sono approvate senza riflettere da ministri delle Finanze che restano all’oscuro dei dettagli, mentre i funzionari non eletti di istituzioni potentissime sono bloccati in negoziati con una parte sola, un governo isolato e in difficoltà.
È come se l’Europa avesse deciso che i ministri eletti delle Finanze non sono all’altezza del compito di conoscere a fondo i dettagli tecnici, compito che è meglio lasciare a “esperti” che non rappresentano l’elettorato ma le istituzioni. È impossibile in tali circostanze non chiedersi fino a che punto tale metodo sia proficuo, e tanto meno se sia anche solo lontanamente democratico.
Sensazione di superiorità
I greci per anni hanno protestato a gran voce, hanno opposto una fiera resistenza alla troika, nel gennaio scorso hanno eletto il mio partito radicale di sinistra e restano fermi nella totale assenza di vento della recessione. Se tale sentimento è comprensibile, permettetemi, cari lettori, di sostenere che in ogni caso esso non è di alcun aiuto, per almeno tre motivi.

Primo, non agevola la comprensione dell’attuale tragica situazione greca.

Secondo, tralascia di informare adeguatamente il dibattito su come la zona euro, e più in generale l’Ue, dovrebbe progredire.

Terzo, semina senza necessità alcuna discordia tra popoli che hanno in comune più di ciò di cui si rendono conto.
Il deficit greco
Dal 2009 il deficit pubblico greco è stato ridotto, in termini corretti per il ciclo, di uno strabiliante 20 per cento, tanto da trasformare un ingente deficit in una grande eccedenza primaria strutturale.

I salari si sono contratti del 37%,

le pensioni anche del 48%.

Il numero dei dipendenti statali è sceso del 30%,

la spesa per i consumi del 33% e

perfino il disavanzo delle partite correnti si è contratto del 16%. Ahimè, la correzione è stata a tal punto drastica che l’attività economica è stata strangolata, il reddito complessivo è diminuito del 27%, la disoccupazione è balzata alle stelle del 27%, il lavoro sommerso è progressivamente aumentato arrivando al 34%, il debito pubblico è salito al 180% del Pil in rapido calo della nazione.
Ciò di cui la Grecia ha assolutamente bisogno ora non sono altri tagli, tali da spingere una popolazione già molto depauperata in una condizione di ulteriore avvilimento; né più alte percentuali di prelievo fiscale o oneri che finiscano con lo strangolare del tutto ciò che resta dell’attività economica. Queste misure “parametriche”, come le chiamano le istituzioni, sono state eccessive, e ad esse si deve il fatto che oggi la nazione è in ginocchio.
Ciò di cui la Grecia ha disperatamente bisogno sono riforme serie ed equilibrate. Ci serve un nuovo apparato fiscale che contribuisca a debellare l’evasione fiscale e al contempo ad arginare le interferenze della politica e delle imprese. Ci servono un sistema di approvvigionamento esente da corruzione, procedure di concessione di licenze che siano business friendly, riforme giudiziarie, soppressione di scandalose prassi di pensionamento anticipato, adeguata regolamentazione dei media e del finanziamento dei partiti politici e così via.
Durante il meeting dell’Eurogruppo di giovedì scorso ho presentato l’agenda di tutte le riforme messe a punto dal nostro governo, studiate appositamente per raggiungere gli obbiettivi enumerati, e ho annunciato la nostra decisione di collaborare ufficialmente con l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OC-SE) per vararle. Ho anche presentato una tassativa proposta per far entrare in vigore un meccanismo di freno all’indebitamento instaurato per legge che, fatto scattare da una commissione fiscale indipendente, possa automaticamente ridurre tutte le spese pubbliche della percentuale necessaria a rimettere sulla giusta strada la spesa pubblica per il raggiungimento di obiettivi pre-concordati di primaria importanza.
Ho presentato all’Eurogruppo una serie di proposte ben ponderate per procedere a swap del debito che consentirebbero alla Grecia di rientrare nei capital market e di prendere parte al programma della Bce (meglio noto come quantitative easing o alleggerimento quantitativo).
Un silenzio assordante
È increscioso, ma purtroppo la mia presentazione è stata accolta da un silenzio assordante. A eccezione dell’acuta osservazione di Michael Noonan, tutti gli altri interventi hanno ignorato completamente le nostre proposte e rafforzato la frustrazione dei ministri per il fatto che la Grecia…non aveva proposte!
Chi avesse assistito in maniera imparziale alle delibere dell’Eurogruppo giungerebbe inesorabilmente alla conclusione che si tratta di un forum assai bizzarro, mal attrezzato per prendere buone e solide decisioni quando l’Europa ne ha davvero bisogno. Grecia e Irlanda all’inizio della crisi sono state fortemente colpite perché l’Eurogruppo non era stato concepito per gestire efficacemente le crisi. Ed è tuttora incapace di farlo.
La domanda pressante è la seguente: quanto è probabile che la zona euro diventi un’unione migliore alla quale appartenere, qualora la Grecia sia data in pasto ai lupi malgrado il tipo di proposte presentate al meeting dell’Eurogruppo di giovedì scorso? O è più probabile che un’intesa su queste proposte potrebbe effettivamente portare a maggiore apertura, maggiore efficienza e maggiore democrazia?
Traduzione di Anna Bissanti

 

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17 giugno 2015 3 17 /06 /giugno /2015 17:11

Le idee. E' necessaria una visione più audace per costruire uno stato sociale

MARIANA MAZZUCATO - La Repubblica

Una teoria sulle ragioni della sconfitta del Partito laburista alle elezioni britanniche comincia a prendere piede. Ma è una teoria sbagliata. Per quelli che basano le loro previsioni sui sondaggi, il risultato è stato una sorpresa. Meno per quelli che hanno seguito il Labour negli ultimi anni. Per molti aspetti il partito laburista proponeva una versione light del Partito conservatore: "Anche noi vogliamo ridurre il disavanzo, ma meno. Anche noi pensiamo che l'immigrazione sia un problema e vogliamo far entrare meno immigrati, ma più dei Tories". In altre parole, i laburisti non hanno fatto nessuno sforzo serio per elaborare una visione che spiegasse perché lasciar crescere il disavanzo ora può essere la chiave per la crescita futura: si guardi agli Stati Uniti, che nel 2009 hanno avuto un disavanzo del 10 per cento e oggi crescono più di qualsiasi Paese europeo che ha tenuto i conti pubblici in attivo. E nessun tentativo serio di spiegare perché l'immigrazione è uno dei maggiori punti di forza dell'economia britannica: attira capitale umano e rende meno insulare e provinciale la nostra mentalità.

Ma forse la parte più tragica della storia è quello che è successo dopo le elezioni. Il Labour si sta giustamente interrogando ma le risposte che sta trovando sono a loro volta versioni della visione conservatrice. Sentiamo dire da Tony Blair, da Chuka Umunna (ministro ombra dell'Industria, spesso chiamato l'Obama inglese, che si è ritirato dalla corsa per prendere il posto di Miliband) e da Liz Kendall (che a quella corsa partecipa ed è una delle favorite) che il Labour ha perso perché non ha abbracciato il mondo delle imprese: cioè non è stato, come si usa dire, abbastanza. E questo mondo come lo hanno chiamato? Il mondo dei "creatori di ricchezza".

Le imprese "creatrici di ricchezza"? Quali imprese? Va detto che nel 2011 Miliband cercò di distinguere fra le imprese che creano effettivamente valore per l'economia e quelle che si limitano solo a estrarre valore: il capitalismo produttivo contro il capitalismo predatorio, secondo la sua definizione. Ma Miliband fu immediatamente messo a tacere dal suo stesso partito: le sue affermazioni suonavano "anti-impresa". È un peccato, perché se avesse continuato su quella strada forse oggi il Labour non si troverebbe in questa situazione. Il Guardian/Observer nel 2014 mi ha etichettata come una dei guru del Partito laburista  -  ma posso immodestamente dire che se davvero fossi stata un punto di riferimento il Labour non avrebbe fatto questo errore. Nei miei libri faccio molta attenzione a non parlare di "imprese"  -  settore privato o settore pubblico  -  ma di un particolare tipo di settore privato di cui abbiamo bisogno, di un particolare tipo di settore pubblico, e di un particolare tipo di rapporto, in termini di "ecosistema", fra di essi. Limitarsi a parlare delle imprese come creatrici di ricchezza non c'entra nulla con il punto in questione: anzi, lo contraddice.

Perché è importante questa distinzione? Perché il capitalismo produttivo è un capitalismo in cui le imprese, lo Stato e i lavoratori operano insieme per creare ricchezza. Sono cioè tutti potenziali creatori di ricchezza. Gli emblemi di ricchezza nella moderna economia della conoscenza, dall'iPhone alla Tesla S, hanno tutti fatto leva su un settore pubblico strategico, disposto a farsi carico dei rischi e delle incertezze maggiori lavorando fianco a fianco con un settore privato disposto a reinvestire i suoi profitti nelle aree "a valle", come ricerca e sviluppo o la formazione del capitale umano. Oggi sono a rischio entrambi. Da una parte un settore pubblico timoroso, che cede agli appelli a introdurre ancora più austerity, che discute delle dimensioni del disavanzo invece che della composizione del disavanzo, che parla solo di limiti allo spending e non di investimento strategico. E dall'altra un settore privato ultra-finanziarizzato, che spende più per riacquistare le proprie azioni che in ricerca e sviluppo e formazione del capitale umano.

I lavoratori, naturalmente, sono anche loro creatori di ricchezza, non solo per il contributo che offrono, con il loro capitale umano, alla produzione di nuovi prodotti e servizi, ma anche perché, nel capitalismo moderno, si assumono a loro volta dei rischi, avendo scarse garanzie di un lavoro permanente e potendo trovarsi a fare molti sacrifici.

La ricchezza è insomma frutto di un lavoro collettivo, decentralizzato, con diversi attori pubblici, privati, individui e organizzazioni. È l'assenza di questo punto di vista ad aver creato una relazione disfunzionale tra imprese e Stato. Le imprese, presentandosi come le (sole) creatrici di ricchezza, hanno convinto sia i tories che i laburisti a introdurre misure come la patent box (le agevolazioni fiscali sui guadagni legati ai brevetti, che si stanno diffondendo in quasi tutti i Paesi europei incluso l'Italia) che non accrescono in alcun modo l'innovazione (i brevetti sono già un monopolio garantito per 20 anni) ma servono solo a far diminuire il tax revenue pubblico ed aumentare la disuguaglianza. Ed è stato proprio il Labour a ridurre da dieci a due anni la durata degli investimenti di private equity necessaria per ottenere una cospicua riduzione delle tasse. È possibile immaginare politiche più filo-impresa di queste?

Simili politiche disfunzionali sono spesso state motivate dal desiderio di rendere l'economia più innovativa e competitiva. Ma in pratica sia il Labour che i Tories si sono limitati ai soliti discorsi sul dare più risorse alle piccole imprese cosa che ha poco senso quando la maggior parte delle piccole imprese sono poco innovative, poco produttive e creano anche poco lavoro. Le poche piccole imprese di valore hanno bisogno di un enorme appoggio pubblico, come quello che ricevono negli Usa, ed anche di una relazione più simbiotica con le grandi imprese. La cosa migliore che qualsiasi governo potrebbe fare per le piccole imprese è insistere perché le grandi imprese comincino a investire di più, rendendo maggiormente dinamico e mutualistico il rapporto con le imprese più piccole loro fornitrici. Ma questo vuole dire appunto mettere pressione sane sulle imprese: non essere solo timidamente friendly.

Fino a quando il Partito laburista  -  e qualsiasi partito progressista  -  non imparerà a discutere in modo serio di questi argomenti continuerà a perdere. Oggi un nuovo leader laburista ha l'opportunità concreta per elaborare una visione più ambiziosa di come si fa a creare ricchezza  -  invece di proporre una versione più contrita della visione conservatrice. E questa visione più coraggiosa  -  della ricchezza di una nazione creata da tutti, e non solo dalle imprese  -  può servire anche a costruire fondamenta più solide per lo Stato sociale (che storicamente ha aumentato le opportunità per tutti), finanziato non più solo dal contribuente volenteroso, ma anche attraverso i profitti condivisi delle fatiche di tutti i creatori di ricchezza.

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16 giugno 2015 2 16 /06 /giugno /2015 20:28

La Grecia rappresenta dal 2 al 4 % della ricchezza Europea. Se l'Europa vuol essere una speranza di sviluppo, occupazione e di futuro risolverà la questione Greca.

Si é mai visto che i creditori strozzano il loro debitore felici di non intascare il debito. Non sarebbe meglio far sopravvivere il debitore e farsi pagare in futuro quando ritornerà a guadagnare ?

IL BARATRO È GIÀ QUI - IL GOVERNO TSIPRAS HA TAGLIATO DEL 94% I FONDI ALLA SANITÀ: NEGLI OSPEDALI SI RICICLANO SIRINGHE E PROVETTE 

Il governo ha grattato il fondo del barile per pagare creditori, stipendi e pensioni. Risultato: soldi per la sanità pubblica non ce ne sono quasi più. Niente ferie o malattia per i medici

1.SIRINGHE E PROVETTE RICICLATE NIENTE STRAORDINARI AI MEDICI IN GRECIA VIETATO AMMALARSI AUSTERITY DEL 94% NELLA SANITÀ

Ettore Livini  -  "la Repubblica

Parola d’ordine: vietato ammalarsi. La crisi greca, cifre alla mano, ha tante chiavi di lettura. A Bruxelles e Berlino ci si occupa di Pil, avanzo primario e debiti. Nelle corsie degli ospedali di Atene i numeri che contano sono altri: «Ho appena dato un’occhiata nel magazzino della nostra farmacia. Com’è la situazione? Disperata!», dice Eva Zakaropoulou, seduta con il suo abito blu da infermiera davanti alla “resuscitation room” (c’è scritto proprio così) nel Pronto soccorso dell’Evangelismos, la più grande clinica di Atene. Il Paese non ha più un euro in cassa.

Il governo ha grattato il fondo del barile per pagare creditori, stipendi e pensioni. Risultato: soldi per la sanità pubblica non ce ne sono quasi più. Nei primi quattro mesi del 2014 le 140 strutture nazionali avevano ricevuto 670 milioni dallo Stato. Quest’anno i finanziamenti sono crollati a 43 milioni, il 94% in meno. Ed Eva, fatti i suoi conti, non sa più che pesci pigliare. «Abbiamo solo due scatoloni di guanti in plastica, ci dovrebbero bastare per una settimana — calcola sconsolata — Tavor non ce n’è più, come gli aghi per le iniezioni e i bisturi. Ma questo pomeriggio dovrebbe arrivarci una piccola fornitura da un’altra clinica qui vicino».

L’austerity senza fine della Grecia, per chi lavora in medicina, ha il veleno della coda. «Noi abbiamo pagato un prezzo carissimo. Il budget del nostro ospedale, per dire, è stato tagliato del 25% dal 2009 – racconta Aris Ekonomou, stetoscopio al collo, nel reparto radiologia al Gennimata – A fine 2014 l’economia era ripartita e tutti eravamo convinti che l’inferno fosse finito».

Invece no. L’impasse tra creditori e il governo di Alexis Tsipras ha prosciugato le entrate del Gennimata. «I soldi arrivano con il contagocce – spiega Aris – Come lavoriamo? Facciamo di necessità virtù. Fino ad oggi non abbiamo mandato a casa nessunpaziente: ricicliamo siringhe e provette, sterilizzandole. Compriamo solo farmaci generici. Ma non ce la facciamo più». Anche perché, non lo dice lui ma lo racconta Helena, studentessa di Medicina tirocinante nella struttura, «ai medici non pagano da mesi straordinari e notti».

Non sono i soli. In attesa di un accordo con l’ex Troika (e per raggiungere gli obiettivi di avanzo primario imposti da Bce, Ue e Fmi), l’esecutivo ha congelato i pagamenti ai creditori. Tutti. «Noi siamo al verde - ride Giorgos dal finestrino della ambulanza gialla e arancione della Ekab, appena arrivata per un’emergenza dallo Zografou -- Mi sembra di essere tornato ai tempi del motorino al liceo: nel serbatoio del nostro Citroen Jumper facciamo al massimo 5 euro di benzina alla volta. Autonomia: 35 chilometri... ».

Anche i ricchi, per par condicio, piangono. Richard Bergstrom, direttore dell’Associazione delle aziende farmaceutiche europee, fa i conti della sua personalissima Caporetto: «Atene non ci paga più da dicembre 2014 - calcola – e le fatture arretrate sono arrivate ormai a 1,1 miliardi». Le forniture, grazie alla moral suasion di Bruxelles e alla garanzia pubblica, continuano. Ma il rischio dello stop, con conseguente collasso del sistemasanitario nazionale, è dietro l’angolo. «Siamo all’asfissia finanziaria », sintetizza cruda l’Unione dei medici ellenici.

Syriza, da quando è al potere, ha provato a fare qualcosa di sinistra. «La salute è un diritto universale e non una merce», ha detto Tsipras appena eletto. E alle parole ha fatto seguire i fatti: è stato cancellato il ticket di ingresso di 5 euro imposto dalla Troika, è stato varato (tra i mugugni dei creditori) un piano per l’assunzione di 4.500 persone nel settore sanitario. E soprattutto è stata eliminata la norma che escludeva dal servizio di assistenza gratuito chi aveva perso il lavoro da più di un anno (più di un milione di persone a fine 2014). In pratica chi ne aveva più bisogno.

«I risultati di questi interventi si vedono – assicura Christos Sideris della Metropolitan Community Clinic di Helleniko, uno dei tanti centri di volontariato spuntati dal nulla per tappare i buchi di un welfare che fa acqua da tutte le parti - Lo scorso anno qui da noi facevamo 1.400 visite al mese, ora siamo scesi a 1.100. Segno che molta gente ha potuto tornare a farsi curare tra le mura di un ospedale».

Fuori dalla porta c’è una lunga coda. Chi viene a cercare un paio di occhiali - in un cestone ce ne sono un centinaio – chi a prendere costosi farmaci anti-cancro che lo Stato non passa più. Il Parlamento Europeo una settimana fa ha premiato questa struttura spartana nel cuore dell’ex base militare americana a due passi dal Pireo con il “Citizen Prize” per il suo lavoro. «Una decisione ipocrita – dice Christos –. Andremo a ritirare il premio. Ma spiegheremo a Bruxelles che senza la loro assurda austerità, di gente come noi in Grecia non ci sarebbe mai stato bisogno».

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